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per amore del mondo Numero 7 - 2008

Ho Letto

Malwida von Meysenburg, una idealista nel suo tempo. Goethe, Hegel, Schopenhauer, Nietzsche, di Maria Cecilia Barbetta

Il libro di Maria Cecilia Barbetta su Malwida von Meysenburg (Qui Edit, Verona 2006. pp.254) è una ricostruzione attenta e appassionata della vita dell’autrice tedesca, delle sue letture filosofiche e del contesto storico in cui Malwida si collocò e a cui partecipò attivamente, in particolare agli entusiasmi che accompagnarono i moti del 1848. Il volume ne ripercorre gli anni di formazione, fino all’esilio in Inghilterra, dovuto alla compromissione di Malwida con il movimento rivoluzionario del ’48. Un secondo volume, in preparazione, dovrebbe completare il quadro della vita e delle convinzioni filosofiche dell’autrice tedesca. Già da questo primo volume, tuttavia, emerge a tutto tondo la figura di Malwida, giovane aristocratica che coltivò, autonomamente e spesso in conflitto con la propria classe di appartenenza, le proprie convinzioni umanitarie e sociali a favore della liberazione, attraverso la cultura, degli oppressi e delle donne.

Nei propri scritti autobiografici, Malwida si definì un’idealista: lo fu in effetti, ma non tanto perché appartenesse effettivamente alla corrente filosofica dell’idealismo, quanto piuttosto perché per tutta la vita si mise al servizio di un ideale umanitario, lottò contro l’oppressione sociale delle classi subalterne e si batté contro la discriminazione delle donne, impegnandosi soprattutto per l’educazione e per la promozione culturale degli uni come delle altre.

“La sofferenza più grande è l’assenza dell’ideale” (p. 232), scrive l’autrice in uno degli aforismi, opportunamente tradotti da Barbetta in appendice al testo, e, più avanti, interrogandosi su che cosa significhi “idealista”, precisa che vuole dire “non lasciare, semplicemente, le idee in modo astratto, ma realizzarle, dunque anche essere pratici nel senso più nobile” (p. 236): tensione all’ideale e impegno etico, pratico e politico per realizzarlo sono presenti entrambi, infatti, nella biografia di Malwida.

Certo, al tono idealizzante di molte affermazioni e scelte esistenziali dell’autrice tedesca contribuirono anche il clima e il linguaggio dell’epoca, quella degli ideali risorgimentali. Sono da sottolineare a questo proposito alcune amicizie particolarmente significative, quella con Theodor Althaus, teologo votato al libero pensiero e nutrito di ideali rivoluzionari, con cui la giovane Malwida ebbe un’importante quanto sfortunata relazione sentimentale, e, più tardi, quella con Giuseppe Mazzini. Dalla fine dell’amore per Theodor Althaus, un amore troncato dolorosamente quando Malwida seppe che lui aveva un legame affettivo con un’altra donna, la giovane si risollevò trasferendo sull’ideale, che entrambi condividevano, tutto l’amore che aveva provato per lui.

Pongo l’accento su questa tendenza all’idealizzazione, perché riconosco in essa un tratto che spesso accompagna la differenza femminile, un suo modo di essere: anche oggi, in un periodo così lontano dal linguaggio e dagli slanci ideali della stagione risorgimentale, c’è in molte donne una tendenza all’idealizzazione, a inseguire un’immagine ideale di sé o un obiettivo idealizzato. Credo che questa tendenza non sia del tutto positiva, perché, alla proiezione di ogni bene sull’ideale, fa spesso da contraltare la proiezione del negativo, nella forma dell’odio, su altri oggetti, ma devo tuttavia riconoscere che in tale tendenza femminile all’idealizzazione c’è una potente molla dell’agire politico, una spinta a realizzare qualcosa dando il meglio di sé.

