diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo edizione 18 - 2022

Oltremondo

La Guretta

Per rispondere all’invito di Chiara Zamboni, ho pensato di ricordare Laura Lepetit (Roma, 3 agosto 1932 – Poggio Murella 6 agosto 2021) con due testi, uno firmato da me e uno firmato da Silvana La Spina, una splendida scrittrice molto legata a Laura. Il suo è un testo scritto su mia richiesta, appena saputo della scomparsa della nostra amica.

Per oltre vent’anni sono stata accanto in diversi modi, si può dire ogni giorno, a una donna di genio che è stata una delle protagoniste più rilevanti della cultura letteraria e femminista italiana. Ha potuto cercare e trovare le migliori autrici essendo autrice lei stessa. Non so definire, per mia fortuna, il tipo di relazione che si era consolidato tra me e Laura, ma so che era entrato nell’intimità e nella confidenza che riguardava anche le nostre vite. Ad esempio, era estremamente preziosa per me la pratica di ascolto dei suoi consigli esistenziali, così precisi, privi di sentimentalismi e di sensi di colpa. Asciutti, realistici ed efficaci. Nutriti da una specie di saggezza maturata nella sua vita e sui testi delle amate autrici inglesi. Sapeva alleggerire ogni vicenda che appariva insuperabile o tragica; sapeva individuare l’atteggiamento sovrano che avrebbe rovesciato le priorità, e avrebbe rimesso in ordine le forze in campo. Infatti, a un certo punto, ho dovuto decidermi a nominarla “guru”, anzi “guretta”, un nome più vicino alla sua figura che diveniva più esile di anno in anno. Questo nome era anche più vicino ad essere uno stendardo, oppure il nome di un animale saggio e misterioso. Ci univa senz’altro l’amore e l’ammirazione per la saggezza e l’intelligenza degli animali non umani; senz’altro ci univa la determinazione nel riconoscere loro di avere un’anima, per così dire. Laura era convinta che la sua amata cavalla e le sue gatte, Nina tra tutte, la seguivano da lassù e lassù l’avrebbero attesa.

    Per questo amore condiviso, ben presto ho avuto l’onore di essere nominata ereditiera della sua gatta, Trilli l’inquieta, ultima in ordine di tempo, ancora vivente. Ereditare, anche simbolicamente, la gatta-compagna di Laura, ha voluto dire, per me, ereditare il suo bene più prezioso, ancora più prezioso del suo scarno archivio, che avremmo destinato a far compagnia al Fondo Carla Lonzi, presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Laura mi aveva già passato una lettera struggente che Carla Lonzi le aveva scritto nelle circostanze della loro separazione politica. L’ho da tempo donata al Fondo Lonzi, è già da tempo catalogata, in modo che resti a presente e futura memoria la stima e l’affetto che Carla Lonzi ha destinato a Laura Lepetit, a smentita che la separazione politica tra loro sia coincisa con una sopravvenuta disistima della filosofa del femminismo radicale.

Insomma, in qualche modo anche misterioso, Laura è diventata parte della mia famiglia allargata alle amiche e agli amici che mi vogliono bene. E spero di essere stata considerata da lei parte della sua famiglia allargata, dato che eravamo d’accordo nel considerare “famiglia” la comunità di affetti che stanno accanto concretamente nella necessità di molti momenti della vita.

Ho dichiarato, presentando insieme a Ginevra Bompiani a Festivaletteratura il suo primo libro, che la sua è una scrittura notevole orientata dal criterio del togliere, del cesellare con precisione, dell’argomentare ironico e lieve anche momenti tragici come quello che può essere l’accostarsi al mistero costituito dall’ultima parte della vita. La sua è un’opera che si può scrivere quando la vita è stata vissuta come un’opera, per la ricerca radicale dell’autenticità (verità soggettiva profonda e riflettuta), un’autenticità trovata pienamente ascoltando l’ispirazione data dalla sua “distrazione”, una qualità coltivata con l’aria snob ma con una vis molto polemica.

Sono convinta che la distrazione di Laura sia stata necessaria per salvarla dai numerosi dolori che ha dovuto sopportare, senza battere ciglio e senza lamentarsi mai; le è stata utile per sfuggire al sentimentalismo femminile, alla malevolenza tra donne, all’isteria, al vittimismo, alla pensosità un po’ presuntuosa, al politicamente corretto femminile, ecc. Certo l’esercizio della distrazione l’ha resa anche presuntuosa o anche ego-riferita, due “difetti” imperdonabili secondo il parere di alcune e alcuni, pronti a perdonare gli stessi atteggiamenti a chi ha molto meno understatement di Laura. A proposito: perché Laura ha voluto mantenere pubblicamente il cognome Lepetit, mentre il suo è Maltini? Non solo giustamente per essere subito riconoscibile come l’editrice che è stata, con questo cognome. Ma forse la ragione più profonda è che Lepetit è il cognome dei suoi due figli e dei suoi nipoti. Nonostante la sua nonchalance, era molto legata a figli e nipoti, verso i quali manifestava tra amiche dolcezza, affetto e apprensione. Certo, non era tipo da manifestare questi sentimenti direttamente alle persone care, amiche comprese, e ha pagato duramente il prezzo di questa sua severa riservatezza.

Ora accogliamo l’uscita del suo secondo libriccino, gustosissimo, allettante, creato insieme a un’amica che sa cucinare e a un’amica che sa illustrare. Una specie di celebrazione tragicomica del savoir-vivre. Ma ricorderemo per sempre la scrittura della “femminista distratta”, la sua ironia, la sua svagatezza, il motto di spirito, la capacità di sentire le sottili e anche dolorose correnti della vita. Ricorderemo con nostalgia la salvezza trovata in una forma di sovranità sul mondo affannato e faticoso, sulla rendita di posizione data dal vittimismo femminile, sulla supponenza ineffettuale degli intellettuali; una sovranità guadagnata attraverso la ricerca di connessione e osservazione innamorata della natura, del cosmo, degli animali, cavalli, gatti, uccelli della Maremma. Tutto questo per non gravare sugli altri; per sposare una forma di solitudine quasi inevitabile, ma non aliena dal sostenere sue spregiudicate unioni, relazioni, perfino disposta a innocui compromessi.

Carla Lonzi ha scritto di lei: “morbida, dolce, svagata, sensuale, un po’ discinta, ricettiva, presuntuosa, chimerica, in attesa degli altri, dispersiva, discreta, con la voce educata…”. “Tu hai risolto i tuoi drammi in un modo più femminile: sfuggendo, snobbando la realtà, l’opinione contraria, la verifica con gli altri, e lì ti sentivo altrettanto solida di me.”

So che l’avrebbe fatta contenta che io rendessi note queste parole.

Ha fatto per noi l’essenziale: ha cercato, ha trovato, ha pubblicato ciò che ci ha aiutato a vivere e a pensare. Poi finalmente anche lei, con i suoi due libri, ha preso il suo posto come la scrittrice che è sempre stata.