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per amore del mondo edizione 18 - 2022

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L’amicizia vera è guardare con amore la stessa cosa. Le “Costellazioni terrestri” di Oriella Savoldi

Stiamo salendo lungo la Via dei castagni, una mulattiera del monte di Gargnano che lascia a tratti intravvedere l’acqua del lago fra un tronco e l’altro di questi alberi secolari, quando in Oriella si risveglia un ricordo d’infanzia che inizia a raccontare. Il ricordo di un pomeriggio di domenica in cui i bambini erano soliti ricevere dai genitori alcuni spiccioli da spendere a loro piacimento, quasi che il giorno di festa dovesse essere celebrato con qualcosa di insolito rispetto ai giorni della settimana, ai quali la scuola dava un ritmo improntato al dovere. Il ricordo di Oriella mi colpisce particolarmente perché fa da contrappunto a uno dei ricordi fondamentali della mia vita: quello del momento in cui un soldo  passa dalla mano di mia madre alla mia per acquistare due coni di gelato, uno per me e uno per lei, nell’ora mediana del giorno in cui gli uomini si riposavano e le donne regnavano sovrane, iniziandomi così, senza volerlo, al piacere che non ha bisogno di giustificazioni per venire soddisfatto, e trasformando un giorno qualsiasi in un giorno di festa.[1]

Passano degli anni prima che Oriella Savoldi trovi il momento opportuno per dare al suo ricordo una forma compiuta, in quegli esercizi di memoria che costituiscono la materia della sua biografia. Nel libro che compone i suoi “frammenti di vita”, quel ricordo comparirà per primo. Il ricordo del «soldo di cinquanta lire» ricevuto dal padre, così prezioso che la bambina deciderà di non spenderlo dal tabacchino del paese, nonostante il desiderio si faccia sentire. «Una cifra importante per quei tempi e per la bambina che ero. Mi aveva fatto sentire grande, degna di fiducia. Nulla dopo quel gesto mi avrebbe fatto paura. […] Nulla mi era parso tanto prezioso da indurmi a separarmene», scrive Oriella nelle prime pagine di Costellazioni terrestri.[2]

Quando il desiderio autobiografico si affaccia, c’è sempre un ricordo che lo incoraggia e sostiene, un “ricordo iniziatico” possiamo chiamarlo. Il ricordo di un’esperienza che ci apre al mistero del nostro destino dove, seppure incerte, si possono riconoscere le tracce del nostro cammino di vita.  «Di lui», del padre, primo amore grande, senza ombre, senza impuntature, senza risentimento si può finalmente raccontare. Quando questo succede, non c’è il rischio di perdersi nei labirinti della memoria, di cadere in trappole confusive, di infilarsi in vicoli ciechi che impedirebbero alla scrittura di trovare quella verità che dà senso al bisogno di riguardare la propria esistenza.

 In questo ricordo di Oriella, in cui si condensa la forza del legame con il padre che avvia la bambina a sentirsi grande, degna di fiducia, ma soprattutto fiduciosa nella vita, c’è il richiamo ad un modo di essere che costituirà l’orientamento essenziale della sua esistenza, la traccia più evidente del suo stare al mondo. Quel soldo non speso mi appare allora come l’amuleto che può dare la forza di affrontare senza paura le prove che la vita ci chiede di sostenere. E quella che chiederà ad Oriella Savoldi sarà di abitare con signoria uno dei luoghi del mondo, il sindacato, creato dagli uomini a loro misura. Una misura che alcune donne, come lei, cercheranno di cambiare attingendo forza l’una dall’altra, inventando spazi di libertà femminile dentro e fuori le istituzioni politiche.

