diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 9 - 2010

Lingua dell'altro

“Quello è un cretino” o della specularità della lingua

Riprendo l’invito di Vita Cosentino a tornare, nei momenti di impasse, alle origini.

La presa di parola delle donne, nel movimento degli anni ’70 del 1900, era legata a due scoperte:

– “Tutto il mondo deve cambiare perché io possa esserci”;

– “Io devo cambiare per trasformare la mia relazione col mondo”

Per questo era una parola politica: non solo leggeva la realtà introducendo il proprio punto di vista e invalidando la lettura precedente, ma inseguiva un cambiamento. E scommetteva su di sé: sul proprio desiderio e sulla possibilità/necessità di un cambiamento.

Oggi, quando leggiamo la realtà immobilizzandola, anche se diciamo delle verità, la nostra lettura diventa impolitica e ci fa perdere la scommessa fatta su di noi. Insieme alla mia amica Maria Grazia Maitilasso, notavamo che è una tentazione molto grossa quella di leggere la realtà immobilizzandola nei giudizi. Spesso si presenta nel Circolo la merlettaia e comunque nei rapporti fra noi e con altri. Dirò rubando le parole di un personaggio di Goliarda Sapienza che questo riguarda soprattutto noi donne, “sempre con gli occhioni languidi, spalancati in attesa di un principe perfetto“ e pronte ad allontanare lo sguardo disgustate quando il mondo si presenta con tutte le sue contraddizioni. Il problema degli uomini è più quello di affogare nella realtà. Ormai, aggiungevamo, c’è un’ultima frontiera: non è il maschio, non l’xtracomunitario, il colpevole di tutte le contraddizioni è il cretino. Il muro che alziamo nella comunicazione fra noi e l’altro quando pensiamo che “è troppo cretino” è politicamente pericoloso perché, anche se legge il dato di realtà (l’altro può essere effettivamente un cretino), chiude quel dato nell’immobilismo. Infatti il massimo che possiamo fare, quando usiamo questo giudizio, è girare le spalle e andarcene. Senza parole. Invece cercare le parole per capire perché è cretino o lo giudichiamo tale e quale legame c’è di fatto anche con quel cretino, apre spazi di riflessione, permette il conflitto simbolico con l’altro e tra sé e sé, mette in movimento la realtà.. La rigidità di alcuni giudizi, come quel “è un cretino”, depotenziano il simbolico perché chiudono la realtà in insiemi: l’insieme dei cretini tutti uguali fra loro.

Il simbolico non è, secondo me, il contrario di diabolico, almeno nell’accezione corrente di quest’ultimo termine come figura del male. Il simbolico è al di là del bene e del male perché ci permette di elaborare non solo ciò che ci dà benessere, ma anche -e forse soprattutto- ciò che ci dà malessere, ciò che non ci piace, anzi ci infastidisce. Se apriamo il ventaglio dei sensi possibili, allora il simbolico amplia la realtà, rompe gli insiemi, mostra la varietà delle risposte e aiuta il lavoro politico, anzi insieme fanno tutt’uno; infatti noi diciamo: la politica del simbolico. Oggi c’è molto bisogno di questa politica, perché “quello di combattere il nemico con le sue stesse armi mi pare sia un vizio che sarà molto difficile levarci” diceva Goliarda Sapienza (Lettera aperta, ed Sellerio, 2008, p 36). Capire la realtà, anche quando non ci piace e non lasciarsi chiudere in un linguaggio speculare è la sfida che la differenza femminile deve affrontare. Secondo me anche quella maschile. Non è un caso che Nichi Vendola, che si sta muovendo in modo differente nel panorama politico maschile, stia sostenendo come prima cosa la necessità di trovare un nuovo linguaggio, partendo dall’insufficienza di quelli finora elaborati. E Nichi Vendola, come Marco Barbieri, fra gli artefici principali, nella giunta Vendola, di una legge regionale per l’emersione del lavoro nero, presa a modello in Europa, sono tutti e due consapevoli di aver imparato molto dal movimento politico delle donne. Lo dicono apertamente e si sente.

Per quanto ho potuto vedere io direttamente la novità del loro linguaggio consiste nel fare riferimento ad elementi di esperienza personale per non cadere in affermazioni di principio e nello stesso tempo per stabilire un clima di fiducia in chi ascolta. Dove fiducia non vuol dire complicità. Ancora, è ricorrente nel loro discorso il richiamo ai fatti in tutta la loro concretezza, ma anche collocando quei fatti in un orizzonte di senso e in un’ottica di trasformazione, mostrando un nuovo realismo, dicono alcune amiche e amici del circolo La merlettaia di Foggia “che del reale sa fare una leva per il cambiamento, invece di schiacciarsi sull’esistente”.

O anche, citando il movimento di donne pugliesi per fare la differenza creatosi intorno a Vendola: “Abbiamo imparato ad amare Vendola per il suo linguaggio diretto e sincero, perché ha saputo coniugare il sentimento di giustizia sociale con una buona amministrazione, fatta di concretezza… Dicono di Vendola che fa troppo il poeta, noi diciamo che tutta la politica deve imparare dalla poesia, se poesia vuol dire mantenere un legame con sé stessi, praticare la difficile arte della relazione, cercare una lingua che sa parlare ai sentimenti di tutti, guardare alla realtà con sguardo creativo. O, come lui dice, -portare nella contesa i corpi e l’esperienza viva dei lavoratori, dei bambini, delle donne e degli uomini-”.