diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 10 – 2011

Università e scuola: pratiche di libertà

Kiskanu

Il termine “kiskanu”, deriva dal vocabolo semitico qiyqayown ed indica l’Albero della Vita. Nel Maggio del 2004, mentre si profilava a Verona la fondazione della nuova esperienza educativa libertaria, un gruppo di bambini all’unanimità votò ed elesse questo nome simbolico, come titolo identificatore dell’esperienza scolastica democratica che intendevano perseguire per i successivi anni di studio. kiskanu, vissuto quindi intimamente dai giovani praticanti gli incontri di auto-formazione, come prosa antico sumera, all’interno di racconti svolti comunitariamente, inerenti la Mitologia Antidiluviana, divenne così sinonimo e segno di “Scuola fai da te”, per diciannove ragazzi che non si ritrovavano nel tracciato di apprendimento statale o comunque istituzionale. Nell’agosto del 2004 dunque, per mezzo dell’agire di un’unione di una dozzina di genitori, diciannove bambini e quattro accompagnatori di percorso, nacque l’esperienza educativa libertaria kiskanu. Contatti diretti ed interventi di approfondimento sul campo con Francesco Codello, riconosciuto Maestro di Pensiero per ciò che concerne la ricerca storico-educativa  d’ambito libertario in Italia, rafforzarono presto le premesse intuitive del gruppo di  lavoro kiskanu. La caratteristica dichiarata e quotidianamente realizzata nella pratica, di questa iniziativa sperimentale, fu ed è la coazione di tre zone aperte nella gestione effettuale dell’esperienza comunitaria: il portico dei giovani, formato dai bambini e dai ragazzi,  costruttori primi della loro realtà di conoscenza; l’assemblea generale dei Genitori che sostiene materialmente e idealmente il progetto libertario;  il collettivo di studi kiskanu, formato dagli accompagnatori di percorso, che gestisce direttamente l’area didattica e amministrativa. L’adesione all’avventura educativa è totalmente volontaria e spontanea, per ciò che concerne tutte e tre le componenti della micro-comunità d’intenti; non richiede dunque alcuna professione di fede in ideali, credenze o procedure presenti (o assenti) nel contesto sperimentale e, ancor più, lascia totalmente libero ogni  partecipante  nel praticare la scelta eventuale d’uscire o rientrare nel cammino di crescita comunitario, come e quando vuole, nel corso degli anni, senza restrizioni, risentimenti o assurde penalizzazioni. kiskanu infatti, si rifà alla auto-coniata (in termini di concetti) “filosofia dell’incontro” per ciò che concerne i rapporti con i giovani bambini e ragazzi che lo vengono ad abitare e per gli adulti genitori che lo sostengono. Questo filone di pensiero e pratica, si può sintetizzare nell’espressione: “cercare di accogliersi reciprocamente nelle differenze, in un clima di libertà pazientemente generato e sviluppato assieme”. kiskanu, medesimamente attua una effettiva, riscontrabile azione diretta territoriale che, nel proprio fare quasi paradossale (si radica in un contesto specifico e al contempo si apre ad una migrazione feconda in altri luoghi), nutre e organizza le spore per una replicabilità nomade da diffondere in contesti geografici, politici e storici differenziati. Azione diretta dunque, in quanto si rifà al principio irrinunciabile del fai da te, lontano da aiuti corporativi, istituzionali, caritatevoli, fondiari, confessionali, privati e pubblici di dominio. Per questioni di comprensione si colloca necessariamente in un ambito di autogestione economica pragmatica, ovvero si basa sulla mutua partecipazione alle “finanze associative” da parte delle figure che intervengono nel progetto. A questo scopo, nel tempo, si è pervenuti alla acquisizione della formula di società cooperativa sociale onlus, prevista dalle normative legislative italiane, per rendere evidente l’aspetto di auto-sostentamento dell’iniziativa educativa di supporto allo studio elementare e secondario di primo grado (ex medie inferiori). Per chiarire il concetto espresso dall’aggettivo territoriale, esso si può leggere nell’ambito della comprensione che kiskanu agisce nell’intento d’operare una costruzione partecipata d’una realtà educativa libertaria, non in un terreno, ideale/ideologico e  mentale essenzialmente astratto ma, che sta a tutti gli effetti attuando il progetto in questione, proprio in Italia, nel Veneto, a Verona, in questo particolare momento storico e all’interno delle specificità culturali locali che esso trova e incontra nel ambiente d’innesto. L’azione diretta è dunque radicalmente territoriale e  peculiare al contesto in cui si svolge, perciò fattivamente e non ipoteticamente incisiva.

