diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 7 - 2008

Insegnare Filosofia

Note a favore del libro che fa testo

 

Seguo, come tante altre compagne di strada, la pratica del partire da sé, del non dare nulla per guadagnato nel pensiero che non passi prima dalla constatazione soggettiva e in relazione, tuttavia rispetto alle notazioni di Lisa Jankowski ho delle riserve. Riserve che nascono oggi, che non avrebbero cioè potuto farsi sentire a partire dalla differenza sessuale neanche pochi anni fa.

Il manuale inteso come costrizione rispetto a un insegnamento e apprendimento più vivo, singolare e relazionale, è un giudizio che è stato senz’altro vero fino a qualche tempo fa. Quando i libri di testo erano uno strumento di identità patria e patriarcale, veicoli del canone di autori che, di disciplina in disciplina, non facevano che mortificare la differenza femminile di insegnanti e di allieve e studentesse. Tuttavia le cose sono rapidamente cambiate in questi ultimi trent’anni, cambiamento che ha tra le cause proprio il pensiero e la politica della differenza sessuale. Ora, ci sono due motivi almeno per prendere sul serio questi cambiamenti: il primo è la passione dell’essere nel proprio tempo, per quanto in dissonanza e senza nessuna fascinazione per l’attualità, il secondo è che questi tempi sono figli della lunga rivoluzione del femminismo, figli da riconoscere, con tutto quel che sono, anche in disaccordo con le nostre aspettative e auspici.

Concepire un libro di testo che tenga conto della differenza sessuale – in modo radicale, dunque nei contenuti, nell’impostazione, nella verifica dello stato della civiltà – significa confrontarsi con varie questioni che sono in gioco proprio oggi.

 

Concezioni correnti dell’educazione

 

Su “il manifesto” del 7 luglio 2007 l’ex ministro Berlinguer scrive a lungo contro la soluzione idealistico gentiliana, a favore di una didattica applicata, che stimola la creatività e la singolarità (che lega alle differenze) nell’apprendimento. Cita Milani, Montessori. Il suo è un appello ispirato all’ugualitarismo e dunque – ho sperato in uno dei soliti refusi del “manifesto” – abbassamento della qualità.

Le considerazioni da fare sono molte.

  1. è stata accolta l’idea, portata avanti dalla differenza femminile, di un sapere incarnato contro la pura teoria oggettivante e universalizzante, ma nel verso di un sapere empirico, laboratoriale, alla anglosassone.
  2. è passata l’idea di un’università in rapporto orizzontale con la società, ma la società è poi significata non come ordine delle relazioni, come parte di civiltà, bensì schiacciata sulla sua versione ridotta a mercato – ancor più che del mercato del lavoro. La professionalizzazione infatti è detta in un quadro in cui tutte le relazioni ricalcano relazioni economiche – quelle stabilite secondo il modello di homo oeconomicus.

 

Concezioni correnti del rapporto tra i sessi

 

Parte integrante dell’analisi attuale della società è il valore che si attribuisce a uomini e donne nella dimensione pubblica.

  1. Da Giuliano Amato che auspica una donna a capo della polizia, alle presidenti e prime ministre nel mondo, ha preso piede una desiderabilità politica e un’accoglienza sociale delle donne, ma spesso nel senso emancipativo, di una interscambiabilità di posizioni e competenze.
  2. troviamo anche tesi a favore di una differenza non del tutto riducibile o interscambiabile, ma questa tende a giocarsi più nella ripetizione di qualità tradizionali, testimoniate dal passato – da Ratzinger ai rapporti dei vari organismi mondiali (Banca Mondiale, Fondo Monetario) che ipostatizzano le qualità pacifiche e di tessitura sociale proprie del genere femminile.
  3. Un ultimo, e più raro, atteggiamento corrente è quello di uomini che si appropriano della genealogia femminista.

Riassumerei dunque queste traiettorie come un benvenuto emancipativo, come un differenzialismo statico/complementare e passatista e come una femminilizzazione, più rara, del maschile.

