diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 12 - 2014

Il nostro movimento è irreversibile

Prima di tutto, noi venute dopo

Nel 2012, quarant’anni dopo la nascita del femminismo italiano, una lettera convocava le femministe di nuovo a Paestum 1. Le firmatarie erano donne che avevano vissuto in prima persona gli anni ‘70 e volevano ritrovarsi ancora in una grande assemblea nazionale. In quel luogo abbiamo percepito un’intensità speciale, che accomunava le femministe storiche: ha a che fare con l’esperienza irripetibile e indimenticabile di un mondo che cambia di colpo grazie al proprio agire politico, di una nuova storia che ha inizio e con la percezione di sé come creatrici di questa nuova storia. Si tratta di donne che, avviate all’emancipazione, non sono restate sorde all’intima sofferenza che il dominio simbolico degli uomini comportava e l’hanno disfatto sottraendosi, dicendo no, in una situazione politica durissima (guerra fredda, potenze contrapposte) e in un clima generale di rivolta. La grande assemblea di Paestum 2012 (circa 1000 donne) ha messo al centro i conflitti fra pratiche politiche e letture del mondo con l’agio che permette una due giorni di corpi e parole. La questione della rappresentanza e la discussione sulle pratiche che si sbilanciano tra politica prima (partire da sé e pratica di relazione) e seconda (nei partiti e istituzioni) sono stati temi molto discussi in assemblea. Ma la chiamata era a ritrovarsi sul “Primum vivere”, nominato anche nel Sottosopra Immagina che il lavoro2. Lia Cigarini in C’è una bella differenza3 scrive: «La crisi merita un pensiero efficace. Primum vivere mette al centro e indica come imprescindibile la materiale irruzione della soggettività, delle storie e delle vite (…). La mia proposta dunque è di dire e ribadire pubblicamente quello che sappiamo su come vogliamo vivere e sul lavoro necessario per vivere, a partire dalla critica della evidente unilateralità dell’economia maschile, sia di quella dominante che di quella di opposizione. Con la consapevolezza che quello che si dice e si agisce ha un valore universale: vale non solo per noi, non solo per le donne» (pp. 27, 28). Proprio su questo vertevano le urgenze politiche delle “venute dopo” l’ondata del femminismo, che si sono fatte sentire rimettendo al centro la questione del lavoro e della precarietà, con il conflitto incardinato sul nodo dell’autorità. Due giorni a loro non erano bastati e il desiderio pretendeva un nuovo “Paestum” per il 2013. E così Paestum 2013 è nato dal gesto fatto dalle promotrici di Paestum 2012 che, in un’assemblea a Bologna nel giugno scorso hanno detto “andate avanti voi”, e dall’assunzione di responsabilità da parte di chi è “venuta dopo”.

L’ondata degli anni ‘70 è finita, non c’è più il clima travolgente degli anni fondativi del femminismo italiano, ma le figlie del femminismo sono nate, e vogliono esserci, con le loro urgenze e il loro vissuto.

A Paestum 2013 il desiderio di politica e la passione che abbiamo provato con molte altre donne ci hanno fatto vivere momenti di scambio vivo e gioco di fare e disfare in relazione. Nei momenti felici era gioco fuori dalle logiche già date e dai luoghi comuni, perciò dava ali all’agire politico. Tra le donne “venute dopo” c’erano alcune più legate alle pratiche fondative del femminismo, come l’autocoscienza e la scoperta del corpo, con tanto di speculum. Altre più movimentiste e legate ai collettivi dei centri sociali. C’erano le separatiste radicali, che non volevano nemmeno sentire nominare un uomo. E c’era chi leggeva Carla Lonzi ogni sera, al posto della bibbia. Chi era scesa in piazza con il rossetto rosso Ruby Rubacuori e chi si ispirava alle beghine o alle preghiere delle Pussy Riot. C’era un collettivo che srotolava lo striscione “Stato di eccitazione permanente” di fronte all’assemblea di femministe, provocando coraggiosamente con parole pensate e un ventaglio rosso. E infine, anche chi cercava di lottare dentro i partiti perché il sapere delle donne non finisse per essere inglobato in una macchina neutra “politically correct”. Venivamo da tutta Italia, ci eravamo «incontrate» per lo più via internet ed eravamo curiose di conoscerci di persona. Sicuramente ci univa la passione politica e la domanda sull’efficacia delle pratiche4, anche se avevamo parole e storie diverse.

