diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 10 – 2011

Lingua Materna

Le lingue si parlano

(Le lingue si parlano, Bonaccorso editore, 2011)

 

Testi di: Livia Alga, Maria Grazia Chinato, Irmgard Victoria Hartung, Elisabeth Lisa Jankowski, Živoslav Miloradović, Evelina Pershorova, Morena Piccoli, Najat Rezki, Dinha Rodrigues, Mercedes Spada, Donka Voynova . Prefazione di Annarosa Buttarelli

 

Casa di Ramia, centro d’incontro tra donne italiane e migranti del Comune di Verona,  ha dato origine al gruppo “Poesia dal mondo” che incoraggia e stimola le donne straniere a trovare, nella scrittura poetica, una valida via di espressione. Autrici dalla Germania, dal Marocco, dal Brasile, dalla Bulgaria ma anche un poeta dalla Serbia, confluiscono, con le loro specificità stilistiche, assieme ad alcune poete italiane in un laboratorio appassionante.

 

Come nasce questa esperienza?

Dal desiderio di portare nella parola la realtà effettiva, quella che vediamo quando prendiamo un autobus o un treno.La lingua ha la strana tendenza ad occultare ciò che succede, non vuole riconoscere ciò che vede davanti agli occhi e ciò che sente con le proprie orecchie. La lingua tende a conservare le immagini e il sentire che già conosciamo e spesso, contro ogni evidenza, ripete cose smentite mille volte dalla vista, dal sentimento e dalla ragione. Basti pensare alla sua incapacità di nominare la presenza delle donne nel mondo politico, e, aggiungerei, di nominare  la bellezza che l’immigrazione porta con sé. Siamo abituati a leggere sui giornali esclusivamente storie di aggressione, di esclusione, discriminazione, disagio e sopraffazione mentre nella vita quotidiana osservo molto spesso avvicinamento, curiosità, atteggiamento materno e gioia per la bellezza di nuovo stampo.

Il mio desiderio di sentire altre voci del mondo non nasce da un atteggiamento caritatevole di accoglienza ma da una riflessione sulla mancanza delle nostre culture. Ogni lingua e ogni cultura è sempre parziale. Esprime un solo approccio alla vita. Ogni lingua ha determinate immagini cresciute nel grembo della propria esperienza e non sa dire altro. Se la lingua materna guida i nostri occhi solo su una determinata parte della realtà questo vuol dire che la realtà è più ricca della lingua che possediamo per esprimerla.

Quando cominciamo a studiare un’altra lingua ci accorgiamo che la lingua straniera dice diversamente i sentimenti e le relazioni: l’amore, la spiritualità, l’universo, la natura, i conflitti. Si apre un universo sconosciuto finora e ci promette nuova esperienza attraverso la lingua nuova. Chi è curioso può godere in pieno questo allargamento del pensiero. Anche io sono sempre stata spinta dalla curiosità verso altre lingue e culture e non sono stata delusa. Le altre lingue ci mostrano qualcosa di sconosciuto. Le poesie di Najat Rezki, per esempio, mi fanno vedere qualcosa che prima per me non esisteva. Allo stesso modo le poesie dialettali di Grazia Chinato.

Già il suono, come una musica mai sentita, tocca la nostra pelle, talvolta ci sconvolge, talvolta ci ammalia. Così la lettura in lingua originale è diventata un punto fermo negli incontri del gruppo. La voce, già portatrice di senso e di sentimento, crea le premesse per la comprensione che all’inizio non può essere altro che un vago sentire. L’ascolto in lingua originare rallenta i nostri processi di comprensione intellettuale e ci immette in quel flusso della vita che è lento e riflessivo che non corre verso un traguardo programmato e non cerca di scoprire i nessi logici e causali ma ci avvolge, come una musica, con ritmo e suono, spesso inconsueto, per farci sintonizzare su bande nuove. Occorre pazienza, è necessario tornare all’antica pazienza dell’ascoltare in silenzio, in pace.

Se penso a oggi, dove siamo arrivate con il nostro lavoro poetico, mi sembra talvolta impossibile. Esistono molti gruppi che si incontrano per leggere poesia scritta da autori e autrici di paesi africani o asiatici o latinoamericani o di altre regioni della terra, poeti famosi anche se meno letti, ma ho sentito parlare raramente di persone migranti che scrivono loro stesse poesia che possono condividere con altre ed altri. Siamo state fortunate ad incontrarci, tutte e tutti animati dallo stesso desiderio di leggere ad altri quello che nell’intimità della nostra vita, avevamo sentito e portato sul foglio.

