L’esplorazione delle domande filosofiche: l’insegnamento di Françoise Duroux
[Recensione a F. Duroux, Il paradigma perturbante della differenza sessuale, a cura di Stefania Tarantino e Chiara Zamboni, Mimesis, Milano 2021]
Ad un certo punto della lettura, che ho voluto iniziare dai Saggi introduttivi, ho avuto la chiara sensazione che tutto il libro si muovesse nell’esplorazione delle domande filosofiche, rispetto alle quali – come scrive Françoise Duroux – nessuna e nessuno possono tirarsi indietro. Ho avuto l’impressione che la forza della critica, molto accentuata negli scritti della filosofa francese, non fosse l’unica forza ad agire nel suo pensiero e nella sua vita. C’è anche, unitamente, la forza di un’intelligenza femminile che si muove obliquamente, che esplora, che gioca, che si appassiona e che non teme. I quattro testi introduttivi al libro di Françoise Duroux mi hanno messo nelle tracce di tale intelligenza.
Nella lettura dei quattro saggi mi sono fatta guidare da una domanda in particolare, che si è imposta fin dall’inizio: come continua l’insegnamento di una filosofa femminista? che cosa passa con i suoi lavori filosofici?
Non volevo semplicemente approfondire la conoscenza di una filosofa che ho avuto la fortuna di vedere personalmente in un suo breve soggiorno a Verona quanto invece desideravo apprendere il più possibile da quei saggi introduttivi che cosa continua dell’insegnamento di Françoise Duroux.
La domanda è nata quando Mireille Azzoug, nella prima riga del suo contributo Françoise Duroux. Una marginale al centro delle problematiche femministe, ha descritto la filosofa innanzitutto come una docente. Scorrendo il testo la mia attenzione si è fermata lì, all’insegnamento, non quello che si consuma in un’aula universitaria, ma quello che è capace di unire fecondamente sapere e vita.
Quel che continua, ripetendosi e rinnovandosi, è la ricerca di un posizionamento. D’altro canto, in una donna a cui piaceva la danza ciò che persiste è un’ostinata ricerca della posizione da cui pensa e parla.
Françoise ha praticato la danza classica per sessant’anni, rivela Yves Duroux nel suo testo Françoise Duroux. Di passione in passione scritto in onore della moglie. In ogni casa dove Françoise ha abitato c’era una sbarra. Più che un tema per alcuni suoi scritti teorici, la danza era un esercizio. Probabilmente teneva allenato il pensiero della differenza sessuale. Serviva agilità per stare nel difficile intreccio di azione militante, riflessione politica e rigore teorico. Soprattutto servivano destrezza, invenzione e coraggio per comprendere le diverse situazioni in cui si trovava.
Ciò che contava per Duroux e per chi ha letto i suoi testi è la ricerca di un posizionamento che tenesse conto del contesto, del genere sessuale e delle risorse dell’immaginario e dell’inconscio di ciascuna e ciascuno. I quattro testi introduttivi ne parlano spesso. Ne parlano perché qualcosa disturba tale ricerca.
Questa situazione disturbante richiede una precisa analisi. La ricerca del posizionamento non è solo il disturbo vitale che il perturbante può esercitare. Talvolta può generare un’impasse. Si cerca un posizionamento, interrogandolo e mettendolo alla prova, e poi se diventa identitario lo si fugge. È forte il timore dell’identità femminile che inchioda il gioco perturbante della differenza e che attanaglia la libertà delle donne. Creano quindi sospetto termini quali classe, genere, comunità. Quel timore va ascoltato senza alimentare l’atteggiamento difensivo delle donne. Va ascoltato perché porta indubbiamente il loro desiderio. Qualcosa di prezioso, unico, incommensurabile. In esso agisce il perturbante della differenza sessuale. Il perturbante allora non è solo ciò che avvia la ricerca di un posizionamento ma è anche ciò che la disturba e la pone ancora alla ricerca.
Esso spariglia i rapporti umani. Non si allinea ai discorsi dominanti. Siano questi di uomini ma anche di donne. Apprendiamo che la filosofa francese non si sentiva di appartenere né alla cultura maschile né a quella femminista. Si era sempre sentita contemporaneamente interna ed esterna al simbolico dominante. Inclusa ed esclusa al cerchio degli uomini colti e delle teoriche femministe.
