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per amore del mondo numero 16 - 2019

Mistica quotidiana

Missionaria senza battello. Madeleine Delbrêl: mettere al mondo un’altra comunità

Per amore del mondo 16 (2019) ISSN 2384-8944 https://www.diotimafilosofe.it/

 

 

In un tempo di risentimento politico, di paure dettate dall’egoismo o da un malsano attaccamento alle proprie sicurezze e ai beni identitari, nel magma di una triste sfiducia verso i legami, e nello spegnimento del desiderio di spiritualità, Madeleine Delbrêl è una figura che va riscoperta: è una donna dalla fede intensa e libera, che si spinge a vivere il sogno cristiano di un’altra comunità in un contesto lacerato da guerre e conflitti sociali, e in una Chiesa timorosa e arroccata che teme le contaminazioni anche quando sono luogo di nuove promesse. Assieme ad alcune compagne, Madeleine cerca di creare le condizioni perché al mondo si possa vivere da sorelle e fratelli, salvando le differenze che sono cifra di benedizione, e convertendo gli squilibri di ingiustizia con cui invece la storia le riveste.

In Rue Raspail 11, a Ivry, si trova una piccola casa su due livelli. Il numero di persone che la va a visitare e il fatto che il Comune e la Diocesi di Parigi si interessino costantemente della sua manutenzione[1] la rivelano immediatamente come luogo di memoria e di ispirazione profondamente attuale. Proprio qui fioriva infatti la storia di Madeleine Delbrêl (1904-1964), una donna dalla spiritualità e intelligenza eccezionali, che lasciò un segno indelebile nella periferia della capitale francese, allora fortemente tormentata dalla povertà, dalla miseria simbolica e dai conflitti sociali e politici. La sua figura è abbastanza conosciuta nei contesti in cui si indaga l’esperienza spirituale cristiana[2], mentre altrove rischia di rimanere nell’ombra, nonostante molti dei suoi scritti siano stati recentemente pubblicati anche in italiano e abbiano cominciato a diffondersi, suscitando un forte interesse.

Questa storia inizia però in un’altra sede, nella parrocchia di Saint Jean-Baptiste, sempre a Ivry. È il 1933, anno di ascesa al potere di Hitler in Germania, e in contrasto con il tragico buio che sta calando sull’Europa, Madeleine Delbrêl ha attratto nel vortice del suo sogno Hélène Manuel e Suzanne Lacloche: vivranno insieme nella casa parrocchiale, nel segno di un desiderio evangelico radicale che solo pochi in realtà potevano capire veramente, e che all’inizio forse non è del tutto chiaro nemmeno a loro.

L’esperienza risulta stra-ordinaria e faticosa non solo per le contingenze storiche, ma anche per un motivo ecclesiologico: Madeleine, Hélène e Suzanne sono donne laiche decise a vivere il vangelo senza prendere voti religiosi né darsi regole di vita particolari, e che proprio nella loro inedita e libera posizione chiedono e pretendono riconoscimento in una Chiesa preconciliare impreparata alle novità. La loro presenza e il loro stile di vita non risultano classificabili perché smentiscono la separazione tra mondo religioso e mondo secolare, e non sono nemmeno troppo ben viste, in quanto di fatto esautorano nomi e pratiche antiche e ben radicate nella mentalità comune.

Sentendosi missionarie – ma «senza battello»[3]  – Madeleine e le sue compagne danno vita a un’équipe immersa nella ferialità dell’esistenza, che voleva essere segno di un’altra storia, già iniziata e inscritta nel reale come promessa e cifra di salvezza. Il progetto è quello di una comunità ospitale capace di rispondere alle urgenze del contesto attraverso imprevisti legami di gratuità. La loro casa dovrà essere un rifugio, un ristoro, un ospedale, un parco-giochi, una chiesa domestica, una sala d’ascolto, uno spazio d’intrattenimento, di pensiero e di progettualità politica.

All’inizio il malinteso attorno a questa visione fu quasi inevitabile: queste donne sono scambiate per operatrici pastorali e per le troppe mansioni parrocchiali non possono vivere pienamente la loro vocazione mondana. È per questo che nell’aprile del 1935 si trasferiscono nella casa di Rue Raspail.

In quegli anni Ivry era un comune ai margini di Parigi, margini non solo geografici, ma anche simbolici e sociali. Qui la maggior parte della gente conosce un’esistenza difficile: lavora troppo, manca del necessario, patisce cattive condizioni di salute, non gode dei diritti essenziali, e vive lacerata dalla rabbia conflittuale che nasce dall’ingiustizia e dallo squilibrio tra le classi. Sono anni di una grave recessione economica e il mondo politico della città, guidata dal partito comunista, cerca di far fronte alle difficoltà con diverse iniziative. Maurice Thorez, presidente del partito, aveva teso la mano ai cattolici, ricordando che al di là delle differenze, erano tutti angustiati dalle stesse preoccupazioni.[4]

Il clima politico è tuttavia inasprito dal contrasto simbolico e pratico tra comunismo e cattolicesimo: uno iato insuperabile si è generato tra la domanda di giustizia sociale del marxismo e la domanda religiosa di salvezza. Le fabbriche di proprietari cristiani, tra l’altro, non sono affatto diverse dalle altre: impongono agli operai gli stessi ritmi impossibili e gli stessi stipendi da fame, come se il vangelo non dovesse avere alcun impatto benefico nella storia.

Solo le persone e le istituzioni ispirate dal comunismo sembrano sensibili a questa miseria e puntano a una trasformazione reale del tessuto sociale. Hanno a cuore la dignità dei soggetti, per cui non si muovono con la logica dell’assistenza, ma con quella della liberazione, compresa quella spirituale. Il loro orizzonte di riferimento è quindi rigorosamente ateo, in quanto punta tutto sulla forza dell’umano e intende ogni forma di trascendenza come un dispositivo di potere per controllare e addomesticare le masse. Non poteva che sembrare impossibile – o per lo meno ardua – qualunque alleanza con i credenti. Ne sapevano qualcosa anche i preti-operai, la cui vita fu segnata da contestazioni sia una parte che dall’altra. In ogni caso, a Ivry le tensioni ideologiche e simboliche aggravavano una situazione di per sé già drammatica.

