diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 9 - 2010

Lingua dell'altro

Introduzione ai materiali di trascrizione

Quando parliamo della lingua corrente di solito ci riferiamo a un’immagine di noi che parliamo. Molti intellettuali che scrivono del degrado della lingua sembrano invece convinti che il loro parlato sia molto vicino a un testo colto scritto e non sembrano rendersi conto che la differenza tra oralità e scrittura è enorme. Non sto qua ora ad  elencare i dettagli di questa differenza che troviamo, per fortuna, descritti ormai in molti libri di linguistica.

La mia trascrizione non vuol essere di tipo fonetico perché altrimenti dovrebbe essere precisa anche sugli elementi per esempio di annotazione prosodica. Volevo solo restituire, in modo agevole, il discorso così come si è svolto perché ognuno/a possa vedere come parliamo davvero quando non leggiamo o recitiamo a partire da un testo già scritto o un’idea già data.

Generalmente, quando si parla in pubblico si crede che il discorso debba essere strutturato diversamente da quando parliamo in privato, magari a quattr’occhi. Ed è proprio quel discorso pubblico, che ordinariamente viene prima scritto, a essere responsabile della bolla comunicativa perché troppo spesso non è  un parlare per dire quello che sentiamo.

In questa giornata di riflessione è emerso che una leva per remare contro la produzione infinita del discorso che evade dalla realtà è proprio il dire come ci si sente e cosa si pensa davvero.

Ma questo non descrive ancora abbastanza bene il nostro modo di procedere perché si tratta di una modalità del parlare che si svolge nel pensare in presenza di altre ed altri. Cosa non facile e per questo segnato da pause, ripetizioni, esitamenti, correzioni di parola, cancellazioni, miglioramenti, crescendo e pianissimo.

Vorrei ricordare il bel  libro di Chiara Zamboni Pensare in presenza che illustra bene quel modo di far emergere la lingua  come una performance dove si può sperimentare il non abituale, il non codificato che è frutto dell’improvvisazione, certo, in situazioni dove il contesto è condiviso.

Quando leggiamo le trascrizioni, invece, vediamo già dall’esterno la performance nostra e degli altri e viene a mancare la voce che ci guida nella situazione in presenza. Perché è proprio la voce che indica con le sue sfumature i vari livelli del discorso che ogni intervento contiene. Sarebbe meglio trascriverlo come una partitura. Il discorso orale non è mai lineare. Certo le  linee della scrittura musicale non basterebbero poiché parliamo a molti e su molti piani nello stesso momento. Contemporaneamente rispondiamo per esempio a domande rivolteci precedentemente, inviamo esortativi ad alcune persone, affermiamo le nostre posizioni, riveliamo il quotidiano e le emozioni talvolta nascoste, sfoggiamo il nostro sapere e cerchiamo soprattutto di chiarire a noi stessi ciò che stiamo pensando.

Quando parliamo in pubblico rispunta anche fuori, specialmente per le donne, un desiderio di discorso duale, forse ispirato a quella originaria situazione di lingua materna. Per parlare veramente e sinceramente abbiamo bisogno di essere in due ma quel due è una moltitudini di dialoghi in due. Le donne stanno maggiormente in questa dimensione del discorso polifonico che gli uomini, invece, temono e dal quale sono avvolti ed attratti come all’inizio del tempo.

Trascinata dall’essere fuori di me nel discorso pronunciato e spinta dal discorso altrui  dico a volte cose che non mi aspettavo di dire. “Lo scambio è molto veloce e non  è solo un gioco di intenzione consapevole del discorso – il tema –, ma anche lo spostamento dato dall’affiorare di significanti inconsci.”[1]

Per riferirmi alla mia esperienza, il discorso è un evento che non controllo  del tutto e che rivela, in primis a me stessa, dove mi porta il mio desiderio di parlare. Certo, l’emozione di esporsi in pubblico modificherà il mio pensiero e renderà difficile che lo possa esprimere nella sua interezza. Comunque, le emozioni e la presenza degli altri guiderà la mia voce verso qualcosa che, al limite, sorprenderà anche me. Ogni discorso è anche un evento catartico per colei o colui che prende parola.

 

[1]              Chiara Zamboni, Pensare in presenza, Liguori editore, Napoli 2009, p.26.