Parole scambiate in ascolto vero e conflitti praticabili sono essenziali quando si deve fare un progetto insieme, quando si deve firmare la stessa lettera. Tuttavia se le differenze si trasformano in conflitti estenuanti, consumati via web, c’è un difetto di pratica che va pensato.

 

La rete e i conflitti

È necessario affrontare un punto importante che ha a che fare molto da vicino con la scommessa di noi che scriviamo, una scommessa che riguarda il nostro presente: è possibile giocare la nostra pratica politica in internet?5. Il desiderio che, ormai molti anni fa, ci ha mosse con la creazione del sito della Libreria delle donne di Milano era quello di creare qualcosa di inedito all’interno della realtà virtuale, apparentemente dominata da un linguaggio universale, neutro e senza corpo, facendovi circolare un sapere ancora sconosciuto, a partire dalla differenza femminile e dalla forza delle relazioni tra donne. Dunque non una rete delle donne per le donne, ma un sapere in rete, creato da soggettività femminili. Attraverso questa operazione simbolica volevamo segnare e tagliare con la differenza femminile la realtà unisex-multisex della rete e ci pare che questo punto sia guadagnato: noi ci siamo ed è viva la nostra lotta contro l’assimilazione a uno o la dispersione nell’indifferenziato.

È noto ai più che internet è una risorsa sempre più importante per donne e uomini che fanno ricerca, informazione, cultura e politica e che le donne sono presenti e attive soprattutto con l’avvento del Web 2.0 e delle “reti sociali”. Si sono affacciati nuovi concetti di amicizia, partecipazione, cittadinanza perché anche in rete diventiamo soggetti che interagiscono, scambiano e collaborano quotidianamente. Noi sappiamo, perché ci è successo, che nel web si creano legami e relazioni concrete su cui possiamo contare: per esempio con le donne di Collettiva Femminista di Sassari, conosciute in internet prima che di persona. Conosciamo anche la straordinaria opportunità di mantenere legami e scambi con donne in giro per l’Italia, che il sito della Libreria delle donne ci ha regalato.

E però. In relazione al percorso di Paestum 2013 abbiamo sperimentato lo scacco nel giocare in rete la pratica di relazione, su cui si fonda la nostra politica.

Va detto che Paestum è l’incontro nazionale di un femminismo che da sempre è stato plurale e conflittuale, essendo il femminismo una questione (una lotta) che riguarda cambiamenti di relazioni alla base della civiltà, cioè il rapporto tra i sessi ma anche tra donna e donna e tra uomo e uomo. Ecco che il punto della questione inizia a emergere: il conflitto. La pratica della relazione è anche pratica del conflitto relazionale, cioè un modo per modificare costantemente le relazioni: a partire da una contraddizione si discute per trovare un punto di contatto che è modificazione di sé e dell’altra, non è distruzione, resa o conteggio della maggioranza. Il conflitto è regolato dalla relazione, non dalla forza: non è il classico scontro di potere, non sono schieramenti contrapposti, non è unanimismo. Non è facile nemmeno a dirsi, soprattutto via web! Infatti la preparazione dell’incontro di Paestum 2013 è stata una faticosa maratona di mail tra le donne “venute dopo”, che si erano assunte la responsabilità di promuovere l’incontro. E la lettera di invito ha creato diverse critiche perché è nata da un confronto certamente serrato, ma rigido e solitario di fronte a un monitor. Noi due abbiamo partecipato a questa impresa, nonostante insoddisfazioni e incomprensioni, perché la nostra scommessa era puntare sulle relazioni tra le “venute dopo” per allargare la possibilità dell’agire politico e dare, darci nuove occasioni di scambio. Ma porre via web le proprie sfide, come la questione dell’invito “agli uomini”, ci ha messo a dura prova. Noi che scriviamo volevamo porre il conflitto tra i sessi al centro dell’incontro di Paestum. Dopo anni di esperienza nelle relazioni di differenza con gli uomini, crediamo che questo sia un nodo politico fondamentale e imprescindibile in quest’epoca storica. L’abbiamo messo in gioco nei luoghi in cui facciamo politica, come la Libreria delle donne di Milano, e volevamo rilanciare la questione anche a Paestum, un luogo-simbolo del femminismo. Le altre partivano da altri desideri, come è giusto che sia. Che relazione sarebbe, che scambio potrebbe mai esserci, se l’altra deve pensarla in tutto come la penso io? Via mail era stata proposta una mediazione da parte di alcune che rilanciavano l’invito, non agli uomini in modo indiscriminato, ma alle relazioni politiche significative che ciascuna poteva avere. Noi due abbiamo accettato e la discussione in mail si è fermata, salvo riprendere sul blog di Paestum (paestum2012.wordpress.com) con modalità che assomigliavano a contrapposizioni tra schieramenti. Lo scambio su blog può dare l’illusione di essere una modalità democratica, plurale, in cui ognuna può dire la sua. Ma in realtà spesso i “post” sui blog diventano appelli a-relazionali, che prescindono dai destinatari veri, hanno la pretesa di parlare a “tutti”, ma capita di perdere di vista le persone a cui ci si vuole davvero rivolgere. E così, dopo mesi di scambi estenuanti e sordi, alla fine si contava chi era pro e chi era contro gli uomini a Paestum, sebbene fosse chiaro a tutti che la questione non era quella, riproducendo, tra l’altro, la peggiore modalità di ricerca di consenso del web: la maggioranza dei “mi piace”.