Su questo sfondo Madeleine Delbrêl trascorre metà della sua vita, aprendo un sentiero non ancora battuto. Attraverso relazioni concrete – affettive, lavorative, assistenziali e politiche – questa donna corrode e smonta il quadro ideologico del contesto, testimoniando una dislocazione personale capace di riconfigurare le mappe logorate dalle tante guerre del mondo, dichiarate o sommerse. La verità è che certe distanze sono insuperabili solo sulla cartina delle ideologie. Occorrono dunque mappe aggiornate e vitali, scrive Delbrêl, dove non conta solo l’estensione, ma anche lo spessore.[5]

In questo, secondo lei, le donne sono bravissime. Nel suo testo La donna e la casa, scritto durante l’occupazione nazista per dare dei consigli pratici a quelle che dovevano mandare avanti la famiglia nel tempo di guerra, Madeleine sottolinea come la concretezza femminile costituisca una vera e propria salvezza. Gli uomini, nella sua esperienza, sono molto più portati per l’astrazione. Trovandosi a visitare un centro sociale del luogo, non poté fare a meno di notare che quando la direttrice mostrò il suo ufficio, tutte le donne andarono spontaneamente davanti alla finestra, mentre gli uomini si posizionarono vicino alla cartina, per guardarla meglio. E concluse:

 

«È un fatto insignificante, ma la dice lunga. La vita è il grande insegnamento della donna. I corsi, i libri vanno benissimo per noi, purché si basino sulla vita. Quest’enorme confusione nella quale siamo coinvolti, gli uomini vorrebbero comprenderla. Vorrebbero spiegarla con un principio o una dottrina, vorrebbero dominarla. Noi, invece, la vediamo sotto forma di immagini, anche a costo di trarne più tardi la nostra filosofia».[6]

 

È così che Madeleine e le altre compagne trasformano la quotidianità in occasione di cura per il mondo ed eleggono il lavoro come spazio di missione evangelica. Agiscono nell’ombra, perché la loro chiamata non è molto diversa da quella di clarisse e carmelitane, ma non si ritirano in luoghi appartati e restano dove stanno tutti gli altri. Le tradisce solo una certa passione per l’umano, che emerge nella loro storia come enigma di una spiritualità radicale, che Madeleine nomina spesso con il linguaggio delle nozze mistiche.

 

Spiritualità della bicicletta

 

Come questa giovane donna abbia potuto trasformare un’esistenza ordinaria in una missione evangelica radicale non è facile da spiegare. Certo è che Madeleine Delbrêl, impegnata a Ivry come assistente sociale, avverte la quotidianità come tempo mistico e fa della strada e della sua stessa casa lo spazio di incontri umani affidati al divino. Sono incontri improbabili sia per chi si posiziona in un orizzonte rigorosamente immanente, sia per chi intende il sacro come un’istanza di separazione, mentre sono per lei e le sue compagne la naturale traduzione di una fede viva. Capita così alla «gente della strada»:

 

«C’è gente che Dio prende e mette da parte.

Ma ce n’è altra che egli lascia nella moltitudine, che non ritira dal mondo.

È gente che fa un lavoro ordinario, che ha una famiglia ordinaria, o che vive un’ordinaria vita da celibe. Gente che ha malattie ordinarie, e lutti ordinari. Gente che ha una casa ordinaria, e vestiti ordinari. È la gente della vita ordinaria. Gente che s’incontra in una qualsiasi strada.

Costoro amano il loro uscio che si apre sulla via, come i loro fratelli invisibili al mondo amano la porta che si è rinchiusa definitivamente sopra di essi.

«Noialtri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi è per noi il luogo della nostra santità.

Noi crediamo che niente di necessario ci manca. Perché se questo necessario ci mancasse Dio ce lo avrebbe già dato».[7]

 

Non serve altro che il mondo guardato con gli occhi della gratuità, per essere figlie e figli di un Dio incarnato. Nessun voto religioso, nessuna regola di vita particolare, nessun abito che segnali la differenza di una vita donata al Cristo: a Madeleine basta il battesimo, sacramento che genera e accomuna tutto il popolo cristiano nella filialità e nella fraternità[8], segno necessario e sufficiente di un’appartenenza intima ed ecclesiale che la rende sorella di chiunque.

Può accadere solo a una condizione: che ci si liberi del narcisismo. Madeleine lo sa per esperienza, ma forse si potrebbe dire per rivelazione:

 

«Ero con Gesù che mi mostrava, e con tanto dispiacere, che avevo amato al di fuori di lui e tutte le mie ingiurie all’ostia. E poi, tutt’a un tratto, mi ha mostrato il più grande peccato, la più lunga preferenza: l’amore di me».[9]

 

Non a caso, dopo la sua conversione Madeleine si era recata in arcivescovado, e aveva lasciato lì due opali a lei cari. Un gesto simbolico, che prende senso anche attraverso la sua poesia, scritta in precedenza dal titolo Opali, dove si legge: «ho voluto somigliare a un opale raro, che il disprezzo incastona tra i suoi fieri artigli»[10]. Portare quegli opali non è solo spossessarsi dell’inutile, ma disfarsi di se stessa, della propria immagine e, in particolare, del proprio ruolo sociale. Disfarsi dell’io sociale immette in una condizione di povertà vertiginosa, ma solo così si può raggiungere qualunque sorella o fratello che grida il proprio tormento, nel silenzio generale. L’ingombro dell’io impedisce ogni legame.[11]

Non è un invito alla spersonalizzazione o a una spiritualità anonima e passiva. Il Sé deve restare vivo e vigile, capace di donarsi e di sbilanciarsi sull’alterità. La sensibilità religiosa di Madeleine non si chiude mai nella contemplazione disincarnata, ma è capace di passione, di forza e di slanci verso la concretezza della vita e delle vite. La sua è una «spiritualità della bicicletta», come recita il titolo di una poesia inserita fra quelle che nel 1926 le fanno vincere il premio letterario Sully Prudhomme. Eccone uno stralcio:

 

«Tu ci hai scelto per essere in un equilibrio strano.

Un equilibrio che non può stabilirsi né tenersi

se non in movimento,

se non in uno slancio.

Un po’ come in bicicletta che non sta su senza girare,

una bicicletta che resta appoggiata contro un muro

finché qualcuno non la inforca

per farla correre veloce sulla strada».

 

Che una corsa veloce in bicicletta, sulle tante strade del mondo, possa essere cifra di una spiritualità evangelica radicale non è un pensiero banale: Madeleine ha scoperto in sé un desiderio che «vuole salvare ciò che è perduto, guarire ciò che è malato, unire ciò che è separato, perpetuamente ed universalmente», e sa che per inscriverlo nel mondo occorre agire.[12]

 

Dio è morto, ma può risuscitare in qualunque vita

 

Madeleine Delbrêl non amava parlare o scrivere di sé, ed era molto riservata riguardo la propria vita spirituale, anche se con alcune persone si confidava in tutta libertà. Fortunatamente le piaceva tanto scrivere, per cui restano a nostra disposizione le riflessioni che appuntava continuamente, le poesie che componeva e le lettere che mandava. Il suo ritratto si chiarisce ulteriormente attraverso le preziose testimonianze di chi l’ha conosciuta direttamente e ne ha voluto lasciare traccia.

