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per amore del mondo edizione 18 - 2022

Insopportabile

Riflessioni sulla guerra in Ucraina: Simone Weil e l’azione simbolica

Avrei preferito farvi leggere altro. Avevo iniziato a scrivere un articolo che parlava del mio percorso di giovane insegnante. Un cammino orientato dalla fiducia e fatto di relazioni. Poi ciò che è accaduto tra la notte del 24/25 febbraio mi ha spinta in un’altra direzione. Non che io abbia smarrito la strada, anzi, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia mi ha portata a crederci ancora di più.

In questi momenti c’è estremo bisogno di trovare spazi in cui rimanere lucidi. È difficile parlare di quello che sta accadendo, trovare le parole per tradurre la sofferenza di milioni di esseri umani che cercano di fuggire dalla guerra con ogni mezzo, perdendo tutto e in molti casi anche parte della famiglia. Pensare al presente è un’urgenza e la scuola è uno dei luoghi in cui questa riflessione può essere fatta circolare.

Le dinamiche violente, mai scomparse dal mondo, da noi europei erano state trascurate e dimenticate, ma ora che la guerra ci colpisce così “vicino”, la sentiamo pesare sopra le nostre teste.  In seguito a questa invasione la domanda che ho sentito ricorrente è: “Ma perché?”. La risposta viene fatta risalire a questioni del passato che nel corso degli anni si sono inasprite e stanno portando a un progressivo riarmo degli eserciti.

Ciò che ho intenzione di fare scrivendo questo breve articolo è di condividere alcune riflessioni sulla guerra a partire dalla posizione di una filosofa del Novecento a me molto cara, Simone Weil. Lei vive in un’Europa dilaniata dai conflitti e il suo pensiero mi ha aiutata a ripensare ciò che sta accadendo. Weil è portatrice di una posizione alternativa alle chiavi di lettura che vengono proposte oggi, riconducibili alle coppie di opposti buono-cattivo, guerra-non guerra e propense a considerare Putin banalmente un folle.

Durante il mio percorso universitario ho studiato il suo pensiero, la sua vita e ciò che di lei ho sempre ammirato è stato il coraggio con cui ha affrontato le vicende a lei coeve. Mi sono spesso interrogata su cosa avrei fatto io al suo posto. Credevo però che non ci sarebbero più state occasioni per cui i nostri capi di Stato avrebbero dovuto decidere come affrontare aggressioni militari a paesi confinanti e combattere uno Stato per aver commesso crimini contro l’umanità. Ero certa fossero stati sufficienti le vicende dei due conflitti mondiali per insegnarci quanto sia indispensabile mantenere la pace, quanto essa sia più importante di rivendicazioni ideologiche dei territori, di dominio di aree di influenza economica e di interesse politico. Ora mi ritrovo spaesata nel vedere che le stesse dinamiche ritornano, uguali, paurose, come se non avessimo imparato nulla dagli errori del passato e la domanda “Cosa fare io al suo posto?” è quanto mai attuale.

Ripercorro brevemente le vicende della vita di Simone a partire dall’agosto del 1936, quando lei decide di recarsi in Spagna per aiutare gli oppressi a riprendere in mano il loro destino contro gli oppressori. Lei parla di una ‘necessità interiore’, che la porta ad arruolarsi nelle formazioni delle milizie repubblicane. Viene accolta in una formazione dislocata sulla riva sinistra dell’Ebro fino a che non è costretta ad andarsene in seguito ad un incidente[1]. Simone, dopo questa esperienza diretta, si lancia in una lotta a sostegno di un non-intervento. Diffidando totalmente della forza[2], non smette però di essere solidale con i combattenti, inviando aiuti materiali e facendo circolare notizie sulla verità di quello che stava accadendo. Dalle riflessioni che lei ha lasciato relative a questa fase della sua vita, contenute nel Diario della guerra di Spagna, emerge che, anziché le azioni militari, a lei interessano maggiormente le condizioni di vita del popolo, dei contadini, i loro stati d’animo e le loro reazioni. Lei mantiene l’attenzione rivolta alla sofferenza degli esseri umani di fronte alla guerra, sganciandosi totalmente dalla logica della violenza. Simone mantiene vivo il desiderio di giustizia, di libertà e di umanità ed è consapevole che la vera solidarietà è battersi per far tacere le armi. La guerra deve essere evitata non per viltà, ma perché essa è sempre causa di distruzioni e sofferenze. La guerra è sempre condannabile in quanto opprime la società civile, abolendo tutte le libertà.

