diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 14 – 2016

Su Ciò che non dipende da me

Passione dell’accettazione, passione della libertà.  

Ciò che non dipende da me è un testo molto ricco e informato, ma anche intenso e coinvolgente. Questo deriva soprattutto dal fatto che – come si legge già nell’ Introduzione – esso scaturisce da un’esigenza personale di pensiero che spinge  Wanda Tommasi , a partire dalla sua esperienza di donna, a intraprendere un percorso di esplorazione e riflessione di più ampio respiro.

Il volume – attraverso un esame attento e sapiente insieme della letteratura femminista e di quella psicoanalitica – riconsidera la grande questione filosofica del soggetto offrendone un ritratto che, in netto contrasto con l’immagine di razionalità, padronanza di sé e delle proprie emozioni, autosufficienza – riflessa dalla storia del pensiero soprattutto moderno – appare contrassegnato dalla vulnerabilità alla passione e al desiderio, e perciò dalla dipendenza dagli altri e dal mondo che quelle passioni e quei desideri suscitano.

Anche se – fa notare l’Autrice – una parte consistente della filosofia contemporanea – da Heidegger a Lévinas, per non parlare ovviamente di Nietzsche – ha registrato l’importanza o addirittura il primato della vita emozionale, è nel femminismo e, in sinergia con esso, nella psicoanalisi che vanno rintracciati l’origine e l’impulso decisivi a quella trasformazione dei modelli di soggettività che ha investito non solo il piano della vita individuale e sociale, ma quello del simbolico.

Quando Wanda Tommasi parla di femminismo non allude soltanto al contributo di pensatrici e scrittrici- che esplora con acume ed efficacia  lungo tutto il corso del lavoro – ma alla rivoluzione femminista. Di quel mutamento profondo nel modo di vita scaturito dall’irruzione delle donne sulla scena intellettuale e materiale della vita contemporanea, ella sottolinea soprattutto la rottura della barriera eretta dal potere patriarcale tra personale e politico, privato e pubblico, tra il piano dei vissuti personali e affettivi e quello delle dinamiche oggettive e istituzionali della politica. Di qui la scoperta che se la politica ha a che fare con la convivenza di uomini e donne in uno stesso spazio, essa investirà tutte le dimensioni della loro esistenza e, in particolare,  quelle dimensioni emotive che il dominio maschile ha trattato come extra-politiche, assegnandole alle donne. Di qui, inoltre, l’importanza assunta dalle pratiche femministe dell’autocoscienza, dell’introspezione e narrazione di sé, attraverso le quali le donne non solo hanno cominciato a interrogare la politica a partire dalla loro vita reale, ma hanno contribuito  a portare alla luce e ad elaborare una nuova forma della soggettività, immersa nelle relazioni e permeata dagli affetti.

Attraverso un corpo a corpo con il pensiero e la scrittura delle donne,  da una parte, e la psicoanalisi freudiana e lacaniana dall’altra, Wanda Tommasi enuclea le dimensioni più significative della soggettività contemporanea:  quella del desiderio, come tensione che scompagina e destabilizza l’io rivelandone la dipendenza dagli altri; la sua costitutiva relazionalità, la cui matrice risale al rapporto con la madre; infine e di conseguenza la vulnerabilità , ovvero il rischio inaggirabile  che il soggetto patisce di essere ferito,  misconosciuto, abbandonato, in ragione di un coinvolgimento da cui non può sciogliersi. L’intreccio di questi aspetti ci restituisce l’immagine di un soggetto fragile, la cui libertà è costantemente in balia di elementi che non dipendono da lui (come recita il titolo) e con cui è chiamato a misurarsi.

Dopo essersi soffermato su diverse figure letterarie femminili  che esprimono modi differenti di cimentarsi con “ ciò che non dipende da me “, il testo si conclude all’insegna dello splendido di racconto di Flaubert, Un cuor semplice, e della vicenda di Felicita, una domestica, che pur colpita da una inenarrabile sequenza di sventure, accetta la sua sorte senza perdere la capacità di amare. Essa “ incarna la passione dell’accettazione in tutta la sua purezza” ( p.112), una disposizione d’animo, oggi assai rara, ma che, a parere dell’Autrice, andrebbe approfondita e rinnovata in un’epoca in cui tutto sembra essere divenuto oggetto di scelta e di decisione libera.

