diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo edizione 18 - 2022

Questione maschile e narrazione del potere

DIRE LA VERITÀ. La violenza maschile e il (quasi) mutismo degli uomini. Riflessione intorno al 25 novembre 2021

Al netto della realtà che è l’abuso, la strage, la violenta negazione all’esistenza di donne per mano di uomini, e della impellente necessità di far fronte all’urgenza di salvaguardare la vita delle donne maltrattate, vorrei soffermarmi su come, ancora nel XXI secolo in Occidente, tutto questo viene raccontato sviando di fatto il senso di questa terribile realtà. “Femminicidi” li chiamano, esito tragico di una violenza generalizzata sulle donne: una violenza che è strutturale nella convivenza umana, da millenni, ma che solo negli ultimi decenni si riconosce come tale. Di questo non voglio parlare guardando i dati, tanto li sappiamo tutte e tutti, più o meno.

Ciò su cui intendo porre l’attenzione è il modo con cui i media (che condizionano pesantemente il nostro immaginario) raccontano questo tragico fenomeno, dove l’attenzione è tutta posta sulle “donne vittime”: programmi televisivi con lunghi racconti di chi era lei, grandi foto sui giornali di quanto era bella, brava, liste di nomi, simboli di panchine e scarpette rosse, manifestazioni ecc. tutto legittimo e importante per non dimenticare; ma in questo “per non dimenticare” ci si dimentica di fatto della cosa più importante, cioè dell’autore del delitto, dell’assassino, perché questo è il vero nome del femminicidio.

Scorro i giornali, ascolto le diverse trasmissioni, interessanti, impegnate, lodevoli, e, a livello simbolico dell’immagine che ne emerge, mi chiedo: ma dove sono gli uomini? Uomini che si assumano il problema che riguarda anche loro? In queste narrazioni gli uomini non ci sono (se ci sono, sono tutti presi a spiegare le donne); ma come responsabili scompaiono, sono quasi completamente assenti; ma non sono forse loro che dovrebbero essere interrogati sul loro agire? Certo, non tutti gli uomini sono violenti (per fortuna, se no non esisteremmo più come donne!) ma (quasi) tutti i violenti sono uomini.

Al posto delle foto delle vittime, sui giornali vorrei vedere le foto di questi assassini, gli elenchi dei loro nomi, ma è come se ci fosse ancora un pudore, una timidezza nel parlare schiettamente di chi agisce e non solo di chi subisce; meglio soffermarsi su chi non può più difendersi anche dai racconti morbosi che solleticano gli istinti più pruriginosi!

Si parla di provvedimenti per proteggere le donne da queste violenze: ma possibile che a nessuno venga in mente che non vogliamo essere protette, ma semplicemente poter vivere in libertà e che quindi per evitare di essere protette si tratta, anche, di spostare il focus, l’attenzione, il discorso, dalla donna vittima all’uomo che agisce violenza?

È vero, si sta cominciando a parlare di “violenza maschile” (prima era solo “violenza sulle donne”), segno che comincia a diffondersi una timida presa di coscienza da parte degli uomini (qualche video, gruppi di uomini consapevoli del problema), ma non è sufficiente finché non si mette in campo direttamente, non si riconosce e non si denuncia chiaramente la responsabilità di chi agisce, così come la responsabilità della cultura che permea fin nelle ossa l’immaginario di  uomini (e anche di donne).

Finché non riusciamo con coraggio a spostare lo sguardo, a coinvolgere direttamente gli uomini, quelli violenti e quelli di “buona volontà”, perché si sappiano interrogare sul problema del rapporto con se stessi e con l’altra, che è anche problema del rapporto con la vita, finché non si riesce in questo scatto di verità, non si faranno grandi passi di civiltà.

Vorrei vedere le testimonianze di uomini maltrattanti che stanno facendo un percorso di riflessione su di sé, diffonderli di più per far capire agli uomini di quanti stereotipi loro stessi debbono disfarsi per una convivenza civile con le donne; e parlo non solo di uomini maltrattanti e violenti, ma anche di tanti uomini “normali”, di quelli che conosciamo direttamente, con cui abbiamo un rapporto, colleghi, amici, mariti, fidanzati, di uomini “pubblici”, giornalisti, politici, intellettuali… C’è bisogno di una presa di coscienza più diffusa perché qualcosa nell’immaginario collettivo possa trasformarsi.

Nella nostra tradizione culturale, sono (quasi) sempre stati gli uomini a dire di noi donne, chi siamo, che cosa dobbiamo fare, quale è il nostro ruolo; non è arrivato forse il tempo in cui anche noi donne possiamo dire degli uomini, chi e come sono, che cosa debbono fare e qual è il loro rapporto nei nostri confronti? C’è ancora troppa timidezza, troppo politically correct per pensare che la situazione possa cambiare, nonostante i provvedimenti legislativi e tutte le energie investite dalle donne per proteggere le loro sorelle; bisogna agire con coraggio e avere la capacità di dire fino in fondo la verità, a costo di aprire conflitti, conflitti per la verità delle cose, se no non ne usciamo. È come se avessimo paura di guardare direttamente negli occhi la realtà, di rompere specchi deformanti nei quali siamo imprigionati, uomini e donne. La verità brucia, ma è venuto il momento di dirla tutta e chiaramente. Abbiamo taciuto troppo e adesso se si parla, come si parla, si rischia di parlare troppo e inutilmente perché il discorso è sviato, spostato, falsato.

Laquestione dei rapporti di differenza è tanto cruciale nel nostro tempo quanto le trasformazioni dovute alla digitalizzazione e alla questione ambientale.

Invito quindi soprattutto gli uomini di “buona volontà” a non nascondersi, ad uscire allo scoperto, ma non per fare discorsi su come proteggere le donne, ma per dire: che ne faccio io della mia aggressività, delle mie frustrazioni, della mia fragilità, della mia miseria, non per sminuirmi ma per recuperare appieno la mia umanità? Solo smantellando stereotipi secolari che ancora agiscono nel profondo – come quello dell’uomo macho che non chiede nulla, che è forte e potente –, solo quando al linguaggio della forza e del potere si potrà sostituire anche quello del sentire, sarà possibile recuperare un dialogo tra uomini e donne nella differenza reciproca, in una possibile convivenza umana.

Solo allora si potrà parlare della nostra società come di società civile.