diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 1 - 2003

Taglio del presente

Intolleranza della libertà

 10 febbraio 2004: una data che bisognerebbe tenere bene a mente, una data che segna l’evidenza della reazione politica contro le pratiche di libertà, di qualsiasi libertà, in particolare della pratica femminile della libertà.

Il 10 febbraio 2004 l’assemblea nazionale francese ha approvato a larghissima maggioranza la legge che vieta i segni religiosi ostentati (ostensibili?), quali velo, croce, kippa, turbante, nelle scuole pubbliche di ogni grado (ma non all’università) in nome della laicità dello Stato francese, principio sancito solennemente da una legge del 1905 che prevede la netta e radicale separazione fra Stato e Chiese. Quasi contemporaneamente la camera italiana approvava (seppure con una maggioranza meno larga) in via definitiva la legge sulla procreazione assistita, che riconosce il diritto dell’embrione, che vieta l’inseminazione eterologa e nega l’accesso alle tecniche di riproduzione alle coppie non sposate di cui non sia stata accertata la ‘stabile’ routine (si apre a questo proposito il dibattito sul concetto di stabile così come su quello di ostentato), nonché ai single e agli omosessuali, che impedisce il congelamento degli embrioni e ne limita a tre il numero massimo da impiantare. Una legge che si pone con evidenza contro il principio di laicità (eh sì, in teoria anche l’Italia sarebbe uno Stato laico…), nel momento in cui riconosce all’art. 1 la tutela prioritaria dell’embrione, facendo proprio uno dei punti centrali del magistero della Chiesa cattolica.

Apparentemente due leggi in contrapposizione, una approvata in nome della laicità, l’altra, nei fatti, contro questo principio. Due leggi che sembrerebbero segnare la differenza fra ciò che viene rappresentato come uno Stato laico, moderno e fondato sui principi universalistici della libertà e dell’uguaglianza di tutte e tutti, le cittadine e i cittadini (in particolare sulla libertà e l’uguaglianza degli studenti nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado là dove si forma la coscienza collettiva politica e sociale del cittadino repubblicano), e ciò che si rivela come uno Stato teso a ripristinare un clima da medioevo oscurantista, da caccia alle streghe, bigotto e autoritario.

Certamente ci sono delle differenze fra le due leggi, e tuttavia credo che queste due leggi siano molto più simili di quel che appare ad una prima analisi, accomunate nei fatti dalla ‘paura’ per il corpo femminile, di tutti i corpi femminili, la cui differenza ancora una volta viene ribadita essere inaccettabile dal sistema di potere maschile che, nonostante le trasformazioni, le crisi, le convulsioni, le agonie, le sconfitte, continua a dominare.

La legge francese è apparentemente neutrale, perché si riferisce ai simboli religiosi, ma in realtà è fortemente segnata sessualmente tanto che è stata ribattezzata in Francia nell’opinione pubblica, sui media, ma anche durante la stessa discussione politica parlamentare la loi du foulard, perché il problema reale non era tanto l’ostensione dei simboli religiosi, quanto il velo portato dalle ragazze di osservanza musulmana. Quella italiana almeno non si nasconde dietro la pretesa della neutralità e già all’art. 1 rivela i suoi propositi misogini, affermando la tutela prioritaria dell’embrione, che ovviamente è sempre figlio di suo padre e poi, forse, poiché si è tolleranti, anche di sua madre. Entrambe sono prima di tutto leggi che si propongono di disciplinare e controllare il corpo femminile. Un corpo che disperatamente si cerca di rendere sempre meno reale, nel momento in cui si decide se debba essere velato o svelato, accolto a scuola o da questo espulso, considerato un contenitore, uno strumento riproduttivo oppure no. Due leggi che non a caso sono state approvate da parlamenti composti a larga maggioranza maschile. Oh, sì, certo, sempre perché si è tolleranti e democratici, nella lunga discussione che ha preceduto l’approvazione parlamentare le donne sono state consultate, pagine e pagine di articoli sono state pubblicate, ma alla fine i maschi votano e se ne vanno a pranzo e le donne subiscono la neutralizzazione e dunque l’espropriazione del proprio corpo. È la democrazia, mesdames, non l’avete voluta anche voi? E queste sono le regole del gioco.

