diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 13 - 2015

Caterina da Siena

Santa Caterina

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La prima volta che sentii parlare di Santa Caterina da Siena fu in prima Liceo, quando l’insegnante di lettere ci lesse in classe una sua lettera ai potenti della terra; ricordo ancora la domanda di una compagna: “Come mai una donna terziaria domenicana si permetteva o poteva scrivere ai re, ai papi?”

Leggendo “il Dialogo”  di S.Caterina ho capito perché.

Durante la lettura del “Dialogo” ho  potuto constatare l’energia  d`amore, la capacità introspettiva d’analisi e di riflessione (sull’anima  umana e le di lei inclinazioni, devianze, positività) di cui Caterina era dotata; qual era il suo rapporto con il divino, ciò che lei intendesse per divino.

Caterina esprime con chiarezza la potenza d’amore del suo colloquio con il  Dio che albergava dentro di lei , e che le indicava  vie maestre di comportamento e sentieri sicuri per giungere a LUI: Verità che è, per S.Caterina, Amore.

Il suo  linguaggio è preciso, chiaro, non lascia posto a dubbi, l’uso di metafore sottolinea il suo pensiero come quella del “corpo di Cristo” che inviato dal Padre diventa un “ponte” salvifico tra il cielo e la terra. Una vera potenza d’urto, il linguaggio di Santa Caterina, una potenza di fuoco a cui probabilmente nessuno  poteva restare indifferente.

S. Caterina .indica a noi che leggiamo le pagine del suo “Dialogo”, e non solo a noi, un percorso di salvezza nella trasformazione, fondato sull’amore tra Dio e la sua creatura “io v’amai prima che voi foste, ma non vi salverò senza di voi “ tra Dio e le sue creature “perché l’amore di me e del prossimo é una sola cosa“.

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La prima domanda che mi sono posta, nello scrivere, é perché ho scelto di commentare queste parole scritte da S.Caterina  nel Proemio:

“Levandosi un’anima ansietata di grandissimo desiderio verso l’onore di Dio e la salute dell’anime esercitata per alcuno spazio di tempo nella virtù, abituata e abitata nella cella del conoscimento di sé, per meglio conoscere la bontà di Dio in sé, perché al conoscimento seguita l’amore, amando cerca di seguitare e vestirsi della verità.”

La prima asserzione per me, “laica”, vuol dire: l’anima che è in ansia perché pressata dal grandissimo desiderio che si realizzi sulla terra la bontà e la bellezza, che S.Caterina attribuisce a Dio, desiderio legato indissolubilmente alla “salute delle anime “, salute intesa come “lo stare bene”, proprio lo stare bene nello spirito, non solo perché questo, per i credenti, aprirà le porte del cielo, ma anche perché questo stare bene nello spirito assicura a tutti, uomini e donne, una vita più serena. Un mondo con meno sofferenza, più giusto, con un po’  più di gioia é sempre stato per me una grande attrattiva, per non dire altro.

L’anima, continua Caterina, che é abituata ad abitare e che abita “la cella del cognoscimento di sé”,  perché questo desiderio abbia buon fine si deve temprare nella virtù. La parola” cella ” ha immediatamente attratto la mia attenzione.  Una “cella” dentro di sé è più intima anche della”stanza tutta per sé “, consente di allontanarsi dal mondo, da tutte le relazioni più strette o meno strette, perché il luogo della cella é quello del conoscimento di sé e non altro, perché lì, nella cella, ci si mette in relazione e si dialoga con il proprio IO più profondo, esercitandosi nell’onestà del giudizio, senza scuse si cerca di conoscere tutte le sfaccettature del nostro esistere, non per attuare un severo e censorio controllo, ma per sapere  riconoscerle e sapere quali  potrebbero intralciare il nostro cammino e quali, invece, aiutare  la nostra azione, volta all’amore di Dio e alla salvezza dell’anima.

”Conosci te stesso\a” é un monito che risuona da tempi antecedenti a S.Caterina, costei però gli pone come solo fine l’Amore, l’Amore per Dio che é Amore per gli altri, per tutti gli esseri umani: ”ogni offesa fatta a me si fa col mezzo del prossimo… perché l’amore di me e del prossimo è  una medesima cosa ‘“

L’anima, dice S.Caterina é “abituata” ad abitare la cella, il che vuol dire che il ritorno nella cella è  un’abitudine, costante, continua. Questo “conoscimento di sé non termina mai, si torna nella cella ogni volta che ve ne è necessità, la “Cella ” è il luogo della riflessione, della meditazione dove si cerca la Verità che poi capiremo che è tutt’uno con l’Amore e quindi con Dio. “Guarda che tu non esca dalla cella del cognoscimento di te, ma in questa cella conserva e spende il tesoro che io t’o` dato. Il quale é una dottrina di verità`fondata in su la viva pietra, Cristo dolce Iesu, vestita di luce che discerne le tenebre. Di questa ti veste, dilettissima e dolcissima figliola, in verità”.  Una Verità sostenuta da un’orazione “umile e continua, che io intendo anche come atteggiamento “umile”  verso la vita, intesa come rapporto con gli altri, mondo al di fuori di noi, “umiltà” che non vuole dire farsi da parte e lasciare che tutto passi, ma vuol dire dare spazio all’interrogazione, al dubbio, all’osservare bene, meglio, con pazienza, in profondità, rispettando,  a volte…  pagando.

