diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 1 - 2003

Differenza maschile

Tra incudine e martello

E’ la metafora che ho usato durante un incontro del nostro gruppo, a metà settembre, per esprimere il disagio di sentirmi stretto tra un pensiero maschile e uno femminile, entrambi scomodi. Da un lato un pensiero maschile, un agire, un linguaggio che sento sempre più distante, poco interessante, mortifero: penso alla guerra, al modo di fare politica, di stare insieme… Dall’altro un pensiero politico femminile che mi attrae, che sento portatore di senso, un pensiero vitale: penso alle pratiche del partire da sé, della mediazione, della relazione. Pratiche che non sempre riesco a capire, a fare totalmente mie, proprio perché sono un uomo. Parlandone nel gruppo ho capito che questo disagio non era soltanto mio, ho capito quindi che non ero solo (anche se questo non mi ha completamente tranquillizzato).

 

Quando Chiara Zamboni ci chiese di dare un titolo a questo incontro, istintivamente rispondemmo “tra incudine e martello”. Da questo disagio, però, sento la necessità di uscire. Come faccio? Il mio passato di metalmeccanico e ancor più il ricordo di mio padre che faceva il fabbro ed era un vero artista, mi indicano un’altra lettura di questa metafora. L’incudine e il martello per creare hanno bisogno l’una dell’altro, la collaborazione di entrambi è necessaria, ed è nel momento dell’incontro che nasce qualcosa.

 

Questo tipo di incontro, quello fra incudine e martello, fra pensiero femminile e pensiero maschile, io ho avuto la fortuna di averlo in casa: è stata mia moglie Natalia, che da molti anni frequenta il Grande Seminario, che per prima me ne ha parlato e mi ha costretto a fare i conti col pensiero della differenza e la pratica del partire da sé. Da quattro anni veniamo insieme al Grande Seminario e frequentiamo come liberi uditori alcuni corsi universitari tenuti dalle filosofe di Diotima. Grazie a loro ho capito cosa mi spingesse a frequentare questi luoghi. Qui succede qualcosa, è successo qualcosa.

Primo: l’incontro con queste filosofe che mi hanno dato una chiave di lettura diversa del mondo.

Secondo: l’incontro con studenti e studentesse giovani e meno giovani e con Serena che ci ha adottati come genitori putativi, ci hanno permesso uno scambio di studio, di vita e affetto.

Infine: con gli uomini del gruppo che mi hanno dato stimoli per rimettermi in gioco.

Il contributo di tutti, lo scambio di esperienze che si è aperto, sono stati per me indispensabili. Ma senza mia moglie oggi non sarei qui a raccontare nulla. È a Natalia che va il mio più grande riconoscimento: senza la sua costanza e il suo amore sarei ancora “là”.

Ora, mi rendo conto che non tutte le situazioni sono così, non tutti vengono aiutati in questo modo e non tutti sono disponibili ad accettare questo aiuto. Un problema (forse il maggiore) che divide uomini e donne è la mancanza del riconoscimento dell’autorità femminile. È difficile ammetterlo a se stessi, dirlo è quasi insostenibile.

Da dove nasce questa difficoltà? È orgoglio? Forse sì, ma solo in parte. Resto convinto che per quanto riguarda la mia generazione sia la competizione a fregarci, quella competizione che ci hanno insegnato fin da piccoli: “non piangere, sii forte, sii uomo!” insomma, come quello spot imbecille dell’uomo che non deve chiedere mai. A mio avviso questo è il vero problema, ed è anche un mio problema. Questo è uno di quei diavoli (come dice Luisa Muraro) che sono dentro di me e di cui fatico a liberarmi. Non so se valga lo stesso per le nuove generazioni, per me è una questione aperta.

Quando sono riuscito ad ammettere la mia parzialità, il mio non sapere sempre tutto, è stato liberatorio: capire questo mi ha aperto una strada, una terza via possibile, quella che forse sta nella materia lavorata da incudine e martello e che può mettere in relazione donne e uomini, un incontro necessario per comunicare e dare senso al nostro vivere.

Tutto ciò è faticoso, e a noi questa fatica pesa, non siamo abituati (parlo al plurale perché avendo conosciuto molti uomini mi sono reso conto che la questione ci accomuna). E questa fatica è dolorosa, e dal dolore noi fuggiamo. Deleghiamo altre. Le filosofe di Diotima, nominando questo dolore, usano la metafora della discesa agli inferi, lo fanno riconoscendo autorità alle filosofe e scrittrici che le hanno precedute. Scendere implica scavare, soffrire, star male per poi (forse) risalire. Ma io sono pronto ad affrontare questo tipo di discesa? E poi ancora mi chiedo: questa della discesa è l’unica strada possibile? E se poi non riesco a risalire?

Devo ancora capire tante cose, e questo mi crea non poco disagio.

Riuscirci per me significa superare il disagio attuale per arrivare finalmente con agio (come dice il mio amico Giacomo) a comunicare le mie sensazioni e i miei pensieri.

Questo anno di relazione politica fra noi uomini e la pratica che abbiamo intrapreso, a qualcosa sono serviti: noi siamo qui ed esserci non è facile. Ci avete aiutati, ci avete dato spazio. A noi è servito, e speriamo che quello che portiamo qui stasera sia significativo per tutti noi.