diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo edizione 18 - 2022

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Nuotare nel mare di Tiamat con Barbara Verzini

Da tempo non mi capitava di leggere con tanta gioia e quasi tutto d’un fiato un libro come mi è capitato con La madre nel mare. L’enigma di Tiamat[1] di Barbara Verzini. In un momento in cui una nuova forma di neutro tenta di cancellare la differenza femminile il libro di Barbara, che ci parla di una femminilità indomita e originaria, è un dono e una stupefacente avventura marina. Perché è a una immersione che Barbara ci invita chiedendoci di fare, con abbandono e fiducia, un tuffo all’indietro per lasciarsi cadere con lei, che ci tiene per mano, nelle acque salate della Dea del Chaos, Tiamat. Si va dunque per mare guidate dalla libertà e dall’audacia con cui Barbara, dopo aver fatto tabula rasa del sapere accademico/patriarcale, si e ci mette in relazione con l’Enuma Elish (Quando in alto), un poema teogonico e cosmogonico che appartiene alla tradizione religiosa babilonese, composto di sette tavole di 150 versi ognuna, incise all’incirca nel XII secolo a.C. in alfabeto accadico. Un poema che Barbara, in nome di sua madre Mariarosa, interpreta a partire dal proprio sentire, dalla propria esperienza e dal punto di vista della differenza sessuale. Portando così nuova luce sulla sanguinosa battaglia che lì si narra per instaurare, contro l’armonia del Chaos, l’ordine fallico del Cosmo e della sua spada, che per mano di Marduk farà a pezzi il corpo di Tiamat. Ma non si può uccidere colei che non potrà morire e che continuerà a risuonare nel mare, quel mare che di pagina in pagina attraversiamo per ritrovare in Tiamat – e prima di quell’ordine insanguinato – l’infinito caos delle origini che accoglie e fa spazio ad ogni differenza, dove non vi sono disordine e confusione, ma una armonica mescolanza di creature ed elementi. Un po’ come nelle borse delle donne dove tutto si mescola ma poi c’è la sapienza di saper trovare quello che c’è. Saltando l’opposizione ordine/disordine in favore dell’armonia simbolica del materno, Barbara opera uno spostamento che ci conduce, secondo l’insegnamento di Carla Lonzi, su un altro piano. «Muoversi su altro piano» – leggiamo in Sputiamo su Hegel – «è il punto su cui più difficilmente arriveremo ad essere capite, ma è essenziale che non manchiamo di insistervi». Ed è precisamente quello che fa Barbara creando, con le sue parole e grazie al maremoto della tabula rasa, uno spazio sorgivo dove, al di là dell’ordine fallico che limita e separa, possiamo muoverci in libertà e in accordo con l’immensa apertura del Chaos.  

Nella quarta linea della prima tavoletta di Enuma Elish, Tiamat è preceduta da Mummu, una parola di cui sono state date sino ad oggi diverse interpretazioni tutte plausibili e tutte incerte, sì che questa parola rimane un mistero, un enigma. Che per Barbara non è un trabocchetto, qualcosa di sommamente difficile e lontano, da decifrare – secondo il metodo universitario – con un lavorio esclusivo della mente, con un pensiero scisso dal sentire e dal corpo. Barbara prende un’altra strada e va incontro all’enigma di Tiamat trasportata dal suono di quella parola traboccante di emme che assomigliano alle onde marine, Mummu, e la fa risuonare dentro di sé assaporandone la forza epifanica e la straordinaria vicinanza. Perché Mummu non può essere che la Madre, l’incarnazione liquida primordiale, originaria, della Madre. Mummu è la mamma intatta, quella non ancora toccata dalla violenza simbolica e carnale del patriarcato, dal male degli dei e della spada di Marduk. Mummu Tiamat, che procreò tutti loro, è la madre che viene sempre prima e che ci dona, insieme, la vita e la parola. Virginia Woolf che in sua madre, Julia Stephen, riconosce la radice della propria scrittura, in Momenti di essere scrive: «Eccola, mia madre, al centro della vasta cattedrale che era l’infanzia; era là sin dall’inizio». E all’inizio – nella prima tavoletta di Enuma Elish – quando i banchi di canne non erano ancora stati annodati, né i canneti erano emersi; quando ancora nessuno dio si era manifestato, c’è Mummu Tiamat, Dea del Chaos da cui tutto si genera. Illuminando quell’inizio e tenendosi in prossimità della parola Mummu, Barbara ci mostra che ogni donna è Tiamat perché il suo enigma è l’enigma dell’infinito femminile. L’infinito mistero – dice Barbara – dell’uno che è due, fra le gambe di una donna. Un enigma che possiamo sentire nella sua pienezza perché è in noi e vicino a noi, nella relazione con nostra madre e con le altre donne. Nella nostra gioiosa eccedenza che nessun ordine o misura maschile può imbrigliare e contenere. In un presente segnato da continui attacchi alla libertà delle donne, dominato dall’ossessione paritaria e dal mercato degli uteri in affitto dove il corpo della madre è ancora una volta fatto a pezzi, il libro di Barbara – con la sua radicalità, il suo coraggio, la sua libertà – è un formidabile inciampo e una sferzata di energia. Che ha il ritmo e il sapore delle onde del mare nel quale, accogliendo il suo invito, mi sono tuffata inseguendo di bracciata in bracciata le tracce di una grandezza femminile che, delle onde, ha la forza inarrestabile. Risalendo alla superficie con corpo e mente tonificati e la mia pelle salata mi sono detta che sì, noi donne clitoridee che godiamo dell’ampiezza della bocca delle rane (una geniale immagine che Barbara ci dona) possiamo di nuovo allargare l’orizzonte e alzare il cielo.     


[1] Barbara Verzini, La Madre nel Mare. L’enigma di Tiamat, Edizione indipendente, Verona e Madrid 2020, p. 1.