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per amore del mondo Numero 3 - 2004

Ho Letto

Il femminile tra antropologia e cristianesimo. La lettura di Angela Ales Bello

 L’autrice, il tema, la terra.

Il libro di Angela Ales Bello, Sul femminile. Scritti di antropologia e religione, ripropone il pensiero di questa intellettuale “anomala” nel panorama italiano. Studiosa, anche filologicamente agguerrita, di Husserl, attenta al pensiero femminile che nasce all’interno della fenomenologia soprattutto tedesca, primo (o prima?) decano-donna di una Università Pontificia, la Lateranense. È colei, infine, che ha riproposto, in maniera determinante, Edith Stein come filosofa e ne ha agevolato il riconoscimento di santità.

Il curatore di questo volume, che raccoglie saggi precedenti, afferma: “Risulta chiaro quanto sia importante uno sguardo sul ‘femminile’ – ma potremmo dire sull’essere umano – privo, il più possibile, di pregiudizi ideologici e attento a cogliere nella sua totalità il fenomeno in questione”[1].

Un aspetto che mi piace trattare in premessa, tra le apparenti, ma davvero solo apparenti anomalie del caso è in nesso tra il pensiero femminile di Angela Ales e la realtà culturale e scientifica di Lecce. Nella bibliografia, curata sempre da Michele D’Ambra, relativa agli scritti della filosofa romana dedicati al “femminile”, dopo un primo scritto del 1973[2] dobbiamo arrivare al 1992 per cogliere, con un suo nuovo saggio, il reale avvio di un pensiero sul femminile in Angela, ed è uno scritto in “Segni e comprensione”, rivista cofondata, presso l’Università salentina da chi scrive, da Angela Ales Bello e dal Centro Italiano per le Ricerche Filosofiche, da lei diretto. Il suo articolo che vi appare è: Per una filosofia al femminile? (n. 14, 1991, pp. 44-51). Ma subito dopo troviamo un saggio su Edith Stein, in Filosofia, donna, filosofie che sono gli atti di un importantissimo convegno del 1992, tenuto a Lecce a cura di Angelo Prontera e Marisa Forcina[3]. Ancora, nel 1996 su “Segni e comprensione” si legge Sulla “differenza” nell’enciclica Fides et ratio (n. 38, 1999, pp. 13-22).

Questo elenco, che dà solo in minima parte del rapporto tra Ales e la realtà leccese, si spiega anche con l’esistenza del Centro “Roggerone-Prontera” e la comunità delle benedettine che sono, di fatto un nuovo nucleo di riflessioni sul pensiero femminile. Questo è avvenuto perché esiste una costellazione di importanti “fuochi” di studio e di indagine sui temi del femminile: c’è il gruppo “Diotima” a Verona, attento anche alle tematiche religiose e di fede (Luisa Muraro, Clara Zamboni, Wanda Tommasi); a Roma il centro fenomenologico già ricordato (con Angela Ales e Francesca Brezzi), l’associazione “Prospettiva Persona” a Teramo (con Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese).

Allora, perché Lecce e il Salento: perché sono uno dei pochi luoghi accademici, dopo Verona, in cui il pensiero femminile sia penetrato e discusso anche in spazi non femminili; ne è testimonianza il Convegno del ‘92 e “Segni e comprensione”. La nota che Angela Ales scrisse nel ’97, per i 10 anni della rivista, segnalava questo tra le peculiarità della pubblicazione, all’interno del più complessivo interesse antropologico. Indicava “una questione che ha trovato uno spazio nella rivista e che costituisce una linea di ricerca ineludibile, quella relativa alla duplicità dell’essere umano nella sua connotazione maschile e femminile. Si tratta delle questione della ‘differenza’  presa in tutta la sua ampiezza, rispetto alla quale il tema del genere si pone come momento fondamentale. Una settore di indagine che si apre di conseguenza è quello relativo alle differenze culturali, nel quale si inserisce il tema della elaborazione teorica della filosofia della liberazione”[4].

 

Il cristianesimo e la donna.

La tesi di fondo perseguita e documentata dall’autrice, nel volume di Città Nuova, è che sia stato il cristianesimo a riconoscere e a valorizzare la differenza di genere e il ruolo delle donna: “E che l’umanità non sia solo fatta da uomini è un’idea che solo recentemente nell’area culturale occidentale si sta mettendo in crisi, si sta cioè distinguendo una concezione androcentrica e un’antropologia – anche se il termine contiene sempre un riferimento al maschile, il linguaggio non ne possiede uno diverso – secondo la quale l’umanità è fatta da uomini e da donne. La consapevolezza di questo fatto, che deve entrare nella coscienza comune, è frutto del messaggio di Cristo. Per tale ragione parlare della donna nell’antropologia cristiana sembrerebbe quasi un’ovvietà”[5].

