Dialogo tra Tristana e Barbara
Gennaio 2014
Cara Barbara,
leggendo quanto hai scritto ho pensato a quanta strada abbiamo fatto dal seminario di Diotima del 2012 a oggi.
Mi sembra innanzitutto che molto sia cambiato in termini di autorità tra noi “nate dopo”. Siamo partite dalla considerazione che l’autorità è inefficace quando irrigidisce il rapporto tra generazioni. La relazione maestra-allieva, tra le donne che hanno fatto politica negli anni ’70 e quelle che in quegli anni sono nate, se non si basa su di un’apertura e curiosità reciproche diventa paralizzante. Rende impossibile a noi “nate dopo” vedere le nostre coetanee, noi stesse, o le donne più giovani di noi come possibili portatrici di un agire originale. Finiamo col pensare di essere incapaci di dare vita a qualcosa di nuovo.
A Paestum nel 2012 è iniziato un percorso di cambiamento nel rapporto tra femministe di diverse generazioni. In assemblea fu detto “siamo tutte femministe storiche” e “siamo contemporanee”. Nel gruppo 9 fu messo in discussione il termine “precariato”, facendo valere parole di verità in un contesto in cui il conflitto esasperato aveva portato ad un’impasse generazionale che chiudeva ogni generazione in un’identità fissa e contrapposta.
Proprio alla luce di queste trasformazioni Paestum 2013 è nato con un taglio politico diverso, organizzato da donne che negli anni ‘70 erano appena nate. Ci sono stati dei conflitti proprio tra donne della generazione politica che non ha inventato il femminismo. Da questi conflitti è nato l’incontro di Bologna a dicembre per cercare insieme nuove parole e nuove pratiche politiche.
Questo assolutamente fuori da ogni logica della ‘rottamazione’ o del ‘matricidio’, ma per il desiderio di trovare insieme il nostro punto d’origine. Un punto che mi sembra avvertiamo in maniera ancora non del tutto consapevole e che ci spinge ad incontrarci ancora. La strada per me resta quella dell’autocoscienza intesa come lavoro comune a partire da sé, di scavo nelle nostre vite, dentro i ruoli, dentro la frammentazione, le identità, le promesse, dentro l’attuale smaterializzazione dei corpi e della politica. Uno scavo faticoso che per raggiungere autenticità non deve temere il conflitto tra noi, deve superare la forma del riconoscimento, per andare ad aperture ulteriori.
Insomma la mia idea è quella di un’autocoscienza ai tempi del neoliberismo come campo generale che ci vuole imprenditrici di noi stesse, che trasforma le nostre vite, la nostra sessualità, le nostre condizioni materiali, le nostre relazioni con gli uomini. Qui possiamo trovare il nostro punto d’origine, trovare il modo di forare o schivare il nuovo ordine, tradurre in nuove pratiche politiche la libertà femminile.
Alla base c’è sempre l’esigenza che esplicitammo al seminario di Diotima a Napoli di portare il pensiero e la pratica della differenza nel mondo, di confrontarci ogni giorno con la misura del mondo, di portare il femminismo a partire da noi, oltre noi.
Tristana
Cara Tristana,
questo anno e mezzo è stato veramente denso di cambiamenti e passi decisivi, sembra che siamo davvero entrate in un momento storico preciso in cui qualcosa di essenziale, non ancora pienamente decifrabile, si sta scrivendo.
La scelta di assumersi parte della responsabilità di questa scrittura, ha cambiato molto nella mia vita e anche nella nostra relazione politica. Credo sia iniziato proprio con il Grande Seminario del 2012: assumerci insieme l’autorità di dare un taglio d’entrata rispetto il femminismo degli anni ’70, facendo leva sulla nostra relazione e non sul rapporto con le maestre, ha liberato un movimento generativo tra noi che prima non c’era. Il riconoscimento di autorità tra noi, in una forma orizzontale e circolare, in un andare e venire a stretto contatto con i contesti e gli accadimenti, ci ha rimesse al mondo con una nuova forza e desiderio di agire, prive di quella sensazione di incapacità di cui scrivi all’inizio di questa mail. Ha risvegliato quella percezione che in due si può andare davvero dappertutto.
E così a Napoli siamo partite da noi, lavorando in presenza senza testi precostituiti, con una sicurezza e un’apertura che molto risuonava di autocoscienza, lasciando che le parole sorgessero direttamente dalle esperienze dei nostri corpi; questo ha reso possibile uno spostamento anche per Stefania Ferrando, che ha immediatamente colto la scommessa di un lavoro che sta aprendo percorsi aderenti al nostro qui e ora.
Il primo Paestum io l’ho perso, però attraverso le tue parole è stato un po’ come se un pezzetto di me l’avesse vissuto; e così quando hai iniziato a collaborare all’organizzazione del 2013 ero entusiasta di poter venire, infatti all’appuntamento di ottobre non mi ha fermata neppure la febbre! Sono stati giorni intensi, dove per me sono potute nascere nuove relazioni politiche come con Loretta e Alessandra, ma altrettanto importante è stato anche ritrovare una scommessa femminista radicale con Sara e Laura, donne che ho sempre stimato ma vissuto da lontano.