E, di nuovo, quando dopo Paestum alcune hanno espresso il desiderio di trovarsi su nodi che riguardavano in prima battuta noi “venute dopo”, il web non ha aiutato. Il blog e le mail hanno alimentato fraintendimenti e mistificazioni, impedendo di fare chiarezza nei confronti di chi si è sentita esclusa. Ilaria Durigon, Laura Capuzzo e Chiara Melloni, alcune tra le organizzatrici di Paestum 2013, hanno lanciato una provocazione pubblica sul blog, dicendo che si trattava di competizione tra noi “venute dopo” 6. Sarebbe stata una questione interessante da affrontare, ma chi l’ha posta doveva prendere il coraggio e aprire il conflitto in presenza, non sottrarsi, perché sul blog i desideri di relazione svaniscono. Quindi, ancora una volta, la vicenda ha mostrato quanto sia difficile la pratica del conflitto se non ci si mette in gioco fino in fondo, di persona. Il blog, che alcune pensavano come un luogo per il confronto anche a distanza, è stato usato per sottrarsi al conflitto e ha creato ancora una volta schieramenti e chiusura. Perché? Conosciamo i meccanismi di quando ci troviamo sole, davanti al computer: l’altra non è di fronte a noi, la reattività non è mediata dal suo sguardo, c’è poco tempo per pensare e la fretta non ti fa calibrare le parole o pensare alle possibili conseguenze. Per questo si creano facilmente rigidità e le sfumature si perdono. L’egocentrismo si amplifica per l’eccitazione di essere lette e osservate, e questo succede anche (e soprattutto) a chi non ha il coraggio di parlare in pubblico, perché si trova in una situazione “protetta” ma con un pubblico virtualmente infinito. In internet, poi, i testi troppo lunghi e complessi, anche se pensati, non vengono letti, funziona invece chi si esprime brevemente e facilmente, soprattutto se drammatizza ed enfatizza i conflitti.

La partita delle pratiche politiche originarie del femminismo, in un momento storico ed esistenziale così segnato dalla presenza della rete è cruciale. Noi che pratichiamo la rete e ne intravvediamo le potenzialità politiche dobbiamo riflettere e pensare, a partire dalla narrazione delle nostre esperienze, per allargare la possibilità del nostro agire politico.

 

 

Pensare in presenza

Uno dei guadagni di questa esperienza sta nella consapevolezza che, a partire dal desiderio e dalla passione vissute a Paestum, possiamo tentare di affrancarci da una rappresentazione del presente dominata dalla figura della crisi, della rovinosa caduta libera, dell’impossibilità del cambiamento. Possiamo darci un’altra possibilità di agire politicamente, che non può prescindere dalla relazione in presenza.