“Questa é la via a volere venire a perfetto cognoscimento e gustare me,Vita eterna: che tu non esca mai dal cognoscimento di te, e abbasata che tu sei nella valle dell’umiltà, e tu cognosce me in te, del quale cognoscimento trarai quello che ti bisogna ed é necessario.” Per quanto riguarda “il temprarsi nella virtù” che l’anima deve compiere per realizzare il suo desiderio di vivere per l’onore di Dio e la salvezza delle anime,  S.Caterina  scrive che ”niuna virtù può avere in sé vita, se non dalla carità, e l’umiltà é “baglia della carità” espressione per la sua naturalezza e semplicità bella e molto chiara:  la carità,  è accudita, cresce nella umiltà , ne é a contatto giornalmente, da essa trae il suo primo nutrimento …. L’umiltà per S.Caterina è prodotta dall’odio per l’amor di se stessi e della  la propria sensualità intesa come attaccamento ai beni terreni. Dice Dio a S.Caterina: “tu sai che ogni male è fondato nell’amore proprio di sé, il quale amore é un nuvola che tolle il lume della ragione, la quale ragione tiene in sé il lume della fede e non si perde l’uno che non si perde l’altra… ogni verità s’acquista col lume della fede”, ricordiamo che secondo San Tommaso la fede vera non va mai contro la ragione! Sottolineo l’immagine dell’amore di sé come una nuvola qualcosa che non ci fa vedere bene, offusca ciò che sta in alto, non ci permette di vedere il cielo sereno!

L’anima che virtuosamente vive, dice S.Caterina, affonda le radici dell’albero, che la rappresenta, nella valle della vera umiltà, le anime che vivono miseramente nel monte della superbia. La valle, metafora di una tranquilla umiltà, il monte di una superbia che si impone, l’albero, metafora dell’anima. (Attraverso le metafore ci appare, spesso, il mondo naturale in cui vive Caterina fatto appunto di monti, valli fiumi, mare: una delle più belle metafore è quella di Dio “mare pacifico” . Grande, pieno di vite in  un continuo nascosto movimento, bello, che incute anche timore reverenziale e comunque anche “pacifico” sereno).  Tornando alle virtù che l’anima deve praticare  per raggiungere il suo scopo che è: stare vicino a DIO, S.Caterina  le introduce, quelle per lei più importanti, unite nella  bella metafora di un albero  rigoglioso, che rappresenta l’anima. L’albero-anima nato e nutrito dall’amore di Dio, è piantato in un cerchio di buona terra, la buona terra è l’umiltà “perché l’umiltà procede dal cognoscimento che l’anima a` di sé e già ti dissi che la radice della discrezione era un vero cognoscimento di sé e della mia bontà …”, il cerchio che circonda l’albero è un’altra metafora che significa ancora ” il luogo del conoscimento di sé”, che si identifica al tempo stesso con il luogo del  divino, del  Dio che è in noi, che non ha né principio né fine, come il cerchio. Il midollo dell’albero-anima è la pazienza, virtù che si manifesta, dice S.Caterina “nelle pene”, nei periodi duri. “Adunque portate virilmente Pazienza”. La  Pazienza è unita alla Carità. La Carità é definita in un altro punto del “proemio “vestimento nuziale” per l’anima, il vestito più bello, più desiderato, confezionato con infinita attenzione. Accanto all’albero, partito dalla sua stessa radice c’è un germoglio che rappresenta la virtù della “discrezione” che Caterina definisce, come già visto prima, “vero cognoscimento di sé e della bontà di Dio, e in questo conoscimento tiene le sue radici”. Ancora: “L’indiscrezione è posta nella superbia, la discrezione nell’umiltà”  e ”tutti i frutti che escono dall’albero sono conditi con la discrezione perché sono uniti come detto t’ho “.

“La discrezione” è un figliolo che è innestato e unito con la Carità e infine  “questo albero (anima) così dolcemente piantato gitta fiori odoriferi di virtù con molti e variati sapori, frutti di grazia all’animo, di utilità al prossimo e rende odore di gloria e lode al nome mio” Tutte le virtù più importanti per S.Caterina, la Pazienza, l’Umiltà, la Discrezione e infine l’Obbedienza nascono o sono a stretto contatto con la  Carità, la virtù più importante, quella che indossa il vestito nuziale, vestito che preannuncia un dono di sé, metafora che nell’immaginario dell’epoca sicuramente aveva una valenza molto più forte di quella che potrebbe avere oggi. I fiori odoriferi e i frutti di vario sapore che produce l’albero ben coltivato e rigoglioso sono quindi: la Grazia per l’anima che, attuando un processo di trasformazione, è vicina a Dio, l’Utilità per il prossimo, esercitando la quale l’anima dimostra di amare Dio e in fine ed a coronamento: la Lode e la Gloria del nome di Dio che si attua solo in questo modo. Questo é quindi il percorso che l’anima, ansietata di grandissimo desiderio deve compiere, per attuare “l’onore di Dio e la salute delle anime”.

Secondo me la via tracciata da S.Caterina non é la via della logica, della razionalità, anche se questa certo non manca nel suo libro e nelle sue parole, ma il primo moto della sua anima, la prima orma nella strada verso Dio, quella che poi percorre tutto il libro é: “il grandissimo desiderio” che Dio venga onorato nella sua grandezza di bontà e giustizia e bellezza e che le anime, conoscendolo, si salvino .

Le ultime parole del Dialogo sono: “veste, veste me di te Verità eterna, sì che io corra questa vita mortale con vera obbedienza e col lume della santissima fede, del quale lume pare che di nuovo inebri l’anima mia”.