Posta alla fine di una serie di ritratti di donne che reagiscono in forme diverse al loro destino, la figura di Felicita assume – probabilmente intenzionalmente – un significato esemplare, che solleva una serie di questioni.

Essa esprime un’ accettazione che, secondo Wanda Tommasi, assomiglia, ma in realtà non ha nulla a che fare con l’atteggiamento passivo della subordinazione femminile all’uomo proprio dell’epoca patriarcale, perché quell’epoca è ormai finita.

Ma è proprio così? Si può certo parlare di ‘crisi’, ma, come è noto, la ‘crisi’ spesso non è la fase di estinzione di un sistema, ma una delle forme più potenti con cui esso si rinnova o si trasforma.

Andrebbe anzitutto chiarito dove sia eventualmente finito il patriarcato: non certo fuori dai paesi occidentali, se si considera in quante parti del mondo la radicalizzazione religiosa di molti regimi si manifesti attraverso l’inasprimento della sottomissione femminile. È difficile d’altra parte ritenere che lo stile di vita delle donne in Occidente  sia espressione di una finalmente raggiunta libertà femminile. Verifichiamo quotidianamente come la società neoliberale promuova modalità sempre nuove di asservimento e degradazione delle donne di cui il biopotere non riesce a neutralizzare l’origine patriarcale; si rende così evidente la necessità di rafforzare le pratiche di resistenza nei confronti di ogni forma di ingiunzione normativa che prenda di mira la donne, qualsiasi sia la loro cultura di appartenenza.

Nei confronti di questi fenomeni, e di tutti quelli che appartengono all’ambito dei rapporti di potere uomo-donna, sono passioni diverse da quelle dell’accettazione che vanno sollecitate, quelle appunto che hanno animato la rivoluzione femminista e lo stesso pensiero della differenza sessuale: anzitutto la passione dell’estranea che rivendica la sua non partecipazione a certe dinamiche della politica, e poi soprattutto il desiderio di prendere la parola per denunciare, a partire dalla propria differenza, gli attacchi diretti o indiretti alla libertà femminile- attacchi che proprio la ‘crisi’ del patriarcato ha reso più violenti.

Un secondo ordine di interrogativi che il testo suscita riguarda la fisionomia del soggetto femminile che ne viene restituita. Essa sembra sovrapporsi per alcuni tratti rilevanti a quella ereditata dalla tradizione, in particolare moderna, che ricalca a sua volta aspetti fondamentali di quella antica. È la stessa Tommasi a dichiararlo allorché rileva come il modello cartesiano di soggetto razionale “ emargini le donne e tutti coloro che sono solo imperfettamente in grado di governare le passioni ” ( p. 3). Si accetta così implicitamente che la rappresentazione che il filosofo francese si fa delle donne corrisponda a ciò che esse sono. Insomma, come la stessa Autrice riconosce, questo soggetto emotivo rischia di riprodurre  “ i peggiori stereotipi spesso addossati alla donne “ ( p.20), con la sola differenza  che a tali caratteri, in se stessi invarianti, non sarebbero più negati a seguito della rivoluzione femminista  riconoscimento e dignità.

Un’ultima questione riguarda la contrapposizione che il testo sembra far valere tra ricerca dell’autonomia e riconoscimento della dipendenza. Se viene infatti giustamente fatto rilevare come una lunghissima tradizione, dagli stoici all’umanesimo fino all’idealismo hegeliano, abbia svalutato il  peso di ciò che non dipende da me rispetto alle capacità di autodeterminazione dell’io, non v’è dubbio che proprio il perseguimento dell’autonomia, ovvero la ricerca di un’esistenza che sia sempre in relazione con il sé singolare e irriducibile di ciascuna, sia stata una delle motivazioni fondamentali del movimento e del pensiero delle donne. Del resto, solo se sono autonoma – ovvero parlo e agisco a partire da me – posso riconoscere la mia dipendenza.

Di qui, a mio parere, tornando alla riflessione iniziale, la necessità di continuare a coniugare la passione dell’accettazione con la passione della libertà. Perché non dipende da me essere quello che sono, una donna, ma dipende da me capire cosa significhi per me, nella mia indistricabile relazione con gli altri, essere una donna e agire di conseguenza.