A Paestum 2013 lo scambio tra noi ci ha regalato momenti di verità e di apertura: la gioia di trovarsi ha sciolto quasi subito i timori sospettosi e la durezza delle parole scritte. Abbiamo discusso in presenza di giorno e soprattutto di notte, verificando la possibilità di una relazione tra noi “venute dopo” e intuendo che questa relazione aveva una sua tenuta. L’intransigenza del blog ha preso modalità ironiche e le relazioni tra noi “venute dopo”, la possibilità di dirsi la verità e di confliggere senza troppa paura di perdere le relazioni, sono state il guadagno di Paestum 2013, ma soprattutto dell’incontro seguente a Bologna. Perché, come spiega Chiara Zamboni “Godere della presenza accompagna un’apertura involontaria agli altri, a cui partecipiamo con tutti i nostri sensi. È data dal fatto che il lato inconscio del corpo ha con le persone e le cose legami molteplici, pulsionali, di affettività corporea”.7 Il godimento “della presenza reciproca e del piacere del pensiero vivo mentre si va facendo” parla della forza dell’eros in politica. Questo è capitato a Paestum 2013 in plenaria, ma soprattutto nei gruppi pomeridiani e di notte, negli scambi concitati, quando la passione politica da una parte ci irrigidiva su posizioni tranchant e dall’altra ci mostrava che altro stava per succedere, è capitato ascoltando le parole di Virginia Woolf nelle belle canzoni di Stefania Tarantino con l’energia del gruppo Ardesia, nelle danze e nella performance di chi rimetteva in gioco il corpo tra donne. Della due giorni di Paestum conserviamo attimi preziosi: sguardi in tralice per misurare le possibilità di fare insieme, un mojito e la parola franca per chiarirsi finalmente, la pioggia a cui sfuggire e la strada in più a piedi per accompagnarsi a tarda notte, mentre si discute animatamente nel buio l’intervento del giorno dopo, il cancello chiuso a notte ormai avanzata e il campanello che suona a vuoto (e per fortuna l’amica ha il telefono acceso). Un percorso politico dove “il contagio, il contatto, la compresenza e le narrazioni di contesti vissuti sono essenziali” perché creano effetti a catena nelle pratiche politiche delle donne.

Paestum è stata un’occasione di chiarimento ma, come tutte le esperienze vive, ha fatto emergere anche tante differenze impreviste e nuovi conflitti sull’efficacia delle pratiche. La passione politica non si è quindi placata con l’incontro di Paestum 2013, ma ha fatto emergere di nuovo l’esigenza di parlarsi, di sciogliere nuovi nodi, trovare altri terreni di mediazione. Barbara Verzini, Stefania Tarantino e Tristana Dini hanno quindi proposto di trovarci a Bologna per mettere al centro il desiderio di scambio prima di tutto fra noi “venute dopo”. L’invito era rivolto alle “donne della nostra generazione politica”, come le hanno chiamate Barbara, Stefania e Tristana, che desideravano riflettere insieme sulla “pratica del conflitto e di autorità tra donne della generazione politica che negli anni ‘70 non c’era”.8 Sappiamo bene che parlare di generazioni è problematico e tutte ne prendiamo le distanze perché è una lettura riduttiva. Eppure, come dice Stefania Ferrando sull’ultimo numero di via Dogana, la questione delle generazioni ritorna continuamente nei nostri discorsi, mostrando che dietro questa parola si nasconde un impensato da sciogliere9.

Noi abbiamo ribadito che parlare di “nostra” generazione politica fa riferimento al contesto in cui abbiamo iniziato a fare politica, dagli anni ‘90 in poi, che è molto diverso da quello degli anni ‘70 in cui nasce il movimento delle donne. Quando siamo nate politicamente, il taglio del separatismo era già stato fatto. Abbiamo la fortuna di vivere in un mondo in cui si è sedimentato un sapere e delle pratiche che hanno fatto strada alla libertà femminile. La modificazione del contesto sociale, politico ed economico ha innescato altre necessità e urgenze e richiede nuovo pensiero e nuove pratiche.10 A Bologna volevamo mettere al centro tutto questo, partendo prima di tutto dai conflitti nati a Paestum 2013 tra di noi, con il collettivo delle Femministe Nove, riguardo al significato della loro performance e del loro manifesto11, ma anche dai problemi nati nell’organizzazione di Paestum, innestati sulla questione dell’autorità.