No, non è così. Dell’universalismo della legge che dovrebbe garantire il riconoscimento della libertà e dei diritti non si sa più che farsene; quell’universalismo, quei diritti, quella libertà non sono l’universalismo e i diritti di tutti, perché sono la rappresentazione, nemmeno tanto riuscita, di quello che Ida Dominijanni con espressione felice ha definito su “il manifesto” del 18 dicembre scorso “il velo della Repubblica”. Un velo talmente rattoppato, bucato e sfilacciato che nella realtà non riesce a velare quasi più nulla. Per l’ennesima volta ciò che emerge da sotto il velo sono i limiti dell’universalismo, coperta ormai irrimediabilmente troppo corta sotto cui il sistema di potere patriarcale che regge gli Stati occidentali prova ancora una volta a nascondere il proprio volto di oppressione.

Di nuovo la politica occidentale si trova a fare i conti con la questione dell’alterità. Questione di cui ha paura fin dalla sua origine (le guerre civili di religione del XVI secolo) e a cui continua instancabilmente e disperatamente a rispondere solo con pratiche di tolleranza (nelle versioni contemporanee dei multiculturalismi vari, delle politiche di integrazione o di assimilazione, delle politiche che fanno proprio il principio del bastone e della carota che connotano tanto le scelte di politica interna quanto quelle di politica internazionale di questo inizio di XXI secolo).

Ma la tolleranza porta con sé sempre la stessa questione: può essere definita solo se si stabilisce qual è il suo limite. La diversità dell’altro (il nero rispetto al bianco, il non-cristiano rispetto al cristiano, il non-uomo, la donna, rispetto all’uomo) si tollera sempre fino a un certo limite, la soglia di tolleranza appunto, oltre la quale, come un papà un po’ burbero nei confronti dei figli discoli, si dice basta, perché la pazienza, la sopportazione ha un limite. Oltre la soglia non si può andare e l’altro deve piegarsi, rinunciare alla propria alterità, alla propria differenza, assimilarsi, integrarsi, omogeneizzarsi, nei fatti sparire.

Ma è – come è sempre stata – una logica miope, dallo sguardo corto, perché se è vero che la pazienza della tolleranza ha sempre un limite, è ugualmente vero che anche la pazienza del tollerato ha un limite e come la tolleranza a un certo momento dice basta, anche il tollerato prima o poi dice basta e fa saltare il tavolo. L’intolleranza della libertà è sì l’intolleranza verso la libertà; ma diventa anche l’indisponibilità della libertà a sottostare a questo gioco.

Va ribadito ancora una volta: questo gioco di ruoli non è più tollerabile! Sono stanca di vedere approvate leggi fatte da uomini in nome della libertà e uguaglianza delle donne; come sono stanca di vedere proclamate guerre fatte da uomini in nome della libertà delle donne. Non è questa la libertà delle donne: la libertà femminile sta al di là della soglia di tolleranza; è una libertà che, nonostante tutti i veli, le coperte, i cordoni che le vengono gettati addosso, non è ordinabile da un voto del parlamento. Perché è una libertà – a dispetto del tentativo di occultarla – che continua a eccedere, ad agire concretamente, una libertà che non si rappresenta, che non si vota, che non si tollera, ma che è, che esiste con il proprio corpo; e che con il proprio corpo nasce e agisce. Una libertà che non si nasconde dietro i principi particolaristici o le rivendicazioni universalistiche, perché è una libertà differente, una libertà che non ha paura della vita, della novità, dell’altro.

Una libertà che non si vela o si fa svelare, ma che si rivela.