Tra le diverse biografie spicca per profondità quella redatta da Jacques Loew, non solo perché vi si trova quella conoscenza dell’anima che viene consegnata ai veri amici, ma anche perché in poche pagine si offre una ripresa sistematica e ben contestualizzata delle diverse trasformazioni spirituali vissute da Madeleine.[13]

Jacques è un prete-operaio che per comprendere le condizioni reali dei lavoratori si è fatto assumere come scaricatore nel porto di Marsiglia. Aveva cercato lui Madeleine. Voleva sapere come quella donna stava affrontando concretamente e spiritualmente i problemi di una periferia segnata dal divario sociale ed economico, senza perdersi. Sperava di trovare in lei un valido appoggio per la sua complicata vita di sacerdote calato nel mondo di un lavoro durissimo, quando la fatica fisica si imponeva sulla spiritualità, il dramma dell’ingiustizia sociale assorbiva ogni energia e la Chiesa non faceva che spargere veleno su questo tipo di esperienza. L’aveva così incontrata a Parigi. Fu l’inizio di una grande amicizia, sorta sotto il segno dello stupore di lui per l’umiltà di lei che, nonostante la sua consolidata esperienza, non aveva calato consigli dall’alto e si era posta «alla pari». La sintonia fu immediata, come quando una vita fa da specchio a un’altra:

 

«Tutti e due atei, tutti e due contro la chiesa e i preti, tutti e due alla ricerca di qualche cosa, di Qualcuno. Tutti e due abbiamo trovato questo Qualcuno, il giudeo del primo secolo. Parola eterna di Dio fattasi carne. Tutti e due ci siamo fatti “carne”, siamo scesi nell’inferno dell’umanità e abbiamo scoperto che c’è possibilità di chiamare Dio per nome, di gridargli, magari bestemmiando, che lanci la corda della salvezza. Madeleine, forse, qualcuno la chiamerà pazza. Per me è la santa di questo secolo, la “pasionaria” mai stanca di scrutare Dio. E anch’io non sono ancora stanco».[14]

 

Colpisce la radicalità della descrizione, in cui si nominano l’ateismo quale ricerca di un sacro ribelle ai codici ma non del tutto impersonale, e l’ardire di attraversare l’inferno delle storie più umane generando legami mistici straordinari.

Lo sfondo del confronto è un piano simbolico condiviso, segnato dalla fatica della storia dei preti-operai in Francia, consumata tra la disapprovazione di una Chiesa che la teme perché “troppo a sinistra”, e il sospetto del mondo marxista che la trova poco radicale, poco esposta, e poco reale. Quando Roma ne decretò la soppressione,[15] Madeleine non si rassegnò e cercò contatti per opporre una qualche resistenza, sperimentando la sordità di un contesto ecclesiale con cui comunque mai ha voluto tagliare i ponti. Libera e fedele al contempo.

Nella storia spirituale di Madeleine, Loew individua tre passaggi fondamentali, tre «ritorni», come li chiamerebbe la protagonista stessa: a vent’anni, nella forma dello sconvolgimento violento con cui un’esperienza della trascendenza può presentarsi a quell’età, a venticinque, quando la fisionomia del Dio incontrato si connota in senso specificamente evangelico, e a trent’anni, quando l’incontro con l’ambiente ateo di Ivry purifica in modo radicale e continuo il suo vissuto di fede, chiedendole continue conversioni.

Questo tragitto complesso fa ricordare che Madeleine è all’incrocio tra diversi mondi già in famiglia, dove il padre – molto critico verso la religione e pieno di curiosità intellettuali e artistiche – la mette nelle condizioni di formarsi in modo libero, con lezioni private che la portano ad affacciarsi sull’orizzonte letterario, poetico, filosofico e musicale, e la madre, di ambiente più elevato ma con una religiosità meno critica e decisamente più timorosa del giudizio altrui, le passa uno stile esistenziale resiliente, vivendo con forza e personalità un matrimonio difficile e lasciando libera la figlia di sperimentare traiettorie incerte e sconosciute. Tra una maternità espressa nel rigore e nella disciplina e una paternità dalla forma piuttosto anarchica e segnata anche da qualche squilibrio psicologico, Madeleine è un’adolescente atea, tormentata dall’assurdo della vita e dalla tragicità della morte:

 

«Si è detto “Dio è morto”. Poiché è vero, bisogna avere l’onestà di non vivere come se vivesse. Si è regolata la questione con lui: resta da regolarla con noi. Ora siamo avvertiti. […] L’infelicità grande, indiscutibile, ragionevole, è la morte. È davanti ad essa che dobbiamo diventare realisti, positivi, pratici».[16]

 

È dunque una ragazza di diciassette anni a fare i conti con la sentenza nietzschiana e ad assumerne le conseguenze, non senza inquietudine. La questione della successione di Dio è aperta, ma l’unico erede sembra essere la morte. La morte è ovunque e può brutalmente interrompere ogni amore, ogni pensiero, ogni risata, scrive Madeleine. Si porta via tutto, e per sempre. A noi manca il coraggio di nominare questa definitività e indossiamo diverse maschere di eternità, solo per continuare a dire «arrivederci» a quelli che purtroppo esalano l’ultimo respiro.

Madeleine sente il bisogno di una nuova confidenza con il limite e la finitezza. Vuole essere all’altezza di una realtà certamente destinata a bruciarsi nel tempo, ma vuole trovarla distogliendo gli occhi dalle fiamme. C’è un mondo da scoprire, accanto a queste:

 

«Una volta qualcuno ha detto: “noi danziamo su un vulcano”. Va bene, io danzo. Ma voglio sapere che cosa c’è sopra un vulcano. Vicino ai vulcani ci sono ville e capanne, giovani e vecchi, geni e imbecilli, malati e campioni, chi è molto amato e chi è amato assai male; quando il vulcano erutta non c’è più che fuoco: come dire, non si vede più che fuoco».[17]

 

In questa prospettiva Dio è un’assurdità – «incompatibile come fede religiosa o come ipotesi filosofica con una ragione sana», «intollerabile perché inclassificabile» –,[18] ma ciò non è grave: Madeleine ama la vita, la musica, il ballo, la poesia, la letteratura, ed è fiera di mettere al primo posto l’intelligenza, senza cercare improbabili verità trascendenti. Sa come divertirsi.

Sta uscendo proprio da una sala da ballo, nella quale spesso passava l’intera notte, quando incontra un gruppo di giovani che mette in questione questo suo fiero equilibrio:

 

«Essi si trovavano molto a loro agio in tutta la mia sfera del reale; ma essi portavano ciò che dovevo ben chiamare “il loro reale”, e che reale! Parlavano di tutto ma anche di Dio che per loro sembrava indispensabile come l’aria. Erano a loro agio con tutto il mondo, ma con un’impertinenza che andava fino a scusarsene, essi mescolavano a tutte le discussioni, ai progetti e ai ricordi, delle parole, delle “idee”, delle messe a punto di Gesù Cristo».[19]

 

Nella storia di Madeleine questa vita abitata dal divino irrompe come un fulmine a ciel sereno: il suo mondo nato sulle ceneri del Dio morto le pare improvvisamente inconsistente e fragile. Un dubbio si insinua nel suo incrollabile ateismo. Accoglierlo era il minimo che potesse fare una donna fedele ai fenomeni: in quei giovani l’esperienza della fede era davvero il «loro reale»[20]. Non è che Madeleine si scopra immediatamente credente, ma il varco era ormai aperto.

Qualcosa di nuovo respira dentro di lei, che preme nell’oscurità. Inizia allora a pregare, senza un perché. Lo fa solo ed esclusivamente a partire dall’ipotesi che Dio possa esistere. È abbastanza e ne resta «abbagliata»:[21]

 

«Scelsi ciò che mi sembrava tradurre al meglio il mio cambiamento di prospettiva: decisi di pregare. L’insegnamento pratico di quei pochi mesi mi aveva suggerito quest’idea un giorno in cui, in mezzo a una discussione, era stata evocata Teresa d’Avila, che diceva di pensare silenziosamente a Dio per cinque minuti ogni giorno».[22]

 

Pregando, Madeleine sperimenta l’impressione di essere stata trovata:

 

«Tu esistevi, io non lo sapevo.  Avevi fatto il mio cuore a tua misura, la mia vita per durare quanto te, e poiché tu non c’eri, il mondo intero mi sembrava piccolo e stupido e il destino di tutti gli uomini insulso e cattivo. Quando ho saputo che Tu esistevi ti ho ringraziato di avermi fatto vivere, ti ho ringraziato per la vita del mondo intero»[23].

