diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 15 - 2017/2018

Violenza maschile

Passione

 

Una noche de los sanfermines de 2016, cinco machos, presuntos hombres, autodenominados “La manada”, metieron a una chica en un portal de Pamplona, la violaron en grupo y filmaron su hazaña. Tan impunes se sentían como algunos magistrados, presuntos hombres también ellos, juzgaron anteayer que son[1]

(Una notte della festa di San Fermin del 2016, cinque maschi, presunti uomini, che si facevano chiamare “Il branco”, trascinarono una ragazza in un androne di Pamplona, la violentarono in gruppo e filmarono le loro gesta. Si sentirono così tanto impuni, quanto l’altro ieri, alcuni magistrati, presunti uomini anch’essi, li giudicarono essere.)

Ho impiegato anni ad accettare la parte in ombra della parola passione.

Ad ammettere a me stessa che essere donna ha portato con sé anche una buona dose di sofferenza.

Trasformare quella sofferenza con altre è anche fare politica.

Il percorso femminista mi ha permesso di accoglierla, nutrirla e lasciarle guidare, a tratti, i miei passi, senza paura di cadere.

Ma non è stata un’impresa facile

Cresciuta con un fratello maggiore maschio, ho passato i primi tredici anni della mia vita ad urlare quanto fossi felice di essere nata femmina, quanto io non fossi da meno di lui e quanto le donne fossero migliori, sempre e comunque.

Alle medie guardavo i miei compagni maschi e “ringraziavo dio” di non essere così, fisicamente e mentalmente.

Perciò da bambina concentravo la mia passione per la differenza sessuale sul “di più”, sull’eccedenza femminile, bandendo dal mio regno qualunque elemento negativo ne derivasse, incapace di far entrare il dolore del “di meno”.

E non voglio riempire quel di meno con parole della mia esperienza, perché ognuna possa riempirlo con le proprie; come se quel meno potesse trasformarsi in un piccolo taschino, cucito nella fodera di seta di una giacca: nascosto alla vista ma a contatto con il cuore.

Come le poesie cucite di Emily Dickinson.

Oggi riconosco che  prendersi cura del contenuto del proprio taschino, può trasformarsi in un salto iniziatico, che permette un accesso al “di più” con le ali, restituendo ad ognuna la propria differenza sessuale e permettendo un incontro con le altre privilegiato, che smaschera la menzogna del neutro.

Quei di meno sono inseparabili dalla passione, come il taschino dalla giacca, ne abitano la parte in ombra, segreta.

La passione porta un dolore etimologico iniziale ineliminabile, che apre alla possibilità di un sentire in relazione.

Come ritroviamo in apertura del primo libro di Diotima, e come riprende Chiara Zamboni in un articolo, oltre vent’anni più tardi, passione non ha solo un significato positivo bensì ha a che fare anche con il significato di patire – soffrire -, cioè avvertire che era un peso questa differenza che ci limitava ad una posizione che sentivamo stretta[2]

Quanto può diventare stretta e senza via di fuga quella posizione?

Ancor più se in quella posizione siamo sole.

In un attimo tocco il mio taschino e la mia mente si ritrova a vagare tra le strade di una Pamplona fantasmatica in cui non sono mai stata; la stessa città che da ragazzina, grazie a Hemingway e al regista Henry King, sognavo di visitare, correndo tra i tori e bevendo fiumi di birra, durante las fiestas di San Fermin.

La festa che immaginavo, così colorata e vitale, non ha nulla a che vedere con la lunga lista di violenze sessuali che la accompagnano.

Otto lunghi giorni in cui molti maschi si sentono profondamente impuni, e si dirigono a quella festa con idee e intenzioni ben precise.

E’ sicuramente più facile parlare dei tori che della Manada, immaginarsi a correre tra le vie di Pamplona per scappare dalle incornate, che trovarsi senza via di fuga in un androne, accerchiate non da uno, non da due, non da tre, non da quattro, bensì da cinque, 5, corpi di presunti uomini.

La sentenza sulla Manada di pochi giorni fa, ferma il respiro.

Migliaia di donne e anche molti uomini si sono alzati dalle loro sedie e sono scesi in piazza a manifestare la propria indignazione e il rifiuto della sentenza.

I 3 giudici che si occupavano del processo, hanno deciso di condannare il branco non per violenza sessuale ma per abuso sessuale, reato che prevede una pena ed una colpevolezza minori, principalmente perché, nei video girati dagli stupratori, la ragazza sembra non opporre resistenza.

Sino a questa sentenza non mi sarei mai immaginata che esistesse una differenza tra violenza ed abuso sessuale; pensavo che l’unica differenza la facesse il mio desiderio.

Questa legge, come scrive Milagros Rivera, è chiaramente erede di un patriarcato che usa il diritto separatamente dalla giustizia, per rimanere impune rispetto  alla violenza contro le donne[3].

Distinguere tra violenza ed abuso, significa spostare il nostro sguardo dai criminali sessuali alla vittima, interrogandoci sulla qualità e il tipo di resistenza che quest’ultima ha opposto allo stupratore, come se l’atto non fosse violento di per sé, ma sia condizionato dalla reazione di chi lo subisce.

In questo modo colei che sporge denuncia si ritrova sotto i riflettori.

E così inizia la ricerca di sordidi dettagli inerenti a lei  e non a loro.

Sorge spontaneo chiedersi perché siano state rese pubbliche le analisi di sangue ed urine, con i valori alcolemici, della ragazza.