È superfluo qui riprendere i brani evangelici che possono testimoniare quanto affermato da Ales Bello. Lei riprende anche Gertrud von le Fort, quando afferma che i maggiori misteri del cristianesimo entrarono nel mondo per mezzo della donna, non dell’uomo: il messaggio natalizio, quello pasquale, la discesa dello Spirito Santo che “mostra l’uomo nell’atteggiamento femminile di chi riceve”, la “cellula primogenita della Chiesa”. “Il motivo femmineo risuona attraverso tutta la creazione[6].

Ma data questa affermazione di principio, la nostra autrice non dissimula il fatto che spesso la cristianità, i cristiani sono stati diversi dal cristianesimo. E abbiamo avuto anche una storia dell’eclisse del “femminile”, anche a causa di certi modelli culturali della cristianità. Ciò ha comportato alcune contraddizioni teoriche in intellettuali di primario livello. Penso a Tommaso d’Aquino, quando aveva afferma che femina est animal imperfectum[7], per quanto questa sua affermazione fosse rivolta al generale animale. Ma il maschio e la femmina umani non rientrano in questo genere? Però, lo stesso Tommaso, quando affronta il tema del corpo glorioso, si trova a dover difendere il ruolo della donna nella chiesa e nell’economia della salvezza. Egli respinge una obiezione relativa alla veridicità della resurrezione di Cristo, presentata da chi aveva detto: visto che la resurrezione, secondo i testi, fu predicata da donne e visto che le donne, per dettato paolino e per tradizione magisteriale, nella chiesa debbono tacere, se ne deduce che la resurrezione non c’è stata. La risposta di Tommaso è articolata: è vero che le donne non hanno nella chiesa facoltà di insegnamento, ma è anche vero che possono istruire con potere che deriva dal ruolo che assolvono nei rapporti famigliari. Qui l’Aquinate ricorda un brano di Cirillo che, proprio per la testimonianza della resurrezione, chiedeva che dovessero eliminarsi l’ignominia e la maledizione che pesavano sul genere femminile. D’altro canto, scrive Tommaso, se la carica di amore è maggiore nelle donne, perché Cristo non avrebbe dovuto premiarle, manifestando a loro per prime la sua resurrezione? Non è forse vero, ricorda il filosofo, che, mentre i discepoli maschi si erano allontanati dal sepolcro, per stanchezza o per sfiducia, le donne erano rimaste lì, forti e fedeli?[8]

 

Edith Stein: il maschile, il virile, il femminile.

Uno dei punti teorici ricorrenti, in questa fase della riflessione di Ales Bello è il pensiero di Edith Stein. È lei che definisce le peculiarità antropologiche e culturali della differenza di genere quando afferma che “la specie femminile dice unità, delimitazione dell’intera personalità corporeo-spirituale, sviluppo armonico delle potenze; la specie virile dice elevazione di singole energie alle loro prestazioni più intense”[9].

Il termine virile aveva avuto, tra l’altro, nella tradizione cattolica un uso non limitato alla nuda determinazione sessuale, ma aveva assunto una connotazione più propriamente etica. Il caso forse più interessante è l’uso amplissimo che ne fa la domenicana Caterina da Siena. Ella scrive alla regina di Napoli, che era contro il Papa: “Voi avete invitato e invitate il popolo e tutti e’ sudditi vostri ad essere più contra a voi, che con voi; avendo trovata nella persona vostra poca verità, non condizione d’uomo con cuore virile, ma di femmina senza neuna fermezza o stabilità, siccome femmina che si volle come la foglia al vento”[10]. Ma in altri passaggi è ancora più chiaro il senso etico, e non di genere, nell’uso cateriniano: “O governatore nostro, io dico che ho lungo tempo desiderato di vedervi uomo virile e senza veruno timore; imparando dal dolce e innamorato Verbo, che virilmente corre all’obbrobriosa morte della santissima Croce, per compiere la volontà del Padre e la salute nostra”; e: “Fate virilmente: che Dio è per voi”[11]. Non va dimenticato, in tutto questo, che l’etimo collegava i termini vir e virtus.

