La vita psichica del potere
Un libro di Judith Butler, sfortunatamente non ancora tradotto in italiano, The Psychic Life of Power. Theories in Subjection (Stanford University Press, Stanford, California 1997), presenta tre spunti di notevole interesse, che consentono di incrociare, almeno in parte, la ricerca femminista statunitense, attestata, com’è noto, sulle posizioni egualitarie del gender, con quella europea, più vicina al pensiero della differenza sessuale.
Il primo motivo d’interesse è la riflessione critica sulla nozione di soggettività, che porta l’autrice a intrecciare, su questo tema, la dimensione sociale e quella intrapsichica, mostrando sostanzialmente che il soggetto è, al tempo stesso, un effetto di assoggettamento – della soggezione subita ad opera del potere (in primo luogo quello genitoriale) – e la condizione della sua capacità di agire: il soggetto emerge come un’eccedenza rispetto all’assoggettamento, ma è un’eccedenza condizionata alla radice.
Ogni soggetto si forma nella dipendenza – dai genitori, in primo luogo dalla madre -, una dipendenza caratterizzata da un attaccamento passionale, si forma in un assoggettamento che è condizione della sua stessa nascita come soggetto: questa dipendenza deve essere tuttavia negata, nascosta alla coscienza, affinché il soggetto possa porre in atto la sua capacità di agire e di eccedere le condizioni date. Il percorso delineato da Butler è simile a quello tracciato da Hegel nella Fenomenologia, nel passaggio dalla dialettica servo-padrone alla coscienza infelice: è un percorso che va dall’esistenza del padrone esterno alla sua interiorizzazione, che ne fa un’autorità interiore; non a caso, Butler dedica una parte consistente del suo libro alla rilettura di queste celebri pagine hegeliane.
Qui troviamo un primo motivo di convergenza con il pensiero della differenza sessuale, in particolare con la riflessione che Diotima ha portato avanti, alcuni anni fa, sul tema dell’autorità: criticando l’illusione maschile dell’autonomia, io stessa avevo rilanciato il senso della dipendenza come condizione della nascita della soggettività femminile. (Il lavoro del servo, In Diotima, Oltre l’uguaglianza, Liguori, Napoli 1995)
Il secondo motivo d’interesse del libro di Butler sta nel riconoscimento dell’attaccamento passionale alla madre come condizione del divenire soggetto: tuttavia, a causa della proibizione a prendere la madre come oggetto di desiderio sessuale, il divenire soggetto è accompagnato dalla necessità di fare il lutto per questo interdetto e, spesso, dall’incorporazione malinconica della figura della madre, che è particolarmente sofferta nel caso di una donna, su cui pesa un doppio interdetto rispetto alla madre, uno legato al divieto dell’incesto e un altro al divieto dell’omosessualità.
Ora, trattando della malinconia connessa al divenire soggetto, Butler insiste molto sull’eterosessualità obbligatoria come fonte pressoché esclusiva di una socialità largamente affetta da malinconia, con accenti che, personalmente, non mi convincono del tutto. L’autrice tuttavia lascia aperto anche un piccolo varco per interpretare, in modo a mio avviso più convincente, la malinconia come legata alla propria identificazione sessuale, alla propria identità di genere. In altri termini, per ogni soggetto, non solo per quello eterosessuale, ci sarebbe da fare il lutto per il fatto di dover diventare donna/uomo e di non poter essere tutto: al posto del lutto, spesso subentra l’incorporazione malinconica del primo oggetto d’amore, la madre. La malinconia risulta così contrapposta al narcisismo: mentre, nell’amore narcisistico, l’altro contrae la mia abbondanza, nella malinconia io contraggo l’assenza dell’altro, lo incorporo e, al tempo stesso, lo preservo dalla mia aggressività, dissimulandola.
Un terzo motivo d’interesse del testo nasce, a mio avviso, proprio dal riconoscimento implicito in queste ultime considerazioni, che spostano impercettibilmente l’autrice dalla prospettiva del gender per avvicinarla a quella della differenza sessuale: oltre che dalla richiesta di adesione a ruoli sessuali socialmente codificati – il gender -, la malinconia può nascere anche dalla necessità di essere donne/uomini, cioè, più radicalmente, a partire dal fatto della differenza sessuale.
La malinconia stabilisce in questo modo le basi dell’ego e, al tempo stesso, indica qualcosa del suo statuto, qualificandolo come strumento di contenimento: contenimento della propria aggressività verso il primo oggetto d’amore, la madre, incorporata malinconicamente, per non esternare l’aggressività e la rabbia provate verso di lei, verso il primo oggetto d’amore perduto.