Il secondo aspetto della biografia intellettuale e umana di Malwida su cui vorrei soffermarmi è quello che chiamerei il suo talento per le relazioni: al di là delle letture che hanno contribuito alla sua formazione – Goethe, Hegel e Schopenhauer, in particolare -, sono stati soprattutto degli incontri importanti, delle relazioni, a segnare la vita dell’autrice e a fare del suo impegno teorico e pratico un centro di irradiazione spirituale. Oltre alla relazione, fondamentale, con Theodor Althaus, già ricordata, e anche con la madre e con la sorella di lui, vi sono l’amicizia con Nietzsche e quella con Mazzini. Nei confronti di Nietzsche, Malwida assunse un atteggiamento materno, di cura amorevole e di attenzione. Si delinea in lei con chiarezza la dimensione di una maternità spirituale, che, dopo la rinuncia alla maternità fisica, la vide impegnata non solo nei confronti di uomini, ma anche nei confronti di donne, come Olga, figlia del rivoluzionario Aleksandr Herzen, che Malwida adottò come figlia, occupandosi di lei e della sua educazione fino al matrimonio di quest’ultima.

La vocazione materna che Malwida seppe sviluppare nella sua cerchia di relazioni ci rimanda a sua volta al rapporto con la sua stessa madre. Quest’ultima aveva avuto un ruolo fondamentale nell’educazione della figlia: spirito anticonvenzionale, la madre invitava a casa sua intellettuali e artisti, senza considerare la loro classe d’origine, ma valutandoli solo in base alle doti “di mente e di cuore” (p. 59). Tuttavia la madre fu in seguito sconcertata dalle scelte radicali della figlia e reagì negativamente ad esse: avversò in particolare il progetto di Malwida di emigrare in America e, più in generale, di andare a vivere per conto proprio, al di fuori del matrimonio o del convento, uniche strade che si aprivano allora a una donna per bene che volesse abbandonare la famiglia. Di fronte all’ostilità materna nei confronti del progetto di emigrare in America, Malwida fece un passo indietro, scelse di “trasformare la sua ribellione in rinuncia” (p. 155), ma non rinunciò comunque ai propri ideali né al progetto di indipendenza personale.

Si dedicò infatti all’insegnamento nella scuola superiore femminile di Amburgo, dove visse per proprio conto, lontana dalla famiglia, dedicandosi a un compito – l’istruzione superiore delle donne -, in cui credeva profondamente: “La migliore educazione delle donne, l’acquisizione di svariate conoscenze per il conseguimento dell’indipendenza economica […] – questo doveva essere il primo compito per rendere le donne più capaci di prendere in mano l’educazione della gioventù […]. Sentivo che la meta della mia vita, d’ora in poi, sarebbe stata aiutare a lavorare all’emancipazione delle donne dagli stretti confini che la società ha posto al loro sviluppo” (p. 146).

Mentre si pensava allora che l’educazione di una fanciulla cessasse con l’uscita dalla scuola, e che poi il suo compito fosse quello di sposarsi e di badare alla famiglia, l’intento della scuola superiore femminile era invece quello di dare alle giovani, che avevano già compiuto il loro corso di studi, o anche a donne più mature, che volessero comunque approfondire la loro istruzione, la possibilità di seguire studi ulteriori, sia specialistici sia di cultura generale. Malwida collaborò attivamente con la scuola, affiancando la direttrice nelle funzioni dirigenti e organizzando le giornate delle studentesse fra lavori manuali e partecipazione a conferenze. Nello stesso periodo, Malwida partecipava anche a una società di mutuo soccorso per i poveri. In tal modo, teneva insieme i due più importanti ideali della sua vita, quello a favore delle donne e quello a favore degli oppressi.

Nel ricordare entrambi questi ideali, mi sia concesso tuttavia di mettere l’accento soprattutto sul suo impegno per l’educazione femminile. Nel suo “idealismo”, Malwida infatti non dimentica mai di essere innanzitutto una donna; non si spende solo a favore di altri oppressi, come capita spesso invece a donne che si infiammano sì per alti ideali, ma per ideali che il più delle volte non le riguardano direttamente. Pur estendendo il proprio impegno a tutti coloro che sono in qualche modo oppressi e discriminati, Malwida spende gran parte delle proprie energie proprio a favore delle donne. Uno dei meriti dell’appassionata biografia di Maria Cecilia Barbetta è anche quello di mettere opportunamente in luce la centralità dell’impegno di Malwida a favore delle proprie simili.