Andando oltre, nella Edith Stein letta da Angela Ales Bello, l’antropologia del femminile è peculiare perché alle differenze biologiche si accompagnano differenze spirituali: “Non solo il corpo è strutturato in modo diverso, non solo sono differenti alcune funzioni fisiologiche particolari, ma tutta la vita del corpo è diversa, il rapporto dell’anima e col corpo è differente, e nell’anima stessa è diverso il rapporto dello spirito alla sensibilità, come rapporto delle potenze spirituali tra loro”[12].

 

Antropologia e mistica.

Una visione che mette insieme la connotazione antropologica in rapporto alla esperienza religiosa, deve necessariamente dar conto anche di una categoria esistenziale che ha visto quel rapporto vissuto anche in parte considerevole dalle donne. Ci si riferisce al misticismo. Ma il misticismo può avere colorazioni diverse a seconda se a viverlo sia un maschio o una donna? Ancora una volta è Edith Stein a porre, anche se indirettamente, il problema, quando scandisce quasi un inventario delle categorie spirituali del femminile: “La particolarità del modo di conoscere della donna, che ha una peculiare forza per intuire il concreto e il vivente, specialmente il personale; l’attitudine di far propria la vita personale altrui, come anche scopi e tipi di lavoro altrui; l’importanza fondamentale che ha in lei l’animo inteso come la potenza che conosce l’oggetto nella sua particolarità e nel suo valore specifico e fa assumere una retta posizione di fronte ad esso; il desiderio di portare alla massima perfezione possibile l’umanità nelle sue espressioni specifiche e individuali, sia in sé che negli altri; il posto predominante dell’elemento erotico (non sessuale) in tutta la vita; un più puro dispiegamento di tutta una vita in un amore pronto a servire”[13]. Angela Ales Ales spiega che il termine erotico, qui usato, deve essere ben compreso, perché non ha l’accezione corrente, ma il significato platonico del più alto grado d’amore di cui sia capace un essere umano[14].

Questo è vero, per quanto, nella narrazione che alcune mistiche fanno del loro incontro con Dio, il linguaggio sia quello di una affettività tipicamente femminile. È Simone Weil a scrivere che Dio “viola l’anima”; lei si definisce “sedotta”, “catturata” da Cristo, l’anima “non si dà ma è presa”. Inoltre la Weil, narrando dei suoi incontri con Cristo, li racconta così: “Cristo è venuto a prendermi per la prima volta”; Dio è “un amante che dice per ore, sommessamente all’orecchio, io ti amo, ti amo, ti amo”. “A volte […] Cristo è presente in persona, ma di una presenza infinitamente più reale, più pregnante, più chiara e più piena di amore di quella prima volta quando mi ha presa”[15] 

Questo va detto perché la corporeità, maschile e femminile, è comunque ineliminabile da ogni esperienza del soggetto. È ancora Simone Weil a dichiararci la funzione anche ermeneutica del corpo: “Il mondo è un testo a più significati e si passa da un significato all’altro con un lavoro. Un lavoro in cui il corpo ha sempre parte, come quando s’impara un alfabeto di una lingua straniera: questo alfabeto deve entrare nella mano a forza di tracciare lettere…Al di fuori di ciò, ogni cambiamento nel modo di pensare è illusorio”[16].

Queste suggestioni teoretiche sono tutte sollecitate e richiamate dalla importante silloge degli scritti sul femminile di Angela Ales. E,  in questo gioco di echi, ritorna alla mente un pensatore sicuramente lontano dalle rive teroretiche della docente della Lateranense. Mi riferisco a Gianni Vattimo, con il suo “pensiero debole”, quando rivendica un cristianesimo e una teologia della carità: “Una tale norma – la carità, che è destinata a rimanere tale anche quando la fede e la speranza non saranno più necessarie, una volta realizzato completamente il regno di Dio – giustifica pienamente, mi pare, la preferenza per una concezione ‘amichevole’ di Dio e del senso della religione. Se questo è un eccesso di tenerezza, è Dio stesso che ce ne ha dato l’esempio”[17].

Qui si riapre, in maniera inattesa, il discorso di donna e “cura”, recuperato dal pensiero femminile ma non ridotto ad una asfittica connotazione o “recinto” di genere, e che può rinviare alla “virtù” della carità. Tutto ciò è una ulteriore prova di come questa raccolta di scritti di Ales Bello sia importante anche per le molteplici evocazioni filosofiche, teologiche e letterarie che comporta e sollecita.

 

[1]              A. Ales Bello,  Sul femminile. Scritti di antropologia e religione, a c. di M. D’Ambra, Città Nuova, Roma 2004, p. XXIII.

[2]              Cristianesimo e femminismo, “Vita sociale”, n. 2, Pistoia 1973, pp. 165-169.