 

È un’esperienza particolare, che si fa nella continuità della storia, ma che deve aver avuto anche momenti particolari ed eccezionali. Sotto una poesia della metà degli anni Cinquanta in cui Madeleine esprime la propria rinuncia alla sovranità sul potere, sul piacere, sulla volontà[24] – segni di un passaggio radicale e mistico nella vita spirituale di una persona – è riportata la data del 29 marzo del 1924.

In tutto questo ha indubbiamente avuto un ruolo fondamentale Jean Maydieu. Madeleine si innamora di lui nella primavera del 1923, ricambiata. Il ragazzo faceva parte del famoso gruppo incontrato dopo il ballo, che Madeleine iniziò poi a frequentare. Con lui l’ipotesi di Dio si insinua con forza nella sua mente, e non se ne andrà più. Com’era possibile che un uomo così intelligente fosse al contempo credente, senza per questo mostrare una personalità fragile o scomposta?

Non c’è il tempo per rispondere, perché la storia si interrompe improvvisamente: lui la lascia ed entra nel noviziato domenicano. Non si vedranno più, se non per caso e senza parlarsi. Il dolore dell’abbandono pare insostenibile, un vero e proprio trauma, una spina nella carne: «So cosa significano certi stati dell’anima per averli attraversati io stessa conservandone un ricordo crocifiggente», scrive in una lettera a un’amica.[25]

In questo periodo così duro, la cecità del padre, appena cinquantenne, aggrava il suo malessere. Per questo grave handicap, l’uomo che le ha insegnato la meraviglia verso la realtà ora è deluso, risentito, arrabbiato e anche aggressivo. Il matrimonio dei suoi genitori, messo alla prova dal comprensibile e grave peggioramento dell’umore del padre, si disfa progressivamente. Madeleine darebbe qualunque cosa per sapere che senso ha vivere, se si deve sperimentare l’impotenza dell’amore, che non salva nessuno dai propri traumi e abissi interiori. Il mondo e la storia le sembrano una farsa crudele.

Per lo sconforto, Madeleine è costretta a un ricovero in una clinica psichiatrica. È particolarmente scettica verso ogni forma medica di cura dell’anima e si ribella, fa lo sciopero della fame e pretende di uscire. Ciononostante, non si rassegna e non spegne il suo desiderio di vivere: osserva, studia, riflette, discute, legge san Giovanni della Croce e santa Teresa d’Avila e cerca un modo per stare al presente. Lotta per smascherare la falsa consolazione e la menzogna di certe rappresentazioni e nel frattempo continua ad affrontare la vita, come può.

Madeleine fortunatamente si riprende ed esce dall’esperienza spiritualmente trasformata: quel ragazzo meraviglioso, l’aveva dapprima messa di fronte a una fede imprevista, tutta da interrogare, e poi – nel momento del distacco – l’aveva lasciata di fronte a quella stessa fede, nuda davanti a ciò che resta quando tutto si rivela fragile. È Madeleine stessa a rileggere l’esperienza in questa chiave spirituale, quando alla morte di lui scrive alla sorella: «la mia riconoscenza per suo fratello è duplice: quella di avermi fatto incontrare Dio […] e quella di essersene andato».[26]

Per questa complessità non sarebbe corretto ricondurre la svolta mistica di Madeleine a un ripiego consolatorio. Più probabilmente, quest’esperienza di immersione nell’amore e nel dolore le hanno fatto sperimentare un’ulteriorità inedita, accolta tuttavia grazie a un percorso silenziosamente iniziato molto prima, semplicemente facendo attenzione alle vite degli altri e imparando a lasciarsene istruire. Di fronte a frammenti di realtà incompatibili con il suo sistema di credenze, Madeleine reagiva facendosi delle domande, senza mai annullare le contraddizioni, i paradossi o le smentite. Non è dunque il dolore della separazione in sé ad aprirla a Dio[27], ma il realismo con cui lo abita, intercettando un’espressività degli eventi che suona un’altra melodia.

Le domande allora cambiano: che cosa accade a questo Dio morto, se qualcuno gli dona la propria vita? Si apre un dubbio: il Dio morto potrebbe risorgere in noi, se solo proviamo a incarnarlo.[28] È questa l’esperienza di Madeleine, che si sente abbagliata da Dio, ma che mai dimentica di come si tratti sempre di una «luce nera», che non semplifica la vita e che resta difficile da accettare nella sua fisionomia enigmatica e indisponibile. Questa luce nera è alveo di profezia, intesa come sofferente fedeltà a due misteri, il mistero di Dio e il mistero del buio del mondo, che lontano dall’amore produce solo baratri di ingiustizia e di emarginazione. La vita cristiana è dunque un cammino tra due abissi che paradossalmente si toccano: quello del Dio rifiutato dal mondo e quello del mondo abitato da Dio. Madeleine cerca di passare per quel sentiero: mediatrice tra il buio dell’ateismo e quello della mistica, spera di rigenerare il contesto attraverso i legami che vive.[29] Non poteva che essere questa la via intrapresa dall’équipe: è in uno spazio di relazioni concrete che tutto è iniziato, ed è lì che in qualche modo deve ritornare.

 

Parole incarnate

 

Dopo la svolta mistica, Madeleine si innamora della vita nel suo insieme, con i volti anonimi che domandano attenzione sperando di esistere almeno per qualcuno, e con tutte le fatiche, gli entusiasmi e le contraddizioni degli incontri reali. Cerca di essere «il contrappeso delle miserie dei senza Dio»,[30] attraverso pratiche di vita che portano fin da ora in paradiso:

«Ogni piccola azione è un avvenimento immenso nel quale ci viene dato il paradiso, nel quale possiamo dare il paradiso. Non importa che cosa dobbiamo fare: tenere in mano una scopa o una penna stilografica. Parlare o tacere, rammendare o fare una conferenza, curare un malato o battere a macchina. Tutto ciò non è che la scorza della realtà splendida, l’incontro dell’anima con Dio rinnovata ad ogni minuto […]. Suonano? Presto, andiamo ad aprire: è Dio che viene ad amarci. Un’informazione? … eccola: è Dio che viene ad amarci. È l’ora di metterci a tavola? Andiamoci: è Dio che viene ad amarci. Lasciamolo fare».[31]

Colpisce che gesti così diversi siano ricondotti a una stessa matrice agapica. Ricevere e dare il paradiso sono esperienze poliedriche e vitali, in cui saltano i dualismi tra pensare e fare, tra essere soli e con altri, tra le piccole e le grandi cose. È una verità ricevuta gratuitamente che va restituita a chiunque si incontri sulla propria strada: «l’amore apostolico è un’opera di giustizia»[32]. L’amore per il prossimo deve spingersi fino a qui. Altrimenti resta infermo e genera inferni.

Madeleine non si riferisce a un amore spiritualmente generico, ma persegue un’agape cristologicamente connotata. È con Jacques Lorenzo, giovane sacerdote parroco vicino alla casa di Rue Raspail conosciuto anni prima, che l’esperienza spirituale di Madeleine si specifica e si approfondisce in questo senso. Padre Lorenzo, divenuto parroco a Ivry poco dopo l’arrivo dell’équipe, fu il confidente di Madeleine per una trentina d’anni.