Accanto, tangente ma non coincidente, prosegue la genealogia interna al pensiero e politica della differenza, che non tollera di farsi tradizione. Questa posizione è in continuità con gli anni Settanta, in quella divaricazione radicale, di riformulazione dell’ordine delle relazioni, che contrapponeva le istituzioni – relazioni cristallizzate e desingolarizzate – e le pratiche politiche extra istituzionali. La lezione è ancora buona, ma in una sequenza diversa, adattata ai tempi. Ripetere pari pari questo assunto ha portato a un generico rifiuto di testi che non fossero autoriali – salvo poche eccezioni. Da questa posizione, il manuale incorrerebbe nell’”obiezione della donna muta”, di quella parte del femminile che non vuole essere rappresentata. Il manuale sarebbe, secondo questa critica implicita, una sorta di tentativo minore di canone, o di cristallizzazione istituzionale del sapere femminile.

 

Il manuale per quello che è

 

La mia idea è di riconsiderare il manuale a partire da quello che è, un libro alla mano, corrente, di istruzione per tutti. Non è un testo autoriale, è un testo che racconta una storia. Questo lato dimesso non deve ingannare: la storia che viene raccontata è, nel male, e in passato, lo strumento dei programmi, veicoli dell’identità nazionale, al presente veicolo di identità comunitarie; nel bene, la prosecuzione dei racconti con cui siamo venute a conoscenza del nostro mondo, prossimo e distante, dalle filastrocche, alle favole.

Vorrei mantenere questo doppio crinale. Da una parte la sua maneggevolezza, nulla di definitivo, nulla di prescrittivo, molto lasciato all’interpretazione, come nelle storie. Il manuale non come monumento-documento, ma come appoggio che rende più fluida la parola contingente, la “mediazione vivente”, quella che diciamo in presenza, perché non ci costringe a dire tutto lì per lì. Dall’altra – contro il localismo che sarebbe oggi la replica all’istruzione di patria del primo novecento, con il risultato che ogni comunità racconta la propria versione della storia, ma anche contro il sapere ritagliato al millimetro sulla singola soggettività (cosa questa che somiglia inquietantemente all’ideologia del consumatore single, consiglio la lettura del romanzo Felicità® di Will Ferguson) – manterrei l’aspetto del veicolo di civiltà, di educazione come mobilità rispetto alla letteralità della provenienza (il partire da sé inteso da Muraro come doppio movimento di radicamento e allontanamento). La differenza sessuata si presta a questo crinale: richiede incarnazione, singolarità e genealogia, ed è la più “adeguata all’universale” (Irigaray), per stare al livello delle sfide di oggi, che sono di civiltà.

1.Il manuale è un ritorno di dignità del sapere. Contro la banalizzazione dell’esperienza in empirico sempre e solo fluido o come sapere applicato, pragmatico. Non penso sia bene assecondare soltanto l’istantaneità del sapere che è diffuso dalle nuove forme mediatiche. Bisogna essere avvertite che là dove il sapere incarnato era in conflitto con la forma-teoria patriarcale, oggi trova un’alleanza dubbia con la distruzione del sapere quando eccede la propria applicabilità. Oggi il di più non sta dalla parte della fluidificazione – tutto concorre a questo, alcune pensatrici, come Naomi Klein, vi vedono il lavoro del neoliberismo – ma dalla parte di una qualche permanenza. Permanenza contingente, certo, ma non tutto scorre nichilistico. Da questo punto di vista, se il manuale non è testo autoriale, è però presa di posizione, che dà una misura alle giovani teste e corpi rispetto cui individuarsi (ho in mente, come altre penso, la loro gratitudine quando trovano un piccolo punto fermo nelle rapide del tutto possibile).

2.Il manuale può essere anche un esercizio di pratica della differenza sessuale che contrasta il neoindifferenzialismo, quello che riconosce le donne per meglio assimilarle. La partita si gioca, in buona parte, sullo spessore storico del presente. Alcuni vedono nello schiacciamento sul presente una delle figure odierne dell’alienazione, niente più storia, niente più storie, niente più provenienze, e dunque niente più asimmetrie nel presente. La storia da raccontare non è però solo quella delle donne – come nella Storia delle donne di Geroge Duby e Michelle Perrot – non è quella del(la critica) femminile del maschile – come in Da Platone a Derrida di Françoise Collin et aliae – ma è la storia delle relazioni tra i sessi.

Questa impostazione toglie dal particolarismo di genere e non inchioda alla posizione critica. Ma non solo. Permette di aprire per ogni sesso una genealogia di genere, una memoria, con quel che c’è di buono e quel che c’è da lasciare. Apre dunque alla possibilità di un’asimmetria nella lettura del presente (es. perché laicità non può significare lo stesso per una genealogia maschile e una femminile).