Questo senso politico di sentire socratico, è costantemente aggiornato dalla visione, (come si menzionava poco sopra), della funzionalità e replicabilità differenziata nomade della sperimentazione educativa libertaria, applicabile a situazioni e circostanze geografiche e sociali completamente diverse dal tessuto germinativo in cui sta crescendo l’odierno kiskanu e, questo aspetto importante e fecondo, è il respiro e la visione sferica di lungo cammino del progetto educativo libertario veronese. Attualmente kiskanu è costituito da due nebulose d’attrazione (il ciclo delle Elementari e quello delle Medie Inferiori) marcate da aree di studio indicate approssimativamente in prima, seconda, terza, ecc. fino alla ottava area di studio corrispondenti grosso modo alle indicazioni tradizionali della scuola italiana (escluse le medie, chiamate appunto:sesta, settima, ottava) in tema di “classi”. In realtà, al kiskanu, i giovani bambini e ragazzi scelgono di operare a loro piacere, trasversalmente, nelle indicazioni educative che più aggradano loro, auto-organizzate in momenti di cultura assembleare intra-area di studio. Momento periodico essenziale  di massimo interesse collettivo, è l’assemblea settimanale del kiskanu ove le componenti presenti quotidianamente nell’associazione per l’educazione libertaria veronese, si ritrova per raccontarsi, nel senso pieno del termine e per decidere del proprio presente e futuro di percorso. Essendo giunti, dopo anni di cammino alternato  all’attuale formula approvata all’unanimità, dell’ “ogni partecipante un voto”, e con ciò ad un’assemblea di maggioranza desta al rispetto dei “contrari” e degli “astenuti”, è possibile attualmente al kiskanu che bambini, ragazzi e accompagnatori di percorso decidano collettivamente della frequentazione delle materie di studio, dell’assunzione o del licenziamento di accompagnatori, dell’utilizzo degli spazi di frequentazione interni ed esterni della realtà di supporto educativo, e così via, decisioni queste tutte estremamente importanti per la vita della comunità. Per ciò che concerne il frequentare la struttura sita nel parco-bosco di Villa Buri a S.Michele extra, ci si può recare al kiskanu per i cicli di studio, cinque giorni alla settimana, dal lunedì al venerdì e prendere parte alle attività autogestite, dalle otto e trenta del mattino alle tredici, oppure proseguire negli approfondimenti di materia dalle quattordici e trenta alle sedici e trenta. Come in altri ambienti indirizzati alla maturazione della sensibilità ecologica, anche all’interno della realtà educativa libertaria veronese, è presente un servizio mensa collegato alla cultura del cibo vegetariana e vegana. Comunque, se si vuole praticare diversamente, si può optare anche per l’alimentazione onnivora biologica oppure, si può condividere il momento del pranzo portando il proprio cibo da casa. Il servizio viene svolto da un’altra affine associazione di  cultura sensibile, affiancata per questo scopo al kiskanu, quella dei Contadini e Cucinieri uniti in cooperativa sociale, che propongono la pratica del chilometro zero e della preparazione fresca e in loco degli alimenti. La giornata di ricerca e di studio al kiskanu, è stata nel tempo  espressa in modo fluido e in continuo divenire di cambiamento, in tre momenti dedicati: alla pratica mente-corpo-respiro  sviluppata principalmente all’aperto (Askesi – Esercizio); all’approfondimento di materia cosiddetta “consueta” (Atrapos – Sentiero); alla pratica artistica (Katablemata – Visione dell’orizzonte).  Oltre alle materie di studio, appunto “consuete” (Lingua Italiana, Matematica, Geometria, Storia, ecc.), svolte comunque con un “come” radicalmente differente (ad es.: storia delle lettere e dei numeri, con incontri visivi e intuitivi messi in gioco dai bambini e tradotti assieme in un fare fisico e artistico mai fissato, anziché apprendimento mnemonico codificato dell’alfabeto come segno astratto; mitologia antidiluviana anziché preistoria e storia pedissequamente sancita; runologia concreta per l’età magico-individualizzante del bambino/ragazzo di quarta elementare; opera di costruzione di oggetti inservibili per i frequentatori delle “medie” e uscite didattiche collinari e montane per l’estensione del respiro/concentrazione, anziché lezioni al chiuso inerenti a corsi d’apprendimento costituiti, ecc.) kiskanu ha sviluppato e curato nel tempo, sezioni d’approfondimento al lavoro manuale, alla musica scelta e non subita, alla rielaborazione dell’arte dell’euritmia divenuta teatro organico, all’informatica open source con sistema operativo Linux, alle lingue mute del linguaggio dei segni per la sordità, all’alfabeto braille, alla lingua persiana Farsi, a quella unificante senegalese Wolof oltre all’Inglese e allo Spagnolo, lingue comunitarie richieste dalle scuole pubbliche alla presentazione degli esami annuali di fine corso. kiskanu non è organismo scolastico riconosciuto o parificato e non tende a questi titoli in quanto, non ha come visione educativa, per avvicinarsi e vivere la auto-formazione dei giovani partecipanti al proprio progetto di studi, l’intenzione e l’obiettivo di abbracciare un “programma” stabilito da tecnici ministeriali. Attualmente, esercitando un’azione coercitiva discriminatoria e punitiva conscia o inconsapevole, lo Stato costringe kiskanu, (come chi sceglie d’iscriversi alle direzioni didattiche di zona, optando per una  educazione “altra”), ad affrontare annualmente in veste di assieme di privatisti, gli esami d’idoneità al superamento delle classi da esso (il sistema, l’impianto/gestalt) sancite, per essere ritenuto “abilitato” a proseguire la propria “formazione”. kiskanu, a tutt’oggi, prepara la presentazione in aree di studio dei giovani partecipanti al progetto educativo libertario, a questi esami obbligatori annuali, sollevando le Famiglie dal peso di una esposizione individuale e frammentata, ancor più deleteria per le forze interiori di bambini e ragazzi, sottoposti a giudizi d’autorità astratti e inappellabili. Questa collaborazione forzata con le istituzioni è vista nell’ottica territoriale del “minor dolore possibile” che può essere inflitto a giovani, familiari e accompagnatori di percorso, ed è potenzialmente attuabile esclusivamente dalla preparazione etica di fortuite figure sensibili alle educazioni “non allineate”, presenti nelle direzioni didattiche di zona. Non è da escludere che in futuro, se si dovesse “inceppare” questo meccanismo di “collaborazione forzata” (lo Stato pretende il controllo e non crede nel pluralismo), kiskanu possa prendere la via del non assicurare alle componenti del progetto, le “verifiche istituzionali d’esame” sollecitate e imposte d’autorità (con cultura di dominio), da un anno previste per le realtà che si avvalgono delle disposizioni di legge (art.33 della costituzione italiana) in materia d’istruzione parentale. Dopo sei anni d’attività e di testimonianza che “un’altra educazione è possibile”, sviluppata nell’ambito del pensiero e della pratica del mutuo sostegno e dell’autonomia, oggigiorno nel nord est italiano, kiskanu muove un piccolo, tenace bacino di coscienza libertaria, composto da quarantadue giovani Bambini e Ragazzi, trentacinque Famiglie, sette accompagnatori di percorso dediti alle aree di studio, sette accompagnatori di materia e due accompagnatori per le diverse abilità.

