diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo edizione 18 - 2022

Oltremondo

Una gran signora milanese. Laura Lepetit

  

«Eppure, non ho rimpianti né pentimenti. Ho vissuto da donna e da femminista. Due condizioni che hanno trovato un corretto equilibrio»[1]. Con queste parole si chiude l’intervista su “la Repubblica”, che Antonio Gnoli fece a Laura Lepetit nel febbraio del 2016. In quell’intervista del resto c’è tutta lei, con la sua aria svagata, il caschetto di capelli bianchi, la parola sempre lucida, puntuale.

Eppure, Laura non è mai stata veramente svagata e nemmeno distratta, anche se poi ha voluto intitolare così il suo unico libro, Autobiografia di una femminista distratta[2]. Laura semmai è stata una persona decisa, pronta persino a schierarsi, a prendere posizione, a costo di cambiare luoghi, vita, amicizie. In effetti, nonostante abbia voluto come simbolo della casa editrice, come animale totem diciamo, una tartaruga, la sua natura era selvatica, da gatta abbarbicata malamente a un ramo borghese.

Perché Laura era prima di tutto una signora milanese, anzi una gran signora, che all’improvviso aveva voltato le spalle al suo comodo mondo per infilarsi in quello molto più scomodo e non sempre soddisfacente dei libri. Prima con Giovanni e Anna Maria Gandini come editrice di Linus, poi fondando una vera e propria casa editrice, La Tartaruga.

Laura Lepetit è stata anche la mia prima editrice, in anni in cui pubblicare con lei era diventato quasi di moda e persino cool.  E lei mi colpì subito, già al primo incontro. In quello studio a piano terra di via Turati, dove con l’immancabile Rosaria Guacci mi accolse con grazia di altri tempi ma senza smancerie. Ero stupefatta. Da meridionale, abituata al fasto e all’arroganza, mai avrei immaginato quelle due stanzette, fitte di libri, di donne e di chiacchiere. E diciamolo pure di solidarietà. Cosa che avrei rimpianto quando sono passata ad altre case editrici, più titolate e stavolta sì, fastose e imponenti, ma fredde e abbastanza disumane.

Ma il nostro rapporto non si è mai interrotto. Ci legavano stima, risate, libri letti e altri ancora da leggere. Ci legava il suo carisma, da gatta selvatica ma anche da gran signora, sempre garbata, sempre elegante, ma anche sferzante.

È stata una femminista Laura? Sì, era anche femminista.  Diceva anzi che era stato il femminismo a cambiarle la vita, a darle il senso del sé, specie dopo l’incontro con Carla Accardi, la grande artista, e con Carla Lonzi, agli inizi di Rivolta femminile. E non c’è da stupirsi nemmeno per quello che è venuto dopo. Una casa editrice tutta di donne, ma che donne! E che scoperte per tutti noi. Virginia Woolf, Margaret Atwood, Nadin Gordimer, Ivy Compton-Burnett, Anna Banti e Paola Masino, queste solo alcune. Che magari erano già note, ma che lei portò in giro come uno stendardo.

Strano, vero? Strano che a pochi giorni di distanza se ne vadano due editori eccentrici e inusuali, o dovremmo dire unici? Ossia la tenera e brusca Laura Lepetit e l’erudito, gnostico e irraggiungibile Roberto Calasso. Coincidenze? Forse. O forse, come dice Mallarmé, «Il mondo è fatto per finire in un bel libro».


[1]https://www.repubblica.it/cultura/2016/02/28/news/laura_lepetit_la_mia_vita_e_oggi_senza_rimpianti_l_ho_vissuta_da_donna_e_da_femminista_-134412457/    

[2] Laura Lepetit, Autobiografia di una femminista distratta, Nottetempo, Milano 2016.