Il femminismo ci fa incontrare negli anni Ottanta del secolo scorso: Oriella ed io, e le molte donne che si lasciano trasportare da questa “onda felice”, trovano nel movimento generato dal desiderio femminile la radice profonda di un’amicizia che si traduce in azioni creative, invenzioni politiche necessarie per la città, la nostra. Brescia sta cambiando volto e ci invita ad esserci affinando il sentire, imparando a riconoscere le energie vive e feconde insieme alle paure sotterranee che le trasformazioni in atto suscitano nel tessuto sociale: la paura dell’altro, lo straniero, e la paura degli uomini di fronte alla fine del patriarcato e alla libertà femminile, che si risveglia in ogni angolo del mondo.

Oriella è sempre pronta a giocarsi nello spazio pubblico: il desiderio dell’una sostiene il desiderio dell’altra, di altre. Affidabile e lucida, resta per me l’amica sempre disponibile a riprendere l’azione, a inventare nuovi modi di mantener viva la passione politica: il suo slancio sostiene il venir meno del mio, quando la vita mi chiede un tempo di diserzione per quelle prove esistenziali che costringono una donna a trovare sentieri più appartati per uscirne intera.

Non desiderare e non rifiutare, accogliere e riconoscere: l’insegnamento dei maestri e delle maestre di saggezza si riassume essenzialmente in questo invito. Una sterzata radicale, che mi fa ritrovare su un sentiero lungo il quale potrò sperimentare l’efficacia di un insegnamento che aiuta ad accogliere con serenità e coraggio la vita, l’inatteso, gli inciampi e le metamorfosi che non dipendono dalla nostra volontà, né dal nostro desiderio. Tra gli esercizi che mi aiutano a procedere su questa via della saggezza, la scrittura autobiografica giunge necessaria dopo sette anni di analisi. Guidata dalla mia analista, Adriana Mazzarella[3], imparo una pratica di lavoro con la memoria che intreccia sogno e ricordo, in modo così naturale e profondo che l’analisi terapeutica giungerà ad una risoluzione. E io potrò riprendere il mio cammino con il cuore leggero. Aperto alla vita, al suo divenire.

Così, quando il bisogno di lavoro autobiografico si farà sentire urgente in Oriella, con la fine del lavoro sindacale, mi sembrerà naturale offrire la mia disponibilità ad accompagnarla, senza alcuna esitazione. Si può accompagnare qualcuno, qualcuna che accetta con fiducia la nostra offerta, solo lungo i sentieri che si conoscono, per averli percorsi con un maestro, una maestra. Per averli percorsi con lo spirito del/della discepola, con la disciplina necessaria e l’energia indispensabile ad affrontare gli ostacoli che possono bloccare il processo iniziato.

L’uscita dalla vita attiva, quale l’abbiamo sperimentata, ci mette di fronte alla necessità di una trasformazione interiore che richiede saggezza, un genere di pazienza e di coraggio altro rispetto al coraggio e alla pazienza che il lavoro, nel sindacato o altrove, richiedono. Oriella sa che, nel disporsi a ricevere il mio accompagnamento, il lavoro con la memoria non sarà indirizzato a ricostruire la sua storia sindacale, ma ad andare oltre quei confini spazio-temporali, per ritrovare le tracce di quella bambina che si è tenuta in tasca il soldo prezioso ricevuto dal padre. C’è da ripercorrere il suo diventare grande, riconoscere quell’essere sé stessa, al quale ha cercato di mantenersi fedele nel divenire la donna che lei è e continuerà ad essere, nelle diverse stagioni della vita…  Lo sa a tal punto che non avremo bisogno di regole dichiarate per questo lavoro con la memoria che consiste nel guardare con amore la propria esistenza. Si tratta di accogliere il ricordo senza forzare, senza accanirsi con interpretazioni che lo snaturano, che consumano lo slancio scaturito dal suo apparire. Queste regole non dette si renderanno evidenti in corso d’opera, in una pratica così interiormente chiara ad entrambe da non richiedere alcuna premessa, alcuna avvertenza riguardo al modo di trattare il passato che sentiamo ancora gravare sulle spalle, rendendo faticoso l’incedere. I Frammenti di vita, che Oriella Savoldi raccoglie fra la primavera 2018 e l’estate 2019, nascono da questo lavoro che trova la sua chiarezza intrecciando narrazione, poesia e rappresentazione artistica. Il mio compito sarà quello di sostenere l’amica in questo processo di gestazione della memoria e dell’immaginazione, che richiede continuità di impegno, silenzio, solitudine e raccoglimento, di incoraggiarla a lasciare che nasca ciò che deve nascere.