[3]              Lineamenti di una filosofia al femminile: Edwig Conrad-Martius, Edith Stein, Gerda Walther, in Filosofia, donna, filosofie, a c. di Forcina M., A. Prontera, P. I. Vergine, Milella, Lecce 1994, pp. 555-560.

[4]              I sentieri non interrotti di “Segni e comprensione”, n. 1 (30), a. XI, gennaio-aprile 1997,  p. 8.

[5]              Sul femminile, cit., p. 3.

[6]              Ivi, p. 13; la citazione è da G. von le Fort, La donna eterna, (1934), trad. it. a c. di G. Federici Ajroldi, Istituto di Propaganda Libraria, Milano 1960, p. 29.

[7]              “Quia holocaustum erat perfectissimum inter sacrificia, ideo non offerebatur in holocaustum nisi masculus, nam femina est animal imperfectum. Oblatio autem turturum et columbarum erat propter paupertatem offerentium, qui maiora animalia offerre non poterant”; Summa Theologiae, Ia IIae, q.102, a. 3, ad 9.

[8]              “Hoc autem testimonium ferebant publice praedicando. Quod quidam non convenit mulieribus: secundun illud I Cor., 14 [34]: Mulieres in ecclesiis taceant; et I Tim. 2, [12]: Docere mulieri non permitto. Ergo videtur quod inconvenienter resurrectio Christi manifestata fuerit primo mulieribus quam hominibus communiter […]. Respondeo […] dicendum quod mulieri non permittitur publice docere in ecclesia: permittitur autem et privatim domestica aliquos admonitione instruere. Et ideo, sicut Ambrosius dicit, super Luc., ad eos femina mittitur qui domestici sunt: non autem mittitur ad hoc quod resurrectionis testimonium ferat ad populum. Ideo autem primo mulieribus apparuit, ut mulier, quae primo initium mortis ad hominem detulit, primo etiam initia resurgentis Christi in gloria nuntiaret. Unde Cyrillus dicit: Femina, quae quondam fuit mortis ministra, venerandun resurrectionis mysterium prima percepit et nuntiat. Adeptum est igitur femineum genus et ignominiae absolutionem, et maledictionis repudium [In Ioan., l.XII, c.I, super 20,17]. Simul etiam per hoc ostenditur quod, quantum ad statum gloriae pertinet, nullum detrimentum patietur sexus femineus, sed, si maiori caritate fervebunt, maiori etiam gloria ex visione divina potientur: eo quod mulieres, quae Dominum arctius amaverunt, in tantum ut ab eius supulcro, discipulis etiam recedentibus, non recederent [Greg., Hom.25 in Evang., n.1,; M.L. 76, 1189 C.], primo viderunt Dominum in gloriam resurgentem” (Summa Theologiae, p.III, q.55 a.1, 3).

[9]              E. Stein, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, trad. it. a c. di O. M. Nobile, pref. di A. Ales Bello, Città Nuova, Roma 1995, p. 204; cit. alle pp. 19-20 del testo qui discusso.

[10]            S. Caterina da Siena, Le lettere, a c. di U. Meattini, Ed. Paoline, Milano 1987, lettera n. 317, p. 315.

[11]            Ivi, lettera n. 270, pp. 104 e 106.

[12]            La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, cit, p. 204; nel volume di A. Ales Bello la cit. è a p. 19.

[13]            Ivi, p, 195; in A. Ales Bello, op. cit., è a p. 144.

[14]            Ibidem.

[15]            Le citazioni sono tratte dalle seguenti opere weiliane: La connaissence surnaturelle, Gallimard, Paris 1950, pp. 9-10; Cahiers II, Plon, Paris 1972, p. 299; La Grecia e le intuizioni precristiane, Borla, Torino 1967, p. 116; Cahiers II, cit., p. 293; Attente de Dieu, Fayard, Paris 1966, p. 158; La connaissance surnaturelle, cit., p. 77; Attente de Dieu, cit., p. 49. Su questo aspetto, cfr. il mio Philosopher “en femme”. Raccontare Simone Weil, in Donne in filosofia, a c. di G. A. Roggerone, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 1990, pp. 113-125.

[16]            Cahiers, I, Paris 1970, n. e., p. 132.

[17]            G. Vattimo, Credere di credere, [1996], Garzanti, Milano 1998, p. 195. Sul rapporto di Gianni Vattimo con la fenomenologia e il cristianesimo, cfr. Perché “oltre la fenomenologia”. Conversazione con Gianni Vattimo, “Segni e comprensione”, n. 52, a. XVIII, maggio-agosto 2004, pp. 41-52.