Il gioco del perturbante non è facile da reggere. Questo Françoise Duroux lo sapeva molto bene. E lo sanno anche le donne e gli uomini che scrivono su di lei. La ricerca del posizionamento potrebbe risultare estenuante se non è accompagnato dal piacere di costruire qualcosa di nuovo. Altrimenti risulta solo distruttivo. Si è sottolineato lo sforzo che la pensatrice ha dovuto attraversare per essere fedeli al suo desiderio. Ascoltandolo non si ode solo la fatica di una battaglia, di una resistenza, di una militanza. Si avverte anche il piacere di inventare, portando nuove analisi, diverse prospettive e sorprendenti aperture.
In Françoise Duroux. Sentieri interrotti Chiara Zamboni scrive di aver letto l’amica cercando un orientamento. Non è, quest’ultimo, il ritrovamento di un percorso già vissuto, una sorta di solco di una traiettoria già tracciata. È invece l’orientamento di chi si ritrova, nella solitudine del pensiero, a capire i nuovi percorsi e a dire le nuove situazioni che la contemporaneità presenta.
Françoise Duroux lo faceva con Virginia Woolf, Sarah Kofman, Antigone e altre. Tornare alla lettura di donne che per noi sono state importanti significa scoprire che, non solo nelle loro parole ma anche nelle critiche, vi è la libertà del pensiero. Rimangono nelle parole delle amiche la battaglia di una donna e le sue fatiche. Rimangono anche i toni duri, il discorso irrigidito, il ritmo rallentato. Ma quel che porta una donna a leggere un’altra donna, insomma quel che continua di Duroux nei testi su Duroux è la capacità di trasformare la guerra in forza. In danza. In movimenti imprevisti, leggeri, sicuri, creativi.
Cosa funge allora da orientamento nella lettura di testi di una filosofa che ha pensato e agito a partire dalla fine del Novecento? Che cosa fa una donna con un libro pensato da un’altra donna? Che cosa è in fondo questo libro se non un luogo in cui donne e uomini possono interrogarsi sul loro desiderio?
Le parole della pensatrice sono degli appoggi. Lo sottolinea anche Stefania Tarantino in Il pensiero ostinato di Françoise Duroux. Gli appoggi sono fondamentali tanto quanto la sbarra per una danzatrice che si esercita. Danno stabilità a chi, con coraggio e libertà, si avvia in un movimento di danza. Chi pensa, ad un certo punto, nella solitudine del suo esercizio, lascia la sbarra. Si avventura così a comprendere le sfide della contemporaneità. Lasciando la sbarra ritrova quella stabilità nei movimenti che si riproducono nel suo corpo. I suoi movimenti portano il coraggio e la libertà che gli appoggi hanno dato. Emanano l’eccitazione che il perturbante femminile mette in gioco.
L’operazione in atto è il tentativo di creare un intreccio di relazioni fondati sulla differenza dei soggetti desideranti e sulla loro intesa. A operare un tessuto di relazioni è precisamente quel che Duroux aveva chiamato “amicizia”. Quello che continua nelle riflessioni che si sono aperte è l’amicizia intesa come la radice della polis. Come vivere insieme senza che questo “insieme” comprometta il “vivere”? Pulsa intensamente nei testi dedicati a Duroux la parola “amicizia”. Ci credono. L’amicizia crea dei legami portanti senza essere consistenti. È capace di creare uno spazio in cui sia possibile muoversi interrogando il contesto di donne e uomini con cui si è in relazione e interrogando il proprio desiderio incondizionato.
Si insiste molto sul carattere non addomesticato del pensiero femminile. Pensiero spiazzante, irriverente, non sistematico, disubbidiente, disturbante. Accanto ai tanti aggettivi riferiti alla differenza sessuale aggiungerei un altro: esploratore. Nel quadro dell’esplorazione filosofica si capisce la ricerca del posizionamento e la richiesta di un orientamento. Arrivano così, nei quattro testi introduttivi, delle coincidenze che non costituiscono un denominatore unico quanto invece un luogo atopico in cui è possibile l’esercizio di un di più di intelligenza. L’esercizio di una danza.