diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 12 - 2014

Nel contempo

Tre o quattro considerazioni sul concetto di tempo

Il Tempo è sempre una dimensione del presente. Quand’anche si trattasse di Storia, o di ricordi, è sempre una lettura ‘qui e ora’ che consente il farsi della ‘rappresentazione’. Da un punto di vista fenomenologico si può intendere come tempo una sorta di misura delle condizioni della nostra relazione col mondo. Una misura che ha a che fare con l’intuizione della possibilità stessa dei fenomeni in quanto esperienza e che si costituisce perciò nelle possibilità fisiologiche e competenze acquisite che il nostro corpo ha di percepire e farci intendere il percepito nel farlo proprio e nel restituirlo agli eventi. Io penso che siano le possibilità stesse insite nell’azione e nella gestualità, cioè nelle coordinazioni che ne formano la competenza negli equilibri relazionali e intersoggettivi che si formano via via fin dalla nascita, ciò che consente le modalità di assimilazione delle esperienze, non solo per quanto riguarda la sensibilità maturata nella sensazione, ma primariamente come campo nel quale l’interazione tra i corpi, o tra il corpo e il mondo, ha luogo. È in questo modo infatti che si forma progressivamente la soggettività nell’ambito delle prime cure parentali.

Non parlo di possibilità della mente, perché considero che siamo integralmente organismi senzienti. È la ricettività del nostro organismo che dispone l’orientamento della nostra ‘intenzionalità’ a comprendere e in questo doppio movimento intuitivo prende forma ogni evento fenomenico. Ogni forma della ‘rappresentazione’ si dispiega così in uno spazio-tempo proprio alla significazione. Non prendo in considerazione quindi il Tempo dal punto di vista dell’astrazione, né come tempo lineare, né come prodotto delle operazioni matematiche che possono essere adeguate alla comprensione di condizioni sperimentali date, cioè di particolariangolazioni prospettiche su porzioni di realtà. Ritengo tuttavia che i modelli che utilizzano descrizioni matematiche di eventi sperimentali in condizioni definite da ampiezze temporali brevi nell’osservazione diinterazioni tra le risorse percettive e i postulati della sperimentazione possano avere una discreta fertilità euristica. Mentre diffido delle applicazioni di totalità matematiche astratte all’osservazione di casi particolari, per esempio nel campo del linguaggio, poiché in tal modo è proprio il tempo dell’esperienza che viene cancellato/escluso, sfalsando aprioristicamente i risultati. Occorre invece aver molta cura dei contesti, perché i contesti sono parte delle condizioni dell’esperito.

In secondo luogo considero il Tempo come l’andamento di una dinamica di emergenze. Penso che la discorsività che lega il nostro essere-al-mondo si scandisca in unità temporali, aventi una propria architettura, che implica anche un andamento dell’intensità dell’energia espressiva. È questa seconda e derivata concezione del Tempo che meglio si presta a comprendere le modalità del tempo vissuto. Poiché ogni vissuto ha a che fare con l’esperienza e quindi con le condizioni del desiderio, e queste sono relative ai contesti e alle interazioni intersoggettive, il tempo vissuto raccoglie le unità espressive dei nostri diversi modi di essere e di patire il mondo. Sono gli andamenti del desiderio che configurano nel discorso le unità spazio-temporali riconoscibili come carattere emozionale dell’espressione; ma è il tempo delle scansioni del fraseggio che ruota intorno ai verbi, pur non esaurendosi semanticamente nel tempo dei verbi, ciò che ci consente, nell’ascolto, di cogliere come unità temporale il senso della ‘rappresentazione’ in atto. C’è sempre una scena che si apre, o più aperture che sostengono una scena di sottofondo, che può essere più o meno inconscia, nel parlare. Noi la cogliamo come contingenza quando accade nel nostro sentire una qualche affinità, non necessariamente dipendente da un giudizio, che risveglia la nostra attenzione e apre il percorso del comprendere, su cui si può riflettere poi, dandogli forma di pensiero.

