diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 9 - 2010

Pensare in presenza

Il polo d’attrazione

L’ultimo libro di Chiara Zamboni, Pensare in presenza, rende omaggio, fra le altre cose, allo scambio vivo di pensiero che si realizza in Diotima, nelle discussioni mensili e nei ritiri filosofici: è un omaggio e al tempo stesso è uno scavo e un approfondimento delle modalità del pensare in presenza, dalle forme dell’argomentazione alla duttilità del tema, dal modo di porre un problema all’importanza del raccontare un’esperienza, dai paradossi e dalle contraddizioni esistenziali alle affermazioni aforismatiche e alle definizioni, dalla qualità del silenzio alle forme retoriche che evocano il contesto, dalla convinzione alla persuasione.

Particolare attenzione viene dedicata al polo di attrazione verso cui tendono gli sforzi di coloro che pensano e discutono insieme: se è vero che il bisogno di pensiero nasce per lo scarto, la non coincidenza fra linguaggio ed essere, allora tale polo di attrazione è costituito dai momenti di verità, che sono effetto della rispondenza fra parole e cose. Non si tratta mai di una coincidenza perfetta, perché il punto di tangenza fra linguaggio ed essere rimane comunque innominabile, indicibile, ma nei momenti di verità questo punto viene toccato, rinnovando il contatto fra il simbolico e l’emergenza del reale.

Un altro aspetto fondamentale del pensare in presenza, su cui il testo opportunamente si sofferma, è quello legato al corpo inconscio: nel discutere con altre e altri, è coinvolto non solo il corpo materiale, ma anche il corpo inconscio, cioè l’insieme dei legami affettivi con le persone che sono state importanti per noi in passato, a cominciare dalla madre. Queste relazioni sono inscritte, istoriate nel corpo e ne formano il lato inconscio; dunque, nel pensare in presenza, “il fatto di avere un corpo ci apre a una dimensione inconscia totalmente presente, che però porta memoria dei legami passati”. (p. 103)

Un capitolo è dedicato a quelle figure capaci di orientare l’attenzione di tutti gli altri, di intensificarne la presenza e di fungere da catalizzatori della discussione comune: l’esempio usato è quello di Frieda Fromm Reichmann, descritta da Gregory Bateson, accostata alla figura del saggio taoista, che sa accogliere i conflitti e la molteplicità delle contraddizioni esistenziali mantenendosi aperto alla molteplicità d’essere di tutti.

Frieda Fromm Reichmann è la figura di un’accoglienza distaccata e relazionale al tempo stesso. E’ una figura molto diversa da quella che in Diotima tutte abbiamo presente come figura di autorità e come catalizzatrice della discussione comune: in Diotima, a differenza che nel gruppo facente capo a Frieda Fromm Reichmann, il coinvolgimento della figura di autorità è più passionale e spesso anche più conflittuale, con conflitti talvolta sregolati, che coinvolgono strati affettivi profondi delle partecipanti. A tale proposito, farei un’unica osservazione critica nei confronti del testo di Chiara: la dimensione del conflitto, a mio avviso, vi è poco tematizzata ed è per così dire sublimata nella forma delle contraddizioni esistenziali che, anche se insolubili, se sono vissute, patite e accolte, possono portare a una modificazione simbolica, a un salto d’essere.

E’ come se l’autrice avesse in mente soprattutto il lato per cui, nella discussione comune, si mira a una verità – il punto di tangenza fra linguaggio ed essere – che trascende le diverse posizioni e che ne costituisce il polo di attrazione segreto. Indubbiamente, questo è ciò che accade nelle discussioni quando sono al loro meglio, ma questo risultato spesso è guadagnato a prezzo di conflitti anche dolorosi, di lacerazioni, di tagli che lasciano delle ferite. Di tutto questo, Diotima ha reso conto soprattutto ne L’ombra della madre, che interroga l’enigma di alcune relazioni femminili laceranti, in cui si conserva memoria – corpo inconscio – del rapporto difficile con la propria madre.

Il libro, pur essendo interamente dedicato allo scambio vivo di pensiero in presenza, registra anche il fatto che molte donne si trovano maggiormente a loro agio nella scrittura. Personalmente, io mi colloco fra questa ultime: forse patisco più fortemente di altre gli attriti che la discussione inevitabilmente porta con sé; di fatto, preferisco la dimensione solitaria della scrittura, in cui la relazione con le altre permane sì, ma a distanza, e in cui mi sento a mio agio nel dare voce alla mia esperienza soggettiva che, quando viene consegnata all’anonimato della scrittura, acquista una sorta di impersonalità.

Dopo aver attraversato la dimensione delle pratiche teatrali e dopo aver rivolto l’attenzione alla disposizione dei luoghi in cui ci si incontra per pensare insieme, il libro si conclude con una riflessione sulle pratiche politiche legate al movimento delle donne: in esse, il godimento della presenza è inseparabile dalla politica. Queste pratiche sono rimaste fedeli alla forza di attrazione della presenza e hanno delineato un percorso politico in cui il contagio, il contatto e la narrazione dei vissuti sono fondamentali. L’invito rivolto a tutte, ciascuna singolarmente, è quello di trovare una misura, una forma di contrattazione personale fra il piano del godimento d’essere e quello del linguaggio, fra le esperienze soggettive più intense e l’esposizione di sé nello scambio politico con altre e altri, con la consapevolezza che ciò che viviamo singolarmente non è solo nostro, ma ha qualcosa di impersonale: è un’apertura contingente all’essere e a un’intera epoca storica.