Nominare il desiderio con precisione è una scelta che impone un taglio simbolico, che fa ordine ma può anche ferire. Possono nascere conflitti che bisogna aver coraggio di affrontare. Non è facile perché, anche se si dice chiaramente che non si desidera escludere nessuna, i fantasmi sull’uccisione della madre aleggiano sempre. Ma quando ce ne assumiamo la responsabilità, forti del nostro desiderio e della possibilità di confliggere dicendosi la verità, qualcosa di importante può accadere. E così è stato con l’invito e l’incontro di Bologna.

In quel luogo siamo riuscite a dirci un po’ di verità, anche difficili, con grande ascolto e attenzione reciproca, siamo riuscite a parlarci con fiducia rispetto alle nostre pratiche e alla voglia di esserci con radicalità, ognuna a modo proprio. Siamo riuscite anche a raccontarci le scelte e le esperienze rispetto alle relazioni politiche con gli uomini, discutendo sulla differenza tra la scelta simbolica della separazione degli anni ‘70 e le scelte separatiste attuali. Noi che scriviamo, abbiamo raccontato come la forza delle relazioni tra donne modifica ogni contesto, compresi quelli in cui gli uomini vorrebbero fare altri giochi.

L’autorità femminile è quindi comparsa nei nostri discorsi, con tutto il carico che ne deriva per noi. Noi che siamo la prima generazione di donne nate dopo la rivoluzione del femminismo, che viviamo in presenza, in relazione, in conflitto con le madri del femminismo. Verso di loro riconosciamo il debito di poter nominare parole che fanno ordine, ma allo stesso tempo ci sentiamo molto diverse. È una relazione segnata dall’infinita richiesta di ascolto e di attenzione da parte delle “venute dopo”, e non solo. Il desiderio di essere viste e riconosciute non ha limiti e a volte diventa recriminazione. Forse perché è così difficile farsi vedere e farsi ascoltare, e allo stesso tempo comprendere da donne che hanno vissuto e partecipato a un cambiamento radicale e storico di tale portata. Come abbiamo detto, sono donne creatrici di un nuovo mondo, partendo da un dominio simbolico che era nelle loro teste: arte, cultura, politica, tutte le cose grandi erano nelle mani degli uomini. Con loro cominciava un nuovo mondo12. E così anche a Bologna, come durante il grande seminario di Diotima di quest’anno, è emerso chiaramente che non si finisce mai di fare i conti con l’autorità, che non ci sono sconti ed è sempre faticoso, ma se si è tenaci e non si rifugge dal conflitto, si acquisisce una sicurezza interiore impagabile. Chi vive con caparbietà questi conflitti riesce a conquistare un’indipendenza simbolica che permette a tutte e tutti di fare passi avanti. Sappiamo che ci sono alcune che si sentono più sicure se vanno direttamente sulla scia delle donne che hanno fatto la storia del femminismo, che per esperienza, capacità, cultura, e, non ultimo, per il fatto che hanno sulle spalle decenni di storia politica, godono di una fiducia impareggiabile. Sono sentimenti condivisibili, che possiamo riconoscere. Tuttavia pensiamo che il cambiamento rispetto ad allora sia così forte che le nostre forze devono essere mobilitate per il nostro tempo, il nostro presente.

Noi che scriviamo, da molti anni portiamo avanti progetti alla Libreria delle donne di Milano, insieme alle donne che l’hanno fondata, e abbiamo imparato che la lotta in presenza, il conflitto serrato, lo scambio costante con le grandi donne da cui abbiamo imparato a far politica, che troppo spesso trasformiamo in monumenti, a cui riconosciamo lucidità politica e capacità di spiazzare nella lettura del mondo, sono l’esperienza dura ma fondante che sentiamo di portare ovunque andiamo. Imparare a stare nel conflitto, in un conflitto in cui non si ha paura di dire la verità, in cui si può anche ferire ma non si rinuncia alla relazione, permette di guadagnare una forza interiore che portiamo in tutti i luoghi in cui la nostra passione politica ci fa arrivare, nei luoghi di lavoro e nel confronto con gli uomini. L’indipendenza simbolica che si guadagna, permette di sperimentare proprie strade, cercare altre pratiche e altre parole che facciano ordine senza sentirsi in una posizione di debito paralizzante.