Il loro rapporto è quello di una direzione spirituale senza asimmetrie. A lui Madeleine si rivolge quando vive l’angoscia dello squilibrio mentale: teme di essere in condizioni di debolezza psichica e di essere vittima di manie di grandezza, soprattutto quando le sembra di riconoscere nella vita dei santi alcune esperienze della propria,[33] e dubita della trasparenza e della solidità dei suoi progetti, che potrebbero derivare dall’amor proprio,[34] oppure da un debito genetico con la follia del padre.[35] Il mondo è pieno di squilibrati che credono di avere una missione. Padre Lorenzo sa tranquillizzarla, e la riporta alla fiducia verso il proprio desiderio.

Il rapporto tra loro gode comunque di una certa reciprocità. Madeleine osa entrare nella vita di fede del suo padre spirituale, e lo fa con una franchezza che poche donne si permettono con un prete.[36]

Tra l’altro, malintesi e fatiche non sono mancati in riferimento alla vita de La Carità, anche se non se ne conoscono i dettagli. Certamente ciò sarà dipeso dal fatto che don Lorenzo era un uomo portato al nascondimento, privo dell’audacia dell’esposizione e decisamente sprovvisto del dono dell’organizzazione. Nell’équipe, la sua è una presenza di vicinanza psicologica, ma non politica: è personalmente coinvolto, si preoccupa di sostenere le crisi, sa ridimensionare lo sguardo eccessivamente impietoso che Madeleine posa spesso su di sé, ma è troppo timoroso nel prendere decisioni ed esita ad assumersi responsabilità che lo rendono visibile, riconoscibile, posizionato. Egli se ne rende perfettamente conto: sa di non compromettersi abbastanza per loro e sa che sul piano istituzionale la sua incertezza e la sua introversione si mettono spesso di traverso e ostacolano i progetti di Madeleine e delle sue compagne.

Madeleine mantiene comunque lo sguardo fisso verso la propria direzione, e porta avanti un processo di incarnazione personale della parola divina, che deve farsi vita attraverso la sua stessa storia.[37] Questa parola non è intellettuale o astratta e il testo biblico è sì un riferimento essenziale e irrinunciabile, ma non va infilato nella borsetta come si farebbe con un manuale di istruzioni o con un cellulare utile a chiamare in caso di emergenza:

«La luce del Vangelo non è una illuminazione che ci rimanga esterna; è un fuoco che esige di penetrare in noi per operarvi una devastazione e una trasformazione. […] Il Vangelo non è fatto per spiriti in cerca di idee».[38]

Questo fuoco le serve per scaldare la vita congelata nella miseria, nell’indifferenza e nell’ingiustizia degli squilibri sociali, per ritrovare il calore di un’umanità sacrificata in nome di quel dio denaro che finisce sempre nelle tasche di pochi, pervertendo i legami fraterni.

In questo momento, quando il contatto con la Parola è particolarmente intenso e dirompente, Madeleine smette di scrivere poesie. Forse è il segno di una vera e propria trasformazione interiore. Il suo corpo si stava facendo parola: «questo benessere, questa emicrania, queste gambe affaticate sono la materia della nostra grazia attuale»[39]. Dovremmo guardare il corpo come un contadino guarda la propria terra, sapere quanto vale, conoscerne le risorse e le vulnerabilità, perché è con questa «pasta umana» che Dio lavora.[40] Il Verbo si incarna ancora, il Dio morto risorge di nuovo e le parole evangeliche si fanno performative,[41] nella carne che si espone allo spirito. Anche i discorsi si nutrono allora di una fecondità nuova e accendono fuochi che riscaldano:

 

«Poiché le parole non sono fatte per rimanere inerti nei nostri libri, ma per prenderci e correre il mondo in noi, lascia, o Signore, che di quella lezione di felicità, di quel fuoco di gioia che accendesti un giorno sul monte, alcune scintille ci tocchino, ci mordano, c’investano, ci invadano. Fa’ che da essi penetrati come “faville nelle stoppie” noi corriamo le strade di città accompagnando l’onda delle folle contagiosi di beatitudine, contagiosi di gioia. Perché ne abbiamo veramente abbastanza di tutti i banditori di cattive notizie, di tristi notizie: essi fan talmente rumore che la tua parola non risuona più. Fa’ esplodere nel loro frastuono il nostro silenzio che palpita del tuo messaggio».[42]

 

 

La lezione di Ivry: tra il marxismo e il catechismo, solo la vita

 

Quando il 15 ottobre 1933, festa di santa Teresa d’Avila, Madeleine, Suzanne ed Hélène prendono il tram e poi il bus per raggiungere la loro residenza comune, sono piene di entusiasmo per ciò che le aspetta: si sentono missionarie con infiniti beni da condividere.

Tuttavia, le cose non vanno tutte lisce: appena mettono piede a terra, sono prese a sassate e a insulti. Si guardano per la prima volta con gli occhi degli altri, che vedono delle religiose insensibili ai drammi reali. Complice anche la divisa, attorno a loro si condensa la rabbia della miseria inascoltata. Non l’avrebbero più indossata. È l’inizio di una conversione imprevista, che domanda di rinunciare all’io immaginario per esporsi coraggiosamente allo specchio altrui, e di apprendere con umilità le leggi del luogo, soprattutto quelle non scritte. Le tre donne imparano in fretta a discernere i termini del conflitto in atto, per il quale ogni nuovo arrivato doveva in qualche modo schierarsi tra i comunisti o tra i cattolici. Si cercava la rottura a tutti i costi, anche per stabilire i confini nella separazione, in una prospettiva irreale che in qualche modo imponeva di vivere da una sola parte, senza contatti con l’altra. Addirittura, i negozi erano stati divisi tra le parti, per cui anche la spesa funzionava come una dichiarazione di pace o di guerra.

Madeleine si accorge subito che il cattolicesimo non è affatto innocente nel dramma della miseria delle classi operaie e che quella bandiera rossa sventolante sul municipio di Ivry era il richiamo a una responsabilità da assumere proprio come cristiana. Non poteva accettare che la vita credente dovesse stare fuori dalla politica e gravitare altrove, cieca e sorda rispetto all’ingiustizia sociale. Allo stesso tempo, non poteva sposare una prospettiva politica che faceva dell’ateismo la cifra della libertà e della dignità umana.

In questo tessuto smagliato e teso, Madeleine si accorge anche che aiutare gli altri non è poi così facile e immediato, soprattutto quando si dispone solo della buona volontà. Un giorno, animata dalle migliori intenzioni, si reca a casa di una famiglia povera per consegnare un pacco di vestiti. Le apre la porta un bambino ed è a lui che affida il carico, raccomandandogli di darlo alla mamma. Mentre è ancora sulle scale, il pacco le viene scaraventato addosso dalla padrona di casa, che lo aveva appena ricevuto e aperto: con un linguaggio comprensibilmente rude, la donna grida tutta la sua rabbia per il fatto che i vestiti non erano stati lavati. Madeleine, che a dire il vero non aveva controllato il contenuto del pacco, ritornerà poi da loro con un mazzo di rose, segno di pace, ma anche brillante via d’uscita dal registro dei bisogni. Sarà l’inizio di una nuova autentica amicizia. Da quel momento in poi, Madeleine non smetterà mai di chiedersi se veramente riusciva ad aiutare le persone salvando la loro libertà e la loro dignità, o se invece c’era qualcosa di involontariamente umiliante o degradante nelle sue parole o nei suoi gesti.