Essere ubriaca brinda allo stupro?

Festeggiare e bere implica un’incitazione ad essere violentate?

Come in un flash mi appare l’immagine di Jodie Foster sul flipper nel film The Accused.[4]

Nonostante quel film sia del 1988 e si basi su fatti reali accaduti nel 1983, oggi nel 2018, trentanni dopo, ci ritroviamo in una situazione troppo simile, in cui la vittima di uno stupro viene messa sotto accusa, (da cui il titolo del film).

Giudicata, analizzata, con tanto di detective privato, per capire se nel comportamento di quella notte, e nella vita privata, ci possono essere degli elementi di istigazione, complicità, colpa, che possano trasformare una violenza in qualcosa di meno grave, in lesioni colpose nel film, in abuso a Pamplona.

La storia si ripete infinite volte sino ad una rivoluzione simbolica che sappia fare a pezzi qualunque legge tenti di violare la sacralità del corpo femminile.

La leggi scritte dagli uomini del patriarcato non sono all’altezza della passione della differenza, non sanno riconoscere e vedere l’autorità femminile; costruiscono una realtà parallela, per non fare giustizia.

Nella mia mente è chiaro che se io non scelgo di avere un rapporto sessuale, nessun altro può scegliere per me.

Non importa in che condizione io sia, non importa chi io sia, che vita io conduca.

Nessuna donna acconsente al proprio stupro, e non esiste legge al mondo che possa cancellare questa verità.

Più di duemila psicologi e psichiatri, in questi giorni, hanno inviato una lettera al Ministero della Giustizia, spiegando la dimensione passiva di quel bloqueo, di cui si parla rispetto ai video, come una forma naturale di reazione del sistema nervoso, per cercare di sopravvivere e minimizzare l’impatto traumatico. L’organismo stesso genera delle sostanze analgesiche per non sentire il dolore, creando una situazione dissociata e immobile[5].

Io tocco nuovamente il mio taschino e penso che non ho bisogno del referto di un professionista, per sapere cosa accade quando il proprio corpo è attraversato dal terrore.

Quando si chiudono gli occhi, si diventa sorde e cieche, e si va da un altra parte, in un luogo sicuro, dove siamo da sole e nessuno può toccarci; dove la nostra sacralità e la nostra inviolabilità sono le uniche leggi che tengono.

Un’amica, sapiente della propria esperienza, mi ha spiegato quella passività che i giudici non hanno saputo leggere, in un modo molto semplice: è come per gli animali, ti fingi morta, ti paralizzi, non ci sei più. E così non c’è bisogno di vedere un video per capire, quando qualcosa per un istante scompare, se ne va lontano, e il suo corpo rimane in balia degli artigli di chi lo circonda.

Tantissime donne, dal giorno della sentenza hanno deciso di iniziare ad urlare contro una legge che va cambiata, contro un giudizio che va cambiato, sostenendo con fiducia una ragazza che non deve sentirsi sola di fronte ad una legge che non è stata scritta per fare giustizia, ma per amplificare la portata della violenza.

L’impunità legalizzata del patriarcato spagnolo sembra essere giunta al suo ultimo atto.

Tutte quelle donne che stanno dicendo no e quegli uomini che stanno riconoscendo autorità femminile, mettendosi contro una legge insensata, riempiono di passione la differenza sessuale, restituendone il senso politico con il suo taglio di verità.

Concludo pensando che nella realtà, la ragazza rappresentata in The Accused fu costretta a trasferirsi, perché la città si schierò contro di lei emarginandola.

La storia si ripete ma questa volta il finale è diverso, quella città non esiste più, al suo posto c’è un’intera Spagna appassionata.

E questo è un nuovo inizio.

 

 

[1] María-Milagros Rivera Garretas, El Estado de Derecho se estrella contra el final del patriarcado, 28/04/2018 http://www.ub.edu/duoda/web/es/textos/10/219/

[2] Chiara Zamboni, La passione della differenza sessuale, 10/12/2015 http://www.donnealtri.it/2015/12/la-passione della-differenza-sessuale/

[3] María-Milagros Rivera Garretas, El Estado de Derecho se estrella contra el final del patriarcado,28/04/2018 http://www.ub.edu/duoda/web/es/textos/10/219/

[4] “Sarah Tobias, cameriera in un bar con una pessima reputazione, una sera viene violentata nel locale da tre ragazzi, tra l’incitamento generale di altri avventori. Il procuratore Kathryn Murphy si occupa del caso, e accetta un patteggiamento per lesioni colpose (escludendo così lo stupro) per i tre aggressori. Spinta dalla vittima però, con la quale instaura pian piano un rapporto di solidarietà, si rende conto di aver condotto superficialmente il caso. Con l’aiuto del testimone Ken Joyce, il procuratore decide di portare in tribunale anche tutti gli uomini che hanno istigato i tre alla violenza, accomunati da una notevole avversione per la femminilità della vittima, costretta a subire violenza dopo essere stata convinta a giocare a flipper e ubriacarsi. La causa viene vinta e oltre a far mandare in prigione gli istigatori, ottiene il risultato di far aumentare la pena da scontare ai tre stupratori e la modifica dell’imputazione da lesioni colpose a violenza sessuale.” https://it.wikipedia.org/wiki/Sotto_accusa

[5] http://www.lavanguardia.com/sucesos/20180502/443189512054/psicologos-psiquiatras-carta-la-manada.html