Rimangono indubbiamente questioni aperte. Come prendere il coraggio di assumersi un’autorità che può essere anche feroce, come attuare strategie relazionali per evitare che l’autorità si trasformi in potere, come fare un passo indietro perché l’autorità dell’altra possa rilucere e arrivare dove tu in quel momento non arrivi, soprattutto tra donne della stessa generazione. È più facile riconoscere autorità a una donna che ha alle spalle una storia intensa e un bagaglio culturale più ampio del tuo. Ma nella nostra esperienza puntando sulle relazioni tra noi “venute dopo” spesso si riesce a scardinare quel meccanismo che fa sì che di fronte a persone sapienti si rinunci in partenza al proprio punto di vista, senza lottare per verificare se dentro di noi si nasconde una qualche verità informe. Nella nostra esperienza l’autorità non solo capita, ma ha a che fare anche con la passione politica con il desiderio di creare società femminile, con la convinzione che l’autorità femminile sia fondamentale per arrivare a quel cambio di civiltà di cui non possiamo più far senza. Decidendo di dare autorità a un’altra si crea un contesto differente, si fanno capitare delle cose, si cambia la geografia delle relazioni e dei contesti. Nella nostra esperienza l’autorità è sempre relazionale. Non si può pretendere, ti viene regalata. E si tratta di uno di quei doni che a volte vorresti anche evitare.

Certamente rispetto alla forza geometrica del potere, l’ordine imprevedibile dell’autorità non garantisce che le cose andranno bene, anche tra noi “venute dopo”. Ma se la riconosci e sai vedere come fa ordine, se non temi di vivere fino in fondo i conflitti, ti permette di esserci e significare radicalmente la tua passione politica.

Note

  1. A Paestum nel 1976 si tenne il terzo grande convegno del femminismo italiano, dopo quelli di Pinarella del 1974 e 1975.
  2. Immagina che il lavoro. Sottosopra. 2009. Libreria delle donne di Milano. (http://www.libreriadelledonne.it/pubblicazioni/sottosopra-immagina-che-il-lavoro).
  3. Luisa Cavaliere, Lia Cigarini, C’è una bella differenza. Un dialogo, Et al. 2013.
  4. «Perché ora so di una straordinaria forza» di Laura Colombo e Sara Gandini. Il manifesto, 14 ottobre 2013. – Apri il link.
  5. Il sito della Libreria delle donne di Milano è nato proprio su questa scommessa e una storia ragionata delle relazioni e dei conflitti che hanno accompagnato il suo percorso si può leggere nell’articolo di DWF Un filo sottile ma inossidabile di Laura Colombo e Sara Gandini DWF – Webwoman: femminismi nella rete, 2007, n. 2-3 (74-75).
  6. “Le ragioni di un no” di Ilaria Durigon, Laura Capuzzo, Chiara Melloni – Apri il link.
  7. Chiara Zamboni, Pensare in presenza. Conversazioni, luoghi, improvvisazioni, Liguori Editore, Napoli 2009.
  8. “Una breve riflessione in vista dell’incontro del 14 dicembre” di Barbara Verzini, Tristana Dini, Stefania Tarantino – Apri il link.
  9. Stefania Ferrando, Grovigli. Via dogana n. 107. “Disimparare la guerra imparare a confliggere”.
  10. In risposta a “Le ragioni di un no” di Stefania Tarantino, Tristana Dini, Barbara Verzini, Sara Gandini e Laura Colombo – Apri il link.
  11. La versione integrale del Manifesto delle Femministe Nove si può trovare sull’ultimo numero di DWF: Le relazioni dell’agire politico. Tra radicalità, esperienza e conflitto, 2013, 2 (98). Un commento dopo Paestum 2013 si può leggere in “Eccitazione permanente” in relazioni politiche vive di Sara Gandini e Laura Colombo – Apri il link.
  12. Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974; et al./EDIZIONI, Milano 2010.