diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 8 - 2009

In Memoria

Ricordo di Ivana Ceresa

 

 

Ivana Ceresa è morta il 28 febbraio, la vigilia del ritorno della primavera.

La morte dà compiutezza alla vita che viviamo in prima persona; poi, sempre su questa terra, comincia quella che viviamo nel ricordo e nell’affetto delle poche o tante persone che hanno popolato la nostra esistenza. Sono tante, nel caso d’Ivana, e in maggioranza donne.

Era nata a Rivalta sul Mincio il 14 marzo 1942 e qui passò l’infanzia e l’adolescenza. Di quel tempo ci ha consegnato un ricordo sopra tutti, quello della nonna paterna: a lei, raccontava Ivana, ho fatto le prime domande su Dio, da lei ho ricevuto la grande ispirazione della mia vita, essere teologa. Teo-logare, dire Dio, è quello che ha voluto fare, principalmente, fin da giovane. Singolare vocazione in ogni tempo, doppiamente per una donna cattolica di quei tempi, cui era precluso ogni accesso allo studio della teologia. Ma i tempi sarebbero cambiati, e sono cambiati anche grazie a lei e altre come lei.  Nel 1966 si laureò in lettere all’Università cattolica di Milano, con una tesi su “San Bernardo e i laici”, per la cui preparazione ebbe la gioia di un incontro con Yves Congar, che ricordiamo tra i rinnovatori della teologia cattolica e che, all’epoca, era consultore ai lavori del Concilio Vaticano II, allora in corso.

La mia amicizia con lei risale agli anni dell’università, infatti eravamo entrambe “marianne”, cioè ospiti del Collegio universitario Marianum. Di lei mi stupì non poco scoprire che la sera, nella sua stanza, recitava il rosario in compagnia di poche altre, da lei liberamente riunite. Per me era una bigotteria, ma non osai pensarlo di lei, perché ogni cosa che faceva, la faceva con signoria, già allora.

Di ritorno a Mantova, Ivana conobbe e sposò Maurizio Castelli, agronomo, che le è stato vicino fino alla fine, con lui ha avuto due figli e insieme a questi nella loro famiglia è cresciuta anche una bambina ricevuta in adozione. Ricordo il loro accogliente interno domestico, affacciato sulla bella piazza Matilde da Canossa: lì noi due, quando abbiamo ripreso a frequentarci, verso la fine degli anni Ottanta, ci siamo ritrovate tante volte a riflettere sulla politica delle donne, sui grandi cambiamenti in corso, su noi stesse, per non farci sorprendere impreparate. Lei avrebbe detto: per tenere la lampada pulita e accesa. Lì le arrivavano telefonate con richieste di ogni tipo e poi, a una certa ora, in carne ed ossa, i figli e il marito e insieme si mangiava. Accostare con sorprendente armonia cose ordinarie e cose straordinarie, è sempre stata una caratteristica di questa donna che stiamo ricordando e incominciamo a conoscere meglio.

A Mantova, dopo la laurea, diventò insegnante di lettere nelle scuole medie superiori. Partecipò alle rivolte giovanili del Sessantotto e lei stessa ha riassunto la sua partecipazione con parole lievemente ironiche: “In quegli anni teologai per contestare: l’autoritarismo, il conformismo, la misoginia, il capitalismo e tutto il resto, scrivendo e parlando, occupando e dimettendomi, nella scuola, in casa e in chiesa”. Ma lo faceva in una prospettiva mutilante, scriverà in seguito: “pensavo che fosse ancora tutta questione di raggiungere la parità, di volere e poter essere come un uomo. E spesso ci riuscii: la mia compromissione con il patriarcato era così grande e inconsapevole da ritenermi interpretata dalla prospettiva emancipazionista”. La svolta che le mostrò la sua personale vocazione venne negli anni Ottanta e fu il compimento, improvviso e sorprendente, di un lungo percorso, cominciato negli scambi con la nonna di Rivalta. Vide che la sua strada, da sempre, andava nel senso di dire Dio al femminile, di aiutare dunque la Chiesa nel suo insieme a uscire dal sessismo del linguaggio, delle pratiche, dei modelli, e le donne a parlare e muoversi in essa liberamente e autorevolmente. Bisogna dire che lei, Ivana, di ciò ha dato un esempio notevolissimo, che mi sento di poter accostare a quello delle grandi figure femminili nella storia della Chiesa. In quella presa di coscienza, a detta della stessa Ivana, contò l’incontro e lo scambio con la comunità filosofica Diotima dell’Università di Verona, nata nel 1984 e conosciuta per le sue ricerche sul pensiero della differenza sessuale.