La sensibilità che Weil ha nei confronti di coloro che soffrono a causa della guerra deve essere per noi un esempio. La capacità di mantenere l’attenzione sulla sofferenza degli esseri umani, il cui corso della vita è stato interrotto dal conflitto, è il primo passo per comprendere ciò che realmente è la guerra: al di là di tutti i motivi che tentano di dare alla guerra una spiegazione razionale è un crimine da condannare in toto.

Simone vive anche la tragedia della Seconda guerra mondiale e sin da subito si interessa nella difesa della pace e nella diffusione di una cultura capace di contribuire alla sua salvaguardia. La sua posizione può essere definita pacifista e dalle sue parole si evince come per lei pacifismo non implichi il non fare nulla: Non essere complice. Non mentire-Non restare cieco[3]. Il desiderio di giustizia e di verità che accompagnano Simone lungo tutta la sua riflessione, la portano ad impegnarsi nel sociale e nella politica per cercare di porre rimedio alla situazione di guerra in Europa, senza cadere nella logica della violenza. 

Oggigiorno ci ritroviamo nella stessa impasse in cui si trova Simone. Rispondere alla guerra con la guerra non è la soluzione per riportare la pace poiché, intraprendere questa strada, non farebbe altro che far precipitare l’Europa intera in un circolo vizioso di violenza. Nemmeno una posizione di sterile pacifismo può essere la soluzione poiché siamo in una situazione di emergenza e c’è urgenza di agire.

Ritorno al marzo del 1939, quando le armate tedesche invadono Praga, Simone intensifica i suoi sforzi verso una direzione di maggiore concretezza nelle azioni, facendo sempre attenzione a non cadere nella logica della violenza.

Lei inizia a ricercare altri modi per avere presa sul reale, alternativi a quello dell’intervento diretto e immediato, e giunge ad elaborare un nuovo modo di pensare l’azione in guerra come azione simbolica. Non si tratta dell’azione violenta già prevista nella guerra, ossia un’azione eroica che segue completamente la logica della forza. L’azione simbolica è portatrice di un diverso tipo di efficacia, è un’azione i cui risultati non hanno un effetto violento e non irrompono nella realtà, deviandone il corso. Essa non ha la pretesa di piegare la realtà ma si limita a rispondere agli squilibri della necessità, per cercare di ripristinarli.

A partire da questa posizione nei confronti dell’azione, Simone si fa promotrice di un piano di guerra alternativo, svincolato dall’ingranaggio produttore di morte della violenza. Questo piano prevedeva di formare un piccolo gruppo di infermiere che si sarebbero dedicate ad assistere e a curare i feriti di entrambi gli schieramenti, in pieno combattimento. Simone stessa avrebbe voluto prendervi parte. Per lei questo progetto di intervento immediato ai feriti di guerra, oltre al vantaggio di salvare delle vite, avrebbe dovuto essere soprattutto portatore di un significato simbolico capace di porsi come potente arma nella lotta contro il nazismo: il valore di questo progetto sarebbe dovuto risiedere non nella forza della violenza ma, nella forza comunicativa dell’azione simbolica[4]. Le donne divengono testimonianza di un coraggio usato non per uccidere ma per salvare vite. Simone è consapevole delle infermiere, l’entità dei soccorsi sarebbe stata relativamente piccola. Ciò che per lei conta maggiormente è il significato simbolico che un’azione di questo tipo avrebbe portato all’interno della lotta contro il nazismo:

Un piccolo gruppo di donne che esercitasse giorno dopo giorno un coraggio di questo genere sarebbe uno spettacolo totalmente nuovo, talmente importante e carico di un significato talmente chiaro da colpire l’immaginazione più di quanto non abbiano fatto fin qui i diversi procedimenti inventati da Hitler […] La sua portata simbolica sarebbe colta ovunque[5].

È chiaro come il Progetto di formazione di un corpo di infermiere di prima linea sia portatore di un’azione che ha un diverso tipo di efficacia. L’azione delle infermiere non è compiuta in nome di uno Stato e non mira ad ottenere qualcosa, pur nell’opera di cura dei feriti, ma sta in una dimensione di desiderio infinito. Questa azione risponde ad un’urgenza di agire derivante dagli squilibri della necessità. Ma anziché rispondere con le stesse armi, alimentando così il circolo vizioso di violenza, è portatrice di un agire alternativo, basato sul coraggio e sulla tenerezza femminili, che permette di aprire una sospensione all’interno della dinamica data e prevedibile. Il corpo di infermiere, è capace di distaccarsi dal meccanismo cieco della violenza, può agire seguendo così la necessità ma senza cedere alla forza.