La necessità di evitare i fraintendimenti fu qualcosa con cui Madeleine dovette fare i conti per tutta la vita. Come già anticipato, La Carità non seguiva un sentiero già tracciato, per cui costantemente veniva raggiunta da forme di assorbimento provenienti dalla parrocchia e dalle istituzioni del partito comunista.

L’esperimento di vita iniziato dall’équipe sembrava una forma di collaborazione alle attività parrocchiali, e forse questa finalità era in qualche modo penetrata anche nell’immaginario di Madeleine e delle altre.

In ogni caso la loro sensibilità verso la contingenza e la loro libertà esistenziale le apre immediatamente ad altre strade. Sentono ben presto di doversi smarcare da tutto ciò che le riporta a cornici tradizionali, che mai avrebbero scommesso sull’incontro tra mondo religioso e mondo politico marxista. Dalla Chiesa, le donne de La Carità vogliono riconoscimento, perché la forma della loro esperienza aveva qualcosa di profetico: né «suffragette eccitate», né «ombre tremanti dei nostri fratelli uomini»,[43] Madeleine e le altre si pensavano come l’equipaggio necessario per una nave ecclesiale che non aveva finito il suo viaggio, una nave che ha consegnato il ponte, lo scafo e gli alberi al mondo maschile, ma che per le vele non poteva fare a meno delle donne. Scrive ironicamente Madeleine: «senza contare che essi hanno sempre voglia di motori e che il vento dello Spirito Santo non ha mai saputo che farsene».[44]

Seguendo questo vento, per Madeleine era fondamentale disporre di competenze specifiche, che potessero garantire una certa qualità politica all’amore per il prossimo a cui si dedicavano completamente. Madeleine ricordava sempre come Giovanna d’Arco non si sia accontentata di pregare e di morire per la Francia, ma sia stata un’ottima condottiera, e che nemmeno san Tommaso si sia limitato a preghiere e adorazioni, impegnato com’era a essere un buon filosofo. Per questo, lei aveva studiato prima come infermiera e poi come assistente sociale. Suzanne era infermiera ed Hélène maestra d’asilo.

Come tutto ciò che non ha precedenti, questa strana comunità deve imparare molto, e non può che riuscirci mettendosi in ascolto dell’esperienza, che racconta di miseria, malattie, ingiustizie e squilibri sociali. Il punto di partenza diventa allora via via più chiaro: «Ciò che cercavamo, ciò che io volevo, era la libertà di vivere, fianco a fianco, con gli uomini e le donne di tutta la terra, con i miei vicini di tempo, gli anni dei nostri stessi calendari e le ore dei nostri stessi orologi».[45]

Il punto di arrivo non è anticipabile, ma le condizioni sono date e inaggirabili: una condivisione fianco a fianco di spazi e tempi che si fanno missione di prossimità: dal momento in cui si accetta di diventare esseri di incarnazione della parola divina, si appartiene per sempre a quelli che la aspettano[46]. L’importante è stare sul piano delle pratiche, senza lasciarsi irretire dalle ideologie: è sempre sul piano pratico che ci si incontra, e mai su quello della verità.

L’amore per la giustizia unisce i soggetti più distanti e consente a Madeleine di vivere legami autentici con i marxisti, che provocano i credenti nella loro custodia effettiva del mistero di Dio e che si coinvolgono nel mondo, così come anche i cristiani dovrebbero fare. Installati in una fede senza notte e dunque immaginaria, i credenti spesso si acquietano davanti al male del mondo,[47] e smarriscono quel realismo di cui è intessuta la fede autentica: «la fede è realismo: siamo noi che spesso ne facciamo un’astrazione. E abbiamo torto. […] essa è una scienza pratica, il savoir-faire della vita, oggi, qui»[48]. In questo senso, la missione non doveva risvegliare il ricordo del Gesù vissuto nel I secolo, ma doveva renderlo presente nella sua forza viva e attuale, che squarcia e ispira la storia qui e ora:

 

«Il Gesù di oggi, preoccupato molto meno della lebbra o dei casi di possessione che dei mali di oggi; che non perde il proprio tempo a ricreare le condizioni di vita del I secolo, ma che entra con determinazione nel ritmo attuale così come era entrato in quello della vita dei Giudei. Se Gesù incontrasse oggi il Buon Samaritano, non parlerebbe di vino e di olio come medicamento e non condurrebbe il ferito in una locanda, ma in un ospedale».[49]

 

La lezione di Ivry per lei è stata questa: si può lavorare con chiunque, anche senza condividere le sorgenti della propria ispirazione, perché si riesca a spartire il desiderio di salvare l’umanità sofferente. Da questo punto di vista, i comunisti sono per Madeleine dei testimoni di una «contro-verità»[50]: essi negano Dio, ma allo stesso tempo costituiscono la prova vivente della sua esistenza,[51] evidente proprio attraverso la loro generosità, il loro interesse, i loro sacrifici, la loro capacità di accogliere gli altri e di farsene carico.[52]

«Se vuoi trovare Dio sappi che è dappertutto, ma sappi che non è solo», scrive Madeleine.[53]

 

La notte delle porte

 

Passano gli anni, Madeleine vive in modo molto intenso, coniugando la sua ricerca spirituale con impegnativi incarichi nei Servizi Sociali parigini[54] e con diversi viaggi. L’équipe nel frattempo si è decisamente allargata – nel 1943 sono ormai in tredici – e l’esperienza si riproduce anche in altri luoghi.

Il ritmo di vita, però, è davvero troppo intenso e a Madeleine mancano le forze. Stanchissima, si sente profondamente sola, anche se non si ferma: continua a tenere conferenze e ad affrontare spostamenti internazionali. In quel momento, il suo gruppo la mette seriamente in discussione, e alcune compagne cominciano a pensare che è arrivato il momento di appoggiarsi a qualcun altro, magari a un istituto secolare. Madeleine ne soffre, ma allo stesso tempo sa di essere l’unica memoria viva rimasta della vocazione originaria, e sente di doverla salvare attraverso la forza della propria autorità, intesa come energia per promuovere ulteriormente ciò che in qualche modo dipende da lei:

 

«La parola “autorità” è, da sola, tutta un programma. Diamole tutto il senso che le appartiene. Auctor, autorità, autore. È una funzione di accrescimento, di vita. Attraverso l’autorità, se svolgiamo bene il nostro ruolo, dobbiamo accrescere le possibilità di chi abbiamo ai nostri ordini. La chiarezza delle nostre direttive, la nostra fede in ciò che facciamo sono doni che comunichiamo a quanti abbiamo sotto la nostra autorità».[55]

 

È con questa stessa autorità che, per esempio, prenderà posizione riguardo la guerra in Algeria: «per gli indifferenti, la guerra di Algeria è soltanto il sangue degli altri, la morte degli altri», ma per quelli che hanno a cuore l’umano diventa fondamentale implicarsi personalmente, anche prendendo parte a incontri politici organizzati in un ordine simbolico estraneo alla religione. Le dittature, si sa, si nutrono di coscienze addormentate, e non si può abdicare al compito reciproco di risvegliare le coscienze:

 

«io ci vado per non dormire sulla disgrazia del vicino, per impedire agli altri di dormire come dormirei io […] io ci vado perché non credo a nessuna politica, se questa politica non è radicata nella coscienza degli uomini».[56]

 

Inutile dire che c’era chi malignava su questa prospettiva o strumentalizzava le affermazioni di Madeleine, ma lei non si lasciava contenere facilmente.