Da quel momento cominciò per lei una stagione di letture, di scrittura e di parola che è durata fino ai nostri giorni, in grande e in piccolo, nella pratica quotidiana come nei colloqui e convegni in diverse parti d’Italia, per cambiare il linguaggio della fede e della predicazione in rispondenza con l’esperienza delle donne, con i loro saperi e le loro esigenze. Raccontare Dio in lingua femminile, dirà. I percorsi della sua ricerca come della sua predicazione (parola insolita per una donna, ma esatta per lei) non si fermavano mai al solo ragionamento filosofico ma passavano regolarmente per la meditazione della Bibbia e per la storia della Chiesa. Oltre al riferimento, dominante, alla figura di Maria, c’erano quelli alle sante, come Chiara d’Assisi, Angela Merici, Osanna Andreasi, e ad altre protagoniste che sante non furono mai dichiarate, come Guglielma Boema e Margherita Porete.

Mantova, città e diocesi, è sempre rimasta il luogo maggiore e centrale del suo impegno. I gruppi e le associazioni di donne in città e provincia hanno sempre contato sulla sua partecipazione. Ivana era contenta di essere mantovana. Della città conosceva e onorava la storia politica. La sua appartenenza principale, naturalmente, era alla Diocesi, per la quale in effetti si è costantemente spesa in tanti servizi ecclesiali, sempre un po’ sorpresa di non essere impiegata apertamente per quello che lei propriamente era, una donna teologa. Paradossalmente, questo titolo le è stato riconosciuto più volentieri in ambiente laico. Tra le esperienze più belle e importanti della sua vita, dopo la svolta, Ivana metteva il seminario da lei tenuto nel 1989-90 presso la mantovana Scuola di cultura contemporanea, e intitolato “Donne e teologia: dire Dio al femminile?”, che fu per le molte accorse, l’occasione di entrare in contatto con la migliore teologia femminista e per non poche di tornare a pensare a Dio.

Tuttavia, la Diocesi mantovana non ha mancato di approvare quella che consideriamo l’opera più importante di Ivana Ceresa. Mi riferisco alla Sororità che l’anno scorso ha compiuto dieci anni. La fondazione ad opera di Ivana Ceresa risale dunque al 1998 ed ebbe il riconoscimento del vescovo di Mantova, Egidio Caporello, nel 2002. Si tratta di un’aggregazione femminile (ma lei ne parla come di un ordine) per la quale la fondatrice si è ispirata, spiega lei stessa, alle cristiane antiche, alle beghine, alle compagne di Chiara d’Assisi, a quelle di Angela Merici, come anche al pensiero delle teologhe femministe e delle filosofe della differenza. Impresa umile e ambiziosa insieme, esattamente com’era lei (e come resterà nel nostro vivo ricordo), una donna placida che riuniva gli opposti in un mix di cui lei conserva il segreto e noi godiamo i frutti.

(Luisa Muraro, 1° marzo 2009)

 

 

Le citazioni e una parte delle notizie sono tratte da:

 

Ivana Ceresa, Relazione per la conferenza anglo-italiana “Donne e istituzioni”, 10-12 sett. 1991, sez. “Donne nella Chiesa”, testo dattiloscritto in data 8 sett. 1991;

 

Ivana Ceresa, Regola dell’ordine della Sororità, in “Via Dogana” 48 (febbraio 2000), pp. 15-17).