La riflessione di Simone ci insegna che esistono molteplici piani dell’efficacia ed è su questi che dobbiamo lavorare per porre un freno al dilagare della violenza. Ci aiuta a guardare con maggiore lucidità i fatti a noi coevi e a riconoscere l’importanza di tutte le iniziative di aiuto e supporto alla popolazione colpita dalla guerra nate spontaneamente: le manifestazioni nelle piazze, la sospensione di eventi in rispetto alla sofferenza, l’invio di cibo, i viaggi fino al confine della Polonia per assicurare un passaggio sicuro ai profughi di guerra, l’accoglienza di questi ultimi nelle proprie case e nelle nostre scuole.

Ciò che possiamo fare non è decidere se schierarci a favore o contro la guerra. La via da percorrere è quella che pone davanti a tutto la vita. Questo percorso è fuori dalla dicotomia guerra o non guerra, si colloca su un altro piano. Lo stesso piano su cui Simone aveva collocato l’azione delle infermiere al fronte.

Tutte le iniziative spontanee, di cui sopra ne ho citate alcune, secondo altre forme, seguono questa logica. Non sono prive di effetti, ma lavorano su altri piani di efficacia, diversi da quelli dell’azione eroica in guerra. Pur ottenendo risultati minimi, rispetto ai danni e alla sofferenza provocati dagli eserciti, tutte le iniziative prese per aiutare sono portatrici di trasformazione. Esse mostrano infatti come esista sempre una possibilità altra, una dimensione che pone sopra tutto la dignità dell’essere umano. Simone parlava di un infinitamente piccolo capace di entrare nei contesti e di trasformarli, allo stesso modo del lievito nel pane. Questa metafora ci aiuta a riconoscere il valore di ogni singolo gesto. Se pensiamo che tutti noi possiamo fare qualcosa per cambiare la situazione, tutti noi daremo il nostro contributo. Se pensiamo che solo qualcosa di grande possa fermare Putin o resteremo senza fare nulla perché “tanto è inutile”, o commetteremo l’errore di mettere in campo tutta la forza militare a nostra disposizione perché “è l’unico modo efficace”. Se scoppiasse la guerra con le armi che gli stati hanno oggi a disposizione tutto scomparirebbe.

Dall’altra parte non possiamo astenerci dall’azione, ma agire secondo una diversa modalità: mettere al centro delle azioni la dignità, il diritto, la vita. Mantenersi nell’ordine di desiderio di giustizia e di verità. Questo è il modo di rispondere alla guerra che si pone al di là della dicotomia guerra non guerra, sono tutte le azioni che si pongono sullo stesso piano dell’azione simbolica di Simone Weil, che possono apparire insignificanti, di poco impatto. Ma è l’unica via percorribile per creare delle condizioni politiche che vadano in una direzione diversa da quella del potere. 


[1] Simone, che era stata collocata nella cucina del campo, mise sbadatamente un piede in una padella interrata di olio bollente. Data la sua totale incapacità di maneggiare senza pericolo un fucile, fu un incidente provvidenziale: “Per quanto fosse stato doloroso, l’incidente l’aveva salvata” Simone Pétrement, La vie de Simone Weil, (La vita di Simone Weil, trad. it. di Efrem Cierlini, Adelphi, Milano 2010) cit., pag. 373.

[2] Simone Weil considera anche coloro che combattono per la causa repubblicana come caduti nel circolo vizioso della violenza perché hanno smarrito gli ideali di giustizia.

[3] S. Weil, Cahiers, I, (Quaderni, vol. I, a cura di Giancarlo Gaeta, Adelphi, Milano 1982) cit., pag. 113.

[4]  Ho usato il condizionale in quanto questo progetto non fu mai realizzato, nonostante Simone avesse messo in campo tutte le sue risorse nella speranza di vederlo attuato. Il progetto non trovò consenso perché considerato troppo pericoloso, irrealizzabile e, per qualcuno, folle.

[5] Simone Weil, “Progetto di una formazione di infermiere di prima linea”, In Ead., Simone Weil-Joë Bousquet, Corrispondenza, a cura di Adriano Marchetti, SE, Milano 1994, cit., pag. 56.