Il 1955, però, fu per Madeleine un anno particolarmente duro: muoiono, ravvicinati, la madre e il padre, seguiti dal mai dimenticato Jean Maydieu. Madeleine non si sente più al posto giusto nel mondo ed entra in una crisi d’esaurimento molto profonda. Nel mese di dicembre, vive allora una giornata e una notte nella follia, priva di contatto con la realtà. Non sapeva dove si trovasse, immaginava di essere stata internata e di dover bussare in continuazione, senza trovare accoglienza. Quella notte sarà per lei «la notte delle porte».

Quando tornò in sé, Madeleine rilesse quell’episodio in chiave spirituale, intravedendovi l’urgenza di vivere la sua intelligenza come un dono, più che come una proprietà. Era quello l’ultimo atto di spogliazione, richiesto dal suo cammino profondo: doveva disfarsi del suo bene più prezioso, di ciò a cui lei aveva sempre tenuto di più, la sua intelligenza. Non è la rinuncia al giudizio e al discernimento, ma una conversione del pensiero, liberato da quell’aura di prestigio[57] con la quale spesso viene spontaneo rivestirlo.

Davanti alla lucidità e all’umiltà con la quale Madeleine prese atto della sua vulnerabilità e dell’inquietante momento che aveva patito, il gruppo smise di pensare a un cambiamento nella comunità. Madeleine non aveva paura del suo bisogno di consolazione e sapeva accettare di essere consolata: tutto questo faceva di lei una vera leader. La votazione del 1958 la conferma infatti nel suo ruolo, con un esito unanime (tranne un voto, probabilmente il suo).

Così, con una vita tessuta attorno a un ordine simbolico centrato sull’agape, Madeleine ha voluto condividere il dolore e la miseria degli ultimi, convinta che non essere presenti al proprio tempo significava sabotare il divino nel mondo. Sapeva tuttavia altrettanto bene che è inutile inerpicarsi fino a certe altezze se non si conoscono le profondità che vi corrispondono, ma che questa sapienza passa per una fatica personale nella quale nessuno può sostituirsi a un altro: «si guadagnano i deserti, non si regalano».[58]

 

 

Un catino di acqua sporca: libera di servire

 

Madeleine viene trovata riversa sul pavimento tra il suo letto e la scrivania, il 13 ottobre 1964.

Il concilio Vaticano II era ormai iniziato, e Madeleine vi era stata coinvolta per far luce sulle diverse realtà apostoliche laiche e per offrire la sua profonda conoscenza dell’ateismo. Il suo sguardo è decisamente lanciato in avanti, preoccupato non tanto del marxismo, quanto dello spegnimento del desiderio di spiritualità che avrebbe piegato il futuro su se stesso:

 

«Un pericolo maggiore si avvicina alla Chiesa senza far rumore. Il pericolo di un tempo, di un mondo, nel quale Dio non sarà più negato, né espulso, ma escluso, dove sarà inconcepibile. Di un mondo nel quale vorremo allora gridare il suo nome, ma dove non potremo lanciare questo grido poiché non avremo più posto dove mettere i piedi».[59]

 

Eppure ciò che lascia in eredità è uno sguardo di speranza. Tra le sue carte, spunta un biglietto rivolto alle amiche: «vi lascio un parere: non sia il mio ricordo a farvelo seguire… Poiché il mio augurio è che voi siate veramente libere».[60]

Non è la libertà desiderata da chi non vuole rendere conto a nessuno e se ne sta alla larga dai legami impegnativi. Come scrive Roberta de Monticelli, c’è la libertà di chi spezza le catene e si sottrae alle costrizioni, quella di chi si trova a un bivio e deve decidere da che parte andare, ma c’è anche la libertà della danzatrice, che sembra volteggiare leggiadra e senza schemi, ma che in realtà è riuscita con il suo consenso a inscrivere nel suo corpo una coreografia bella e impegnativa, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo.[61] Nella poesia Il ballo dell’obbedienza, Madeleine evoca un’esperienza simile, e ricorda che le corse affannose della giornata, i pranzi da preparare, il sonno che affatica il desiderio di pregare, il lavoro, i conti, il gelo che impigrisce e l’afa che paralizza possono diventare passi di una danza meravigliosa, in cui l’arte e la mistica non sono poi così distanti.[62] Questa coreografia coincide per Madeleine con il movimento della lavanda dei piedi, con cui il vangelo di Giovanni mette in scena l’esistenza eucaristica. Su questo sfondo, non stupisce che in lei l’immagine della vita mistica sia quella di un catino colmo di acqua sporca:

 

«Girare il mondo con quel recipiente e ad ogni piede cingermi dell’asciugatoio e curvarmi giù in basso, non alzando mai la testa oltre il polpaccio per non distinguere i nemici dagli amici, e lavare i piedi del vagabondo, dell’ateo, del drogato, del carcerato, dell’omicida, di chi non mi saluta più, di quel compagno per cui non prego mai, in silenzio finche tutti abbiano capito nel mio il tuo amore».

 

Da questo punto di vista, la mistica di Madeleine costituisce un’eredità per ogni vita: «noi siamo tutti predestinati all’estasi», se sono i legami a fare la differenza.[63] Per questa sapienza, la vita resta per Madeleine il manuale più veritiero.

 

 

[1] Da qualche mese ne hanno anche avviato la ristrutturazione.

[2] La sua causa di beatificazione è stata avviata nel 1993 e recentemente papa Francesco ha fatto promulgare il decreto che la dichiara “venerabile” (il 26 gennaio 2018).

[3] Nella realtà stravolta dalla logica e dalla pratica della produzione in serie, Madeleine si considerava «missionaria senza battello», partita da casa non per raggiungere altre coste, ma per immergersi completamente in una storia ferita, divenuta ormai difficile da leggere, ma ancora piena di germogli da far fiorire. Cfr. Madeleine Delbrêl, Missionari senza battello. Le radici della missione, Messaggero, Padova 2004.

[4] Per una ricostruzione del contesto storico politico ed ecclesiale, cfr. Cristina Simonelli, Francia, terra di missione, in «Evangelizzare», 10/2005, pp. 601-603.

[5] Cfr. Cristina Simonelli, Nel cuore della città, in «Evangelizzare», 10/2005, pp. 614-617

[6] Madeleine Delbrêl, Veillée d’armes “aux travailleuses sociales”, Bloud et Gaym Parigi 1942, p. 18. La citazione si trova in Charles F. Mann, Madeleine Delbrêl. Una vita senza frontiere, Gribaudi, Milano 2004, p. 94.

[7] Madeleine Delbrêl, Noi delle strade, Gribaudi, Milano 2016, p. 65.

[8] Termini neutri, ma è il linguaggio ecclesiale.