«Noi non siamo altro che la stalla dove può nascere il bambino»: le parole di Adriana Mazzarella mi orientano, sono l’invito a non condizionare, a non imbrigliare la propria esistenza negli schemi consolidati dalla scrittura autobiografica, lasciando invece che sia la scrittura stessa a trovare la forma più adatta per rintracciare un ordine nella propria vita. Che sia chi scrive a riconoscere e assecondare il farsi di una lingua del sentire, parole e immagini che nella scrittura si risvegliano, esercitando l’orecchio interiore che può permettere di riconoscere la propria voce. Un esercizio che richiede la stessa attenzione che dedichiamo ai sogni venuti nella notte.

«Alla scrittura lasciare di trovare il filo della mia storia come si fa con il sogno, prendendolo per la coda, prima di perderne le tracce al risveglio. Perché potesse parlare. A me stessa prima che agli altri, alle altre».  Così leggiamo nella presentazione, dove Oriella parla della sua «urgenza di scrivere» facendo un bilancio della sua esperienza di scrittura, grazie alla quale impara a guardare con la “giusta distanza” la sua storia. È la scrittura che può aiutarci ad affrontare con delicatezza e amore sia i conflitti irrisolti, sia quelli che si stanno risolvendo, a partire da quel conflitto interiore tra l’essere donna e l’essere madre, che si ripresenta in lei figlia e nella figlia che lei stessa ha voluto senza alcuna incertezza. La scrittura accompagna il processo in cui i nodi, annidati nei legami d’amore femminili, si stanno allentando fino a sciogliersi nel momento in cui una nuova promessa di vita si realizza con la nascita del piccolo Rami, al quale il libro è dedicato.

 In questo travaglio inedito, madre, ti ho capito. Avevo passato un confine che mi aveva portato dalla tua parte; in un mondo che le donne stavano rendendo possibile, dove i legami tra donne si riprendevano il loro posto da protagonisti sulla scena e i rapporti con gli uomini, fra conflitti e balzi in avanti, si facevano più liberi. E ora guardavo felice questa figlia crescere, proiettarsi verso il suo orizzonte, senza il timore di risultare ai suoi occhi quella che tu eri apparsa a me nella tua sola veste di madre. Una insufficienza che in realtà avevo scoperto essere la mia incapacità di vederti per la donna che eri in un’epoca infelice per i destini femminili. Mi ripromettevo con te, figlia, un rapporto diverso. Il femminismo era un’onda felice. Per una donna nulla sarebbe stato come prima. La madre nel suo divenire non avrebbe negato l’essere donna.

Ma, nel mettere a fuoco lo sguardo sulla propria esistenza, Oriella si accorge che il suo paesaggio interiore non è costellato solo dai legami familiari, le relazioni che costituiscono il suo mondo creano uno spazio più vasto, formano costellazioni che riconoscono la Terra come loro dimora. La Terra-madre generatrice di legami che scaturiscono dall’opera feconda dei suoi figli e figlie. Un’opera vivente che trova fedele rappresentazione in quella sorta di cosmogonia che Oriella crea con una immagine suggestiva, dove trovano un posto preciso le persone che compongono il suo cielo stellato, realmente esistente dentro e fuori di lei.


[1] Vedi: Delfina Lusiardi, Tra una partenza e l’altra, 2007, tiratura limitata fuori mercato, ora disponibile in: www.secondorizzonte.it , in: La stanza degli ospiti.

[2]  Oriella Savoldi, Costellazioni terrestri, Gam editrice, 2020, pp.13-15.

[3] Adriana Mazzarella, analista junghiana, autrice di Alla ricerca di Beatrice, La biblioteca di Vivarium, Milano, 1999.