diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 5 - 2006

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“La diferencia sexual en la historia” di Milagros Rivera Garretas

Milagros Rivera è storica del medioevo e insegna all’università di Barcellona. Quando lei si presenta, aggiunge di sé di avere una figlia e di amare la lingua materna. Queste quattro qualità sono tutte essenziali per entrare nel suo ultimo libro, e cioè La diferencia sexual en la historia (ed. Universitat de València, 2005). Vedremo in che senso.

Il primo passo da storica con una formazione femminista è di fare i conti con un passato recente che l’accomuna ad altre storiche. Si tratta per lei di prendere le distanze da un paradigma scientifico che fa coincidere la storia con la storia sociale. È un paradigma discusso e costruito dagli studiosi che si sono raccolti attorno alla rivista francese «Annales». Ora a partire dagli anni ’70 è avvenuto che questa coincidenza di storia e storia sociale sia stata ampiamente ripresa dalle donne che scrivevano di storia. Permetteva loro infatti, nell’ambito della loro disciplina, di parlare della vita, delle lettere, dei diari, degli scritti di donne, che, pur non avendo partecipato alla storia ufficiale, pure avevano avuto una vita famigliare, una presenza sociale molto ricca. Dava loro la possibilità di renderle visibili.

Il prezzo pagato non è stato da poco. Intrecciando questo paradigma con il pensiero di Foucault, i meccanismi sociali sono stati visti come forme di vita determinate da codici di potere, tecniche di costruzione della soggettività, e il potere sociale come dispositivo di produzione di azioni e di sentimenti. Nessuna libertà di invenzione. Così gli studi femminili di storia hanno prodotto, seguendo tale paradigma, ottimi studi descrittivi della vita e delle pratiche femminili, ma senza poter capire da dove provenisse la loro creatività e senza che la differenza femminile fosse vista come segno a sua volta produttivo di modificazioni.

Milagros Rivera afferma che la storia sociale indubbiamente esiste, ma che più comprensiva della storia sociale e più significativa è la storia che tiene conto del simbolico. Con questo intende «il senso proprio della vita e delle relazioni espresso nella lingua materna, la lingua che parliamo» (p. 22). Imparando a parlare da nostra madre abbiamo imparato la differenza tra essere donne e uomini. Fare storia riparte da qui, dal filo del simbolico che dice e ridice la differenza sessuale, non come un dato ontologico o antropologico, bensì come un significato messo in circolo dalla lingua di ogni giorno, e che, proprio perciò, ha bisogno di interpretazione. Infatti la lingua quotidiana cambia nel tempo e costantemente si trasforma. Fare storia significa allora dare conto e allo stesso tempo interpretare tali modificazioni, che trascinano con sé elementi del passato.

Non si tratta di fare delle metanarrazioni, rendere conto delle narrazioni degli avvenimenti, ma essere dentro il processo stesso di modificazione, che non può essere guardato dall’alto e dall’esterno, perché comunque riguarda la donna che ne sta scrivendo, se pure per mediazioni non proprio immediate.

È nel suo coinvolgimento personale che una storica va a leggere e a capire i rapporti tra i sessi che si mostrano in un certo periodo preso in esame, avendo la consapevolezza del fatto che cambiano nel tempo. E che dunque si modifica anche il senso di tali rapporti. Non si è una bambina o un bambino oggi in modo simile al secolo scorso. Un uomo del XII secolo è ben diverso da quello contemporaneo. Le relazioni tra donne e uomini sono determinanti e determinate dalla loro differenza. E occorre che anche gli uomini incomincino a fare storia tenendo conto della loro implicazione personale e della differenza. Questo è un libro rivolto non solo alle donne, ma anche agli uomini.

Da storica medievale Milagros Rivera ricorda che la cultura medievale ha avuto una particolare attenzione per la differenza sessuale, per il rapporto simbolico tra le donne e gli uomini e le forme di espressione che poteva prendere. Si è andata poi perdendo, in particolare a partire dall’instaurarsi del paradigma scientifico del Rinascimento. Il fatto è che la cultura medievale aveva una grande attenzione per gli aspetti passivi della vita e per le forme di accoglienza dell’altro, diverso da sé.