È questa la terza misura fenomenologica del Tempo di cui mi sta a cuore parlare, poiché è quella che più implica le modalità della nostra partecipazione al mondo dei nostri interlocutori e si costituisce come ciò che consente la significazione, quand’anche questa possa precipitarsi come qualcosa che ci coglie a nostra insaputa, se stavamo percorrendo un diverso cammino. È questa dimensione esistenziale infatti quella che meglio consente alle risorse dell’Inconscio di divenire pensiero creativo e aperto al cambiamento. Il Tempo è sempre anche il tempo della parola, perché proprio dalla parola materna abbiamo cominciato ad acquisire il senso del tempo in rapporto ai nostri bisogni di cure e al nostro desiderio di amore.

Una parola interna, anche non ben formulata, accompagna sempre il nostro mondo di inespressi pensieri. C’è sempre in noi un qualche discorso che continua. Da sole/i ci facciamo compagnia. Ma mentre il tempo del mugugno accompagna soprattutto la mancanza di rapporti di condivisione vivibili, e connota perciò le condizioni della solitudine, il tempo della gioia pretende condivisione e solo nella condivisione si dilata come esperienza che nutre. È nella condivisione della gioia che ci accorgiamo di quanto l’energia empatica possa farci incontrare anche su parole semplici, tralasciando le differenze che costituiscono la singolarità delle nostre esperienze. L’empatia della gioia è generosa: apre il sentire all’unità emozionale come tempo dell’essere insieme. La capacità di dare gioia è una grande risorsa umana per un mondo di pace.

Quando nella singolarità dell’esperienza c’è molto dolore, si acquisisce una maggiore distanza nell’ascolto del mondo altrui. Questa consente una più accorta modalità di partecipazione al sentire, poiché si mette in campo anche l’esperienza negativa come potenziale di misura del bene possibile. Il tempo dell’ascolto e il tempo della condivisione non sono la stessa cosa. Non si tratta soltanto di un diverso vissuto, ma di una diversadisposizione del Sé. Nell’ascolto una parte dell’attenzione è volta a recepire il senso dell’indicazione che si costituisce nell’articolazione sintattica, mentre il ‘movimento intenzionale’ si volge a cogliere il senso dell’espressione che sostiene questi stessi andamenti. Condivisione è all’interno di questo stesso doppio movimento una dimensione dell’affinità empatica nell’emergere della significazione. È sempre una modalitàdell’essere in relazione ciò che scandisce il nostro tempo. Così anche il tempo vuoto dell’attesa, che è dimensione dell’assenza, e quello interminabile di chi non trova più un senso nella propria vita o nelle proprie giornate, non sono che il sintomo di una mancanza di relazioni in grado di restituire reciprocità al ‘mondo interno’ e movimento alle risorse vitali.

Diceva Kant che “il tempo non è altro che la forma del senso interno, cioè dell’intuizione di noi stessi e del nostro stato interno”. Il senso interno del tempo è sempre quella condizione dell’organismo che consente larelazione-a-mondo. È in questo modo che viene garantita sia la corrispondenza dell’intuizione, come immanenza simultanea della relazione al percepito fenomenico dell’esperienza, sia il giudizio, cioè la com-prensione, in relazione alla temporalità del discorso. Stante che il discorso, il parlare, si fonda nell’esperienza dello sviluppo come assimilazione di scansioni dei movimenti posturali e gestuali dell’essere in relazione al materno, nonché delle azioni apprese, che si connotano a loro volta emozionalmente come memoria di situazioni e interazioni affettivamente rilevanti quanto all’intensità dell’energia vitale in campo. C’è dunque un rapporto stretto tra la temporalità e gli andamenti dell’energia vitale mediante i quali l’‘intenzionalità’ ci orienta nel mondo nel dotarlo di senso. Quando non troviamo un’affinità relazionale sufficiente nel mondo esterno, il nostro tempo si svincola dai possibili risvegli del desiderio e diviene tempo morto. La mancata attivazione di possibilità dell’esperienza annienta il ritmo temporale in un’uniforme mancanza di gratificazione o di senso. Il nostro tempo diviene così il luogo dell’assenza.