Ricordo due momenti in particolare. Livia era entrata nel nostro circolo, più per assistere ai nostri incontri da osservatrice, e, finalmente,  ha avuto il coraggio di leggerci le sue poesie. Non voleva, affermava che erano tutte da rivedere, non erano poesie, scritte così… quando noi le abbiamo fatto coraggio e ci siamo disposte in silenzio, in attesa … per ascoltarla. Quel vento che spirava da sud, dal mare, nelle sue poesie e poi quel enigmatico sentire, denso di promessa di senso e non ancora portato al mercato, la bellezza delle sue immagini e le sue parole mi hanno portato verso quello stupore che è l’energia del mondo che ti fa perdere il senso del tempo e della circostanza, che  mi rende felice. Mentre noi eravamo ammaliate dalla sua lettura lo era anche lei nella stessa misura. Aveva partorito un bambino e ora si stupiva quanto era bello, quanto era reale. Da allora credo non abbia più smesso di scrivere poesia.

Un altro momento ricordo quando tutte e tutti riuniti ci siamo letti, una alla volta, le ultime poesie composte da noi, sia in lingua originale che in traduzione, una traduzione ancora ruvida, vicina alla sua origine. Regnava un perfetto silenzio e l’ascolto era quasi materialmente visibile, l’emozione di coloro che leggevano si toccava come una presenza effettiva nello spazio fra di noi. Mi sembrava che la stanza si allargasse in tutte le direzioni e che il soffitto si levasse per liberare lo sguardo su una realtà più ampia, più ariosa.

Ma non sempre abbiamo vissuto questi momenti di felicità. Talvolta si sono verificate delle incomprensioni, delle avversità. Si può comunque dire che ogni volta che la parola poetica nostra entra nell’incontro le armi tacciono. La parola poetica ha qualcosa di talmente intimo che diventa, per paradosso, universale e fa comunicare tutte noi.

Ma come è possibile incontrarsi a partire da lingue così diverse? E’ una domanda lecita alla quale dobbiamo trovare la nostra risposta. Morena Piccoli e Najat Rezki,e  anche tutte noi potremo parlarne. Per ognuna è avvenuta in modo diverso. La nostra risposta sta nel titolo del nostro libro “Le lingue si parlano”. Certo le nostre traduzioni sono, più precisamente, delle riscritture. Quando sono state fatte da una lingua che l’amica e poeta italiana non conosce si potrebbe dire che la traduzione contiene ciò che la relazione a due ha permesso che venisse trascritto.

Si può incontrarsi scontrandosi per la diversità delle vedute, delle abitudini, dei condizionamenti familiari e culturali ma si può anche evitare questo impatto violento e incontrarsi in un luogo che è un altrove per entrambi. Quel altrove può essere ciò che una persona scrive nella sua intimità. La poesia è sempre scritta sulla pelle – non è retorica né leggera. E’ lo strato più sincero di noi. In poesia  diciamo cose che non avevamo detto neanche a noi stesse e quest’apertura verso se stesse, e contemporaneamente verso gli altri, crea una fiducia che fa accettare visioni anche molto diverse della realtà.

La poesia vissuta con altri e con diverse lingue è sempre anche trasformativa. Ogni volta che passo dalla stessa porta per rientrare in casa i miei occhi portano ricordi diversi.  Possiamo immaginare ciò che i nostri occhi portano a casa, se anche la porta è un’altra, in un altro paese.

Sappiamo quanto la lingua materna ci radica nel mondo,  nella relazione e nella propria cultura e lingua ma certo molte di noi hanno avuto l’occasione di conoscere una lingua, per esempio il francese in gioventù come racconta Najat Rezki, che diventasse un’intima amica per le riflessioni e i desideri finora  ignorati. Solo da adulta Najat ha cominciato a scrivere poesia in lingua arabo, cioè la sua lingua nativa e ha potuto riscoprire la propria lingua attraverso gli occhi del francese prima, e poi, successivamente, dell’italiano. La stessa cosa vale per me  e per molte di noi: dopo il passaggio attraverso l’italiano ricominciamo a scrivere in lingua materna e scopriamo di essere cambiate, di accedere diversamente alla nostra lingua. Anche la gioia di averla ritrovata e saperla strumento del nostro più intimo sentire ma nello stesso momento senza essere più alla mercé di questa nostra lingua necessaria, godendola con un certo qual distacco.  Creta plasmabile nelle nostre mani, ora è libertà nell’appartenenza.

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