[9] Lettera scritta a Padre Lorenzo il 20 giugno 1930, riportata in Gilles François – Bernard Pitaud, Madeleine Delbrêl. Genèse d’une spiritualité, Nouvelle Cité, Domaine d’Arny 2008, p. 149.

[10] Opales, poesia riportata in Gilles François – Bernard Pitaud, Madeleine Delbrêl. Biografia di una mistica tra poesia e impegno sociale, p. 59, in nota.

[11] Madeleine Delbrêl, La gioia di credere, Gribaudi, Milano 2012, p. 38.

[12] Madeleine Delbrêl, Noi delle strade, Gribaudi, Milano 20162, pp. 19-20.

[13] Jacques Loew, Madeleine Delbrêl. Dall’ateismo alla mistica, EDB, Bologna 1998.

[14] Francesco Strazzari, Madeleine mi ha condotto allora, mi conduce oggi, in Loew, Madeleine Delbrêl, p. 13.

[15] Dalla metà degli anni ’40 la Curia Romana aveva espresso molte critiche su queste esperienze: temeva sia la contaminazione con il comunismo – considerato incompatibile con il cristianesimo (Qudragesimo anno di Pio XI del 1939), sia la dissoluzione dell’immagine e della pratica di vita sacerdotale (18). Il Sant’Uffizio e il Papa pubblicarono nel 1953 una nota in cui si dichiarava che l’esperimento dei preti-operai non poteva più essere perseguito. L’anno seguente i vescovi francesi rimarcavano l’incompatibilità tra la vita operaia e la vita clericale. Le tensioni furono inevitabili. Una speranza di riaprire la questione fu l’aprirsi del concilio Vaticano II. Nel decreto sulla vita consacrata Presbyterorum Ordinis fu inserito un passaggio in cui praticamente si ammetteva la possibilità di un ministero ordinato vissuto in fabbrica.

[16] Delbrêl, Noi delle strade, p. 57.

[17] Ivi, p. 59.

[18] Madeleine Delbrêl, Ville marxiste terre de mission, Nouvelle Cité, Bruyères-le-Châtel 2014, p. 213.

[19] Ivi, p. 212.

[20] Ivi, p. 213.

[21] Delbrêl, Noi delle strade, 312

[22] Delbrêl, Ville marxiste 214.

[23] Madeleine Delbrêl, La question des prêtres ouvriers, la leçon d’Ivry, OC X, Nouvelle Cité, Bruyères-le-Châtel 2012, p. 229.

[24] «Voglio quello che vuoi Tu, senza chiedermi se posso senza chiedermi se mi piace senza chiedermi se lo voglio».

La poesia si trova in Loew, Madeleine Delbrêl, p. 32.

[25] Madeleine Delbrêl, Abbagliata da Dio, Gribaudi, Milano 2007, p. 67.

[26] Lettera a Paulette Maydieu del 5 maggio 1955, riportata in François – Pitaud, Madeleine Delbrêl. Biografia di una mistica tra poesia e impegno sociale, p. 67.

[27] «Comunque sia, è falso dire, poiché non si è mancato talvolta di suggerirlo, che la conversione di Madeleine era legata al suo dispiacere d’amore, non era donna da trovare sentimentalmente rifugio nella religione. Il suo itinerario verso la fede era largamente cominciato quando Jean Maydieu l’ha lasciata. […] Sapeva separare le cose che non erano del medesimo ordine», Gilles François – Bernard Pitaud, Madeleine Delbrêl. Poète, assistante sociale et mystique, Nouvelle Cité, Domaine d’Army 2014, p. 50.

[28] Nota personale del 1956: «Una vocazione per Dio tra gli uomini», in Delbrêl, La gioia di credere, p. 177.

[29] Delbrêl, La femme, le prêtre et Dieu, p. 204.

[30] Delbrêl, Ville marxiste, p.

[31] Delbrêl, Noi delle strade, pp. 69-70.

[32] Delbrêl, Ville marxiste, p. 214.

[33] Lettera del 1934 o 1935, in François – Pitaud, Madeleine Delbrêl. Genèse d’une spiritualité, p. 183.

[34] Ivi, p. 183.

[35] François Gilles – Bernard Pitaud, Madeleine Delbrêl. La misericordia. Il grande scandalo della carità, Gribaudi, Milano 2016, p. 30.

[36] In una lettera del 20 giugno 1930 si legge che Dio le ha comunicato qualcosa da dire a lui: «è in quel momento che Egli mi ha parlato di lei. Padre mio, darei tutto ciò che ho – se avessi qualcosa – perché lei avesse visto ciò che io ho visto del peccato: mi sembra che lei non potrebbe commetterne più. Vorrei implorarla di essere molto santo per amore del nostro Gesù ritengo che non valga la pena quando è il nostro Gesù a gridarcelo così forte», in Madeleine Delbrêl, La femme, le prêtre et Dieu. Au coeur du mystère intime de l’Eglise, Nouvelle Cité, Bruyères-le-Châtel 2011, p. 108.

[37] Con lui, l’équipe leggerà per due anni consecutivi il libro degli Atti degli Apostoli, dove una chiesa in divenire cerca se stessa radicandosi nella realtà di quel tempo e cerca ispirazione per il lavoro inedito da fare nella contingenza della loro esperienza.

[38] Delbrêl, Noi delle strade, pp. 77-78.

[39] Delbrêl, La gioia di credere, p. 156.

[40] Ivi, p. 157.

[41] Ivi, p. 29.

[42] Ivi, p. 40.

[43] Delbrêl, La femme, le prêtre et Dieu, p. 111.

[44] Ivi, p. 111.

[45] Delbrêl, Ville marxiste, p. 43.

[46] Delbrêl, Noi delle strade,74.

[47] «Se l’uomo per cui Dio è morto, se il marxista è realista, Dio è incomparabilmente più realista», Delbrêl, Ville marxiste, p. 197.

[48] Delbrêl, La gioia di credere, p. 199.

[49] Delbrêl, Abbagliata da Dio, p. 133.

[50] Delbrêl, Ville marxiste, p. 44.

[51] Ivi, p.163.

[52] Delbrêl, Noi delle strade, p. 310.

[53] Delbrêl, Abbagliata da Dio, p. 8.

[54] Durante l’occupazione nazista della Francia ebbe un incarico ufficiale di assistenza verso il gran numero di rifugiati, che dal nord del Paese si erano riversati nella capitale. Madeleine fece creare milleduecento nuovi orti operai, per far fronte alla carenza di cibo, dovuta anche alle razzie.

[55] Delbrêl, Professione assistente sociale, p. 261.

[56] Delbrêl, La femme, le prêtre, et Dieu, p. 259.

[57] Delbrêl, Misericordia, p. 34

[58] Delbrêl, La gioia di credere, p. 101.

[59] Delbrêl, Atheisme et evangelisation, p. 120.

[60] Testamento scritto il 7 gennaio 1958. La frase è riportata da Mann, Madeleine Delbrêl. Una vita senza frontiere, p. 247.

[61] Roberta De Monticelli, La novità di ognuno. Persona e libertà, Garzanti, Milano 2009, pp. 36-39.

[62] Il ballo dell’obbedienza, in Delbrêl, Noi delle strade, p. 81.

[63] Delbrêl, La gioia di credere, p. 142.