Sono stati però, come tu scrivi, anche giorni di conflitti tra “noi nate dopo” da cui abbiamo pensato insieme a Stefania Tarantino l’idea dell’incontro a Bologna. Per non tacere e indietreggiare di fronte ai conflitti, ma imparare ad agirli in modo costruttivo e vitale. Poter finalmente parlare tra noi a Bologna, senza nascondersi dietro un dito, fuori dalle gabbie dell’ansia del riconoscimento e del confronto competitivo, è stato muovere i primi passi verso percorsi di libertà che partano dai nostri corpi per andare poi generosi nel mondo. E così dopo quell’abbraccio gioioso con cui ci siamo salutate a dicembre è nata la voglia di incontrarci ancora, per trovare insieme le parole del nostro esserci e del nostro agire politico.
Quello che mi è sempre più chiaro è che se è di politica delle relazioni che stiamo parlando, io ho sempre più bisogno di vederle e viverle queste relazioni, nella forma più autentica e trasparente possibile. Altrimenti di che relazioni stiamo parlando? Bologna è stata una di queste occasioni fertili, e non è un caso che l’avessimo intitolata “confliggere danzando”, perché poi nella notte è venuto naturale ritrovarci a ballare, raccontandoci di noi.
La scommessa ora, come scrivi tu, è proprio quella di creare un tessuto tra la parola “noi” e lo spazio dell’oltre, del mondo, senza che le smagliature che si possono formare, rendano impossibili le differenti trame.
Un abbraccio
Barbara
Cara Barbara,
per me si è trattato di uno straordinario effetto di moltiplicazione. La relazione politica con te, l’emozione dell’incontro con tante donne a Paestum 2012, il conflitto all’interno del gruppo 9, il desiderio di rincontrarsi a Paestum 2013.
In questi giorni ho ascoltato la registrazione dell’incontro di Bologna a dicembre che ho purtroppo mancato. Ascoltando le vostre parole sul separatismo, la relazione con il maschile, la crisi economica, il conflitto, il bisogno di nuove pratiche politiche ho avvertito un senso di spontaneità e libertà. Sul piano di quella che Alessandra Pigliaru ha chiamato la “pratica dell’attenzione” come forma di generosità nella relazione c’è stato un enorme guadagno. Siamo nella direzione giusta, quella di una relazione che evita le manipolazioni nella parola e nell’ascolto, che va verso una trasparenza nel conflitto, superando la competizione, il risentimento. La competizione è la trappola del neoliberismo, se anche la politica delle donne dovesse diventare un luogo di lotta per il potere, di prevaricazione, della “legge della più forte” allora davvero saremmo perdute!
Dall’altra parte per me l’assenza a Bologna delle amiche di Femminile Plurale segnala un problema irrisolto che indebolisce (spero in maniera quanto prima revocabile) il percorso comune di tutte noi. Dall’inizio dell’organizzazione di Paestum 2013 – alla quale io e Stefania Tarantino, guidate dal semplice desiderio di rivedersi, abbiamo preso parte attiva insieme ad altre – tutte abbiamo commesso errori, ingenuità, disattenzioni, colpevole anche la comunicazione telematica che genera equivoci e la fretta con cui abbiamo dovuto organizzare l’incontro. A questo proposito mi hanno molto colpito le considerazioni negative che tutte avete espresso a Bologna sulla discussione del blog di Paestum e sugli effetti deleteri delle conversazioni tramite mailinglist. Queste considerazioni mi hanno fatto ripensare a quanto Loretta scriveva su “Via Dogana” a proposito della difficoltà di creare tessuto politico al tempo dei social network (L’epoca delle connessioni tristi, Via Dogana marzo 2013). Sarebbe importante per tutte mettere a frutto in presenza anche la delusione che Paestum 2013 per molte (organizzatrici e non) ha significato. Solo così potremo costruire la nostra esperienza politica in prima persona.
Qualcosa resta e lo pongo come un compito per tutte noi. Imparare l’arte del polemizzare tra donne significa stare tutte vicino alla propria vulnerabilità che apre nel conflitto a un imprevisto permettendo di superare ogni chiusura identitaria. In questo senso ci tengo a riprendere lo scritto di Angela Putino che avevo citato in assemblea dopo l’intervento delle F 9: «È questa ferita nominata che mi invia al mondo, non devo interiorizzare nulla, non la nascondo, essa diviene luogo di una affermazione innocente. Qui si fa il silenzio di questa guerra. Tacciono i codici e le false misure. Non si sa se è lotta o abbraccio. Qui inizia il conversare in un’ora blu al riparo dalle discorsività già date. E che l’una si appoggi all’altra o che ancora ci si guardi di fronte o anche si rida, questa guerra è uno dei più puri riconoscimenti» (Arte del polemizzare tra donne, “Sottosopra”, giugno 1987).
Solo da qui, dal contatto con la propria vulnerabilità nasce mediazione femminile, solo da qui nascono conflitti efficaci, non distruttivi, che danno forza e predispongono a pratiche trasformative, all’azione.
Spero che presto – forti di queste mediazioni e conflitti efficaci – potremo riprendere a parlare dei desideri di ognuna, di cosa vogliamo che la politica delle donne sia e diventi per noi e per il mondo.
Ti abbraccio
Tristana