Il paradigma scientifico rinascimentale legge sì la realtà, ma attraverso l’esperimento, mettendo l’accento sulla costruzione della conoscenza, sul gesto attivo. Ed invece la differenza sessuale ha qualcosa di non scelto, di passivo: capita a caso di essere donna o uomo. Lo si può accettare e significare, piuttosto che prenderlo come qualcosa da costruire. La differenza sessuale è più del piano dell’essere creatura creata che creatore.

Su questa linea l’autrice legge diverse epoche storiche. Ma se si vuole valutare al meglio quel che intende per scrivere di storia essendo dentro i processi di trasformazione dei rapporti tra donne e uomini, penso che l’esempio migliore che lei porta sia quello dell’università dalla seconda metà del ‘900 ad oggi. Questa questione è per lei una passione sofferta, che le fa leggere le modificazioni dei rapporti all’università con partecipazione e lucidità.

Le università furono fondate nell’Europa medievale tagliando via ed escludendo qualsiasi sapere d’esperienza, fedele alla lingua materna. Rappresentarono uno «specchio per fare scienza e produrre conoscere di uomini e tra uomini» (p. 151). Furono soprattutto ecclesiastici a fondarle, e dunque la cultura universitaria nacque celibe. Ne perdettero in ricchezza simbolica le donne, che non vi erano ammesse, ma anche gli uomini, che, escludendo le donne, tagliavano via dalla conoscenza universitaria il sapere materno e femminile, costruendo con le proprie scelte qualcosa di monco, di mancante. Impoverendo se stessi.

Si noti da questo esempio come Milagros Rivera sia attenta agli effetti storici che le scelte compiute dalle donne e dagli uomini riguardano entrambi contemporaneamente e in modo diverso. Ciò che avviene all’altro sesso ha effetti sul proprio e viceversa.

Ora è con il XX secolo che le donne entrano all’università. La loro semplice presenza tuttavia non cambia l’università maschile e celibe. Soltanto se le donne portano all’università la loro fedeltà all’ordine materno, allora questa può cambiare, perché gli uomini stessi allora possono interagire con donne che non imitano il loro paradigma e stile, ma ne mostrano un altro.

Cosa significa poi la fedeltà a tale ordine? Per Milagros Rivera è parlare e scrivere in lingua materna. Questo non è solo la leva per trasformare l’università, ma anche per aprire nuovi giochi nella disciplina storica, cosa che le sta particolarmente a cuore. È molto interessante il ragionamento, per passaggi, seguito per mostrare come si modifichi il paradigma storico. Parte dall’idea che la madre, quando insegna a parlare, insegna implicitamente il sentimento della realtà del mondo e il senso della sua verità. La fiducia implicita che il mondo sia e il sentimento semplice della verità dipende dal legame indiscusso tra le parole e le cose, di cui è garante la madre. I bambini vivono l’esperienza che le cose possano essere nominate da quelle parole e solo da quelle. Ora, chi scrive di storia desidera a sua volta dire la verità, così come chi legge vuole ascoltarla. In questo senso scrivere e leggere di storia si riallaccia a quella esperienza dell’infanzia. (Si veda pag. 57 in particolare).

Eppure rimane aperta una questione che l’autrice non chiude in modo affrettato, e di cui è consapevole. Questa via di modificazione del fare storia si incrocia con il fatto che la lingua materna non è immediatamente a disposizione. È vero, l’abbiamo imparata da piccole e da piccoli, ma poi l’abbiamo in gran parte e a volte del tutto persa, sostituita dalle lingue standard, dalle lingue che la scuola e l’università ci hanno insegnato. Come fare a ritrovarla? Milagros Rivera suggerisce una via pratica: ascoltare quando risuona la verità per un rimando tra le parole e le cose. Si avverte allora un sentimento di felicità. Ed è questo genere di felicità a segnalarci che siamo di fronte ad una epifania del reale. Che il mondo viene donato nuovamente a noi per una evocazione della relazione prima con nostra madre.