 

 

Breve nota sulla Filosofia dell’incontro

 

Kiskanu-officine del crescere, ha sviluppato come ambiente germinale ove collocare i propri pensieri e le proprie azioni di ricerca educativa libertaria, un tracciato di ricerca chiamato filosofia dell’incontro. Essa, con questa denominazione comunicativa, ha in sé il significato che porta nel tempo il verbo “incontrare”, ovvero “trovare per caso sulla propria strada”. Ed è proprio in questo agire/subire destinale che si sviluppa la possibilità di far fiorire un tessuto di tacite intese tra differenze. Nell’incontro, nulla può riferirsi al dominio. Se ciò avvenisse, per l’intervento di qualsivoglia fattore interno od esterno l’accadimento, non si avrebbe incontro. Esso, si sviluppa semplicemente nel momento in cui un’azione (quella dell’incontrarsi) porta uno (è anche possibile che ciò avvenga in maniera riflessiva ma, questo fatto detiene altre specificità rispetto al moto di partecipazione che si tenta di presentare), due o più soggetti a con-dividere comunque per un’istante o meglio, per un percorso, una situazione di “messa in luce”per chi, fino a quel momento era “all’oscuro” dell’esistenza fattuale dell’altro. L’incontro dunque, in questa prospettiva, si alimenta del contatto visivo, diventa percezione e, attraverso di essa paradossalmente, tutela la differenza nel mentre la porta all’esposizione. Dall’istante del suo “avvenire”, l’incontro si può sviluppare in un “sentiero-un cammino che prende l’iniziativa da quel primo sguardo che ha già creato uno scorcio d’irradiazione, una enclave in cui ognuna/o ha messo a disposizione, nel solo fatto della manifestazione dell’evento, un’area microscopica ma potente di reciproco athem-respiro. Con ciò, per esserci incontro, deve sussistere e “persistere” completa libertà. Una necessaria precisazione a questo punto si fa strada, per cercare di chiarire ciò che comunemente viene inteso come “incontro”, dal contesto che questa filosofia intende invece mettere in rilievo. L’incontro comunemente espresso nel parlare quotidiano è una frazione strumentale dell’atto, che può, a ben vedere, essere fuorviante (per ciò che concerne tale momento di ricerca espositiva) rispetto all’incontro come “filosofia dell’incontro”. Quest’ultima, oltre all’importantissima sequenza del primo oggettivo/soggettivo contatto, snoda la propria indagine nella partecipazione completamente libera, degli attori coinvolti nel cammino d’incontro, in unione d’affiancamento (o se si vuole di vera e propria compenetrazione -col tempo altrui- attraverso l’assenso), nella condivisione o anche nella sottrazione (a volte e, in alcuni casi specifici) dello spazio e del tempo di un luogo-, dedicato al percorso di reciproca, libera accettazione. L’insistenza sul fattore decisivo della libertà è esplicitato dalla due preposizione tardo-latine “in” e “contra”, unite nell’efficace alchimia della costruzione di un arduo ponte di contatto e di una preziosa opportunità d’edificazione di un asse d’ascolto tra “contrari” e “altri” disposti ad iniziare  l’ esercizio di con-vivenza. 