diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 1 - 2003

Differenza maschile

Introduzione all’incontro “tra incudine e martello” del 5 dicembre 2003

L’anno scorso, durante il seminario di Diotima, sentivo una certa voglia di intervenire. Il tema lo consentiva più del solito, tuttavia non sapevo bene cosa dire. Temevo di espormi con osservazioni stupide o fuori luogo in un’assemblea femminile di questo calibro. Tuttavia lì per lì ho deciso di giocare nel contesto una cosa vera che sentivo, cioè la mia curiosità e il mio desiderio di poter ascoltare i pensieri e le reazioni di altri uomini presenti. Forse mi avrebbero aiutato a mettere in parole la mia insicurezza e forse avrei potuto godere una specie di solidarietà.

 

Abbiamo iniziato a incontrarci subito dopo il seminario premurosamente ospitati nello studio di alcune filosofe qui in Università. Dopo i primissimi incontri il gruppo si è configurato con la presenza di circa otto, dieci persone.

 

Inizialmente ci legava l’interesse per il pensiero della differenza, a cui ciascuno è arrivato attraverso percorsi differenti, ma non esistevano consolidate relazioni tra noi, per cui potevamo anche avere l’impressione di esaurire presto le cose da dirci. Gli incontri si aprivano in maniera spontanea non senza momenti di silenzio, peraltro non imbarazzanti, come qualcuno di noi ha osservato. I nostri pensieri, tuttavia, col passare del tempo si sono sempre più riscaldati di vissuto e di solidarietà, quella che procede spontaneamente quando qualcuno si espone per primo e, a seguire, altri lo sostengono affermando “anch’io…”. Perciò le cose messe in circolo sono risultate importanti perché autentiche e, inavvertitamente, hanno creato legame e bisogno di vedersi ancora. Ci siamo accorti di essere entrati lentamente dentro a un’esperienza preziosa e rara, che è quella di sapersi prendere sul serio, e soprattutto di imparare a farlo tra uomini.

 

In occasione del nuovo seminario, Chiara Zamboni si è fatta portavoce del presente invito da parte del gruppo di Diotima. Noi abbiamo inizialmente vissuto l’invito con soddisfazione e con gratificazione, anzitutto perché l’abbiamo sentito come un segno di attenzione, di premura e di interessamento verso di noi: oltretutto non abbiamo mai visto in questi anni tanti ospiti maschi qui a Diotima. Poi, in una fase successiva, pensando concretamente a questo appuntamento, abbiamo temuto di essere stati un po’ incoscienti e di esserci messi in una situazione imbarazzante. Questa percezione non è ancora del tutto risolta. Un primo motivo è relativo alle attese: Chissà cosa si aspettano le donne di Diotima. Possiamo chiarire subito che non abbiamo nessuna intenzione, né capacità e ambizione, di proporre riflessioni nuove, inedite: non c’è veramente nulla di nuovo in quello che tentiamo di esprimere. Per intenderci, non abbiamo elaborato nessun pensiero nostro e originale. Perciò abbiamo deciso che possiamo solo tentare di portare noi stessi, cioè la nostra esperienza, per come ne siamo capaci. Magari facendo in modo che sia occasione di scambio con voi. Se qualcuna o qualcuno tra voi restasse delusa o deluso, questo sarà un problema vostro. E questo fatto ci mette il cuore in pace. Tuttavia, e questo secondo aspetto potrebbe riemergere dopo durante la conversazione, qualcuno tra noi si è posto e ci ha posto la domanda di cosa possa significare dal punto di vista simbolico venire qui a parlare a delle donne. E cioè: non è che questo invito faccia scattare dentro di noi l’ansia di prestazione o che ci spinga a risultare compiacenti nei vostri confronti, o che ci metta in una posizione di strabismo per cui non riusciamo realmente a fare i nostri passi senza guardare a voi, quasi obbedendo al vostro percorso e al vostro linguaggio, ecc… Come potete intuire questo è problema nostro e ci daremo del tempo per osservarlo e attraversarlo nelle sua complicazioni. Sono entrato nel merito di questa situazione per nominare un’interessante esperienza del gruppo generata dal vostro invito. Ci avete offerto, in maniera non intenzionale, un’occasione di conflitto vero e proprio tra noi che, sostanzialmente, siamo riusciti a sostenere senza farci del male, mettendo in gioco sentimenti forti generalmente difficili da gestire.

 

Nel frattempo, da settembre a questa parte, abbiamo intensificato i nostri appuntamenti fino a vederci con molta assiduità (tenendo presente che qualcuno tra noi viene da fuori provincia: Parma, Brescia, Reggio Emilia, Padova e siamo numericamente pochi). La cosa interessante che ci ha stupiti e gratificati è che abbiamo vissuto questi incontri in maniera gratuita, senza sentire la pressione di dover assolvere un compito, ma godendo la nostra presenza e le nostre parole. Come ha detto bene Mario in qualche occasione: “io vengo per voi”.

 

Siamo un gruppo piuttosto eterogeneo per età, provenienze, esperienze di vita, attività professionali. All’interno del gruppo ciascuno porta avanti anche istanze differenti dagli altri. Non abbiamo una strutturazione vera e propria ma solo un collegamento di rapporti e di informazione; e non abbiamo nemmeno un nome. Non sappiamo ancora dove stiamo andando. Siamo in una situazione in divenire dove tutto è possibile, anche la fine di questo percorso: Ci unisce il desiderio di prenderci cura di noi stessi e della nostra capacità di essere presenti a noi e alla vita.

Ci troviamo in un’esperienza aperta e ci sentiamo semplicemente in movimento. Talvolta, qualcuno osserva qualche lieve spostamento di sé. Ci capita di raccontarci il senso di inquietudine che ci accompagna perché l’esperienza del movimento contiene desiderio di cambiamento ma anche disordine e ribaltamento.

 

In questo contesto tentiamo di pronunciare le nostre parole autentiche che hanno valore perché il loro valore è stato apprezzato nello scambio vivo tra noi.

E nello stesso tempo cerchiamo di rispondere simbolicamente all’invito di ballare insieme. L’immagine del ballo è fin troppo bella e affascinante, perché evoca capacità di capirsi, esprime vicinanza, contatto, armonia, sintonia…

Il problema è che forse non ce la caviamo così bene, potremmo rischiare, ancora una volta, di pestarvi i piedi. Qualora capitasse, non è che mettiamo in atto un sottile gioco di prepotenza, ma è che ce la caviamo male e abbiamo voglia di imparare.