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per amore del mondo edizione 18 - 2022

Fuorigioco

Dal diario di “Sguardi orizzontali”, laboratorio di danza e ricerca permanente sulle relazioni familiari femminili

Sguardi Orizzontali è un laboratorio di ricerca sulle relazioni familiari femminili attraverso il movimento e la danza che abbiamo lanciato a maggio 2021. Siamo due danzatrici e colleghe insegnanti di danza, yoga e pilates dell’Associazione Diaria di Palermo.

La danza è per noi una lingua di relazione, la nostra preferita.

Il desiderio di mettere a fuoco le relazioni familiari femminili viene dalla nostra vita: entrambe sentiamo che la nostra personalità è stata profondamente segnata da alcune relazioni, in primo luogo quella con nostra madre, ma anche con la sorella e con la figlia (per Emilia), con due sorelle (per Federica). Volevamo per prima cosa dire grazie alle nostre madri per averci tenuto in grembo, per averci messo al mondo e per averci insegnato a parlare attraverso la lingua materna perché era quello che ci chiamava con più urgenza.

Il laboratorio invita a partecipare coppie o trii di donne di ogni età (dai tre anni) legate da una relazione familiare (per “familiari” non intendiamo necessariamente relazioni tra consanguinee, ma anche, eventualmente, relazioni particolarmente significative con persone scelte, un’amica per esempio).

Nella prima edizione hanno partecipato una ventina di donne, soprattutto giovani madri con figlie bambine dai tre agli undici anni, nella seconda edizione, invece, le formazioni erano diverse: c’erano alcune madri con bambine, due coppie di sorelle, una donna ha partecipato da sola e un’altra è venuta con suo figlio e sua figlia.

Il cerchio si allarga a chiunque desideri starci dentro. Nella prossima edizione ci potrebbero essere anche uomini o persone che non si identificano nel genere femminile o in quello maschile, se lo desiderassero. Tutti e tutte siamo nate da una madre.

Quando abbiamo iniziato a pensare a Sguardi Orizzontali, ancora non era ben chiaro cosa fosse per noi, o quanto meno non era chiaro quanto potente si sarebbe rivelata come esperienza. Siamo partite da noi, dal nostro desiderio di danzare insieme, di danzare insieme alle nostre madri e alle nostre sorelle e figlie e, estendendo l’invito alle nostre amiche a loro volta figlie/madri/sorelle, abbiamo organizzato il primo incontro, articolato in tre giornate di laboratorio.

A dicembre dello scorso anno, ecco che arriva tra le corse delle nostre vite, il secondo appuntamento.  Rispetto al primo sembra avere una natura più intima e matura, forse perché in tutte noi era già sbocciato il seme prezioso e fecondo del primo incontro.

Ma ecco quello che è oggi Sguardi Orizzontali: un laboratorio permanente per indagare le relazioni femminili, attraverso il linguaggio del corpo e della danza (intesa come pratica di movimento), partendo dall’inconfutabile peso che ha il corpo nella vita di tutte noi, come contenitore e tempio di vissuti familiari, come terreno creativo talvolta inesplorato, come tramite tra il dentro e il fuori, come mezzo di guarigione che ti parla se lo ascolti, ma anche come campanello d’allarme in momenti di crisi, dolore e di grandi conflitti con noi e con l’altro/a. Ma soprattutto come innegabile strumento di gioco sempre e comunque a qualsiasi età e sia a livello professionale che amatoriale.

Dal Diario Sguardi Orizzontali di Emilia

MAGGIO 2022

Giorno 1

(venerdì 14 maggio 16.30-18.30 con bambine- Ecomuseo Mare Memoria Viva).

Amare la madre come senso dell’essere, amare la madre come origine della creatività, queste le parole che mi risuonano più di tutte e che mi continuano a chiamare. Cosa vogliono dire davvero? Cosa vogliono dire per me? Perché sento così profondamente che sono vere, se non le so spiegare? Questa ricerca forse mi darà parole per dispiegare, spacchettare, questa verità che brilla viva dentro di me.

Stare insieme a queste donne e bambine mi fa sentire in un luogo sicuro. C’è mia madre. Mancano mia figlia e mia sorella, ma sento che la relazione con loro è presente.

Sono qui con mia madre, ma sono qui anche con Federica. Lei è la persona che permette ai miei desideri di diventare reali. Ragiona con me perché il desiderio diventi realtà. A volte mi punge, la sua personalità ha una definizione, una fermezza, a volte sento la fatica della mediazione, ma la soddisfazione dell’intesa è più forte, anche perché sento che a camminare verso l’altra siamo entrambe, so che anche lei fa fatica talvolta a stare con me.

Cominciamo da un rituale di riscaldamento che confidiamo possa funzionare perché è rodato con bambine di varie età che frequentano o hanno frequentato i corsi di danza di Diaria. Alcune bambine infatti lo conoscono. Nominiamo con filastrocche e suoni tutte le parti del corpo, per sentirci qui ed ora.

Poi camminiamo insieme, cerchiamo un ritmo comune, rallentiamo, andiamo veloce, ci fermiamo.

Camminando esploriamo con lo sguardo lo spazio che ci ospita, l’Ecomuseo Mare Memoria Viva. Siamo in uno spazio all’aperto e grande, in cui lo sguardo può allargarsi, divagare, e c’è una locomotiva, che con la sua massiccia presenza fisica e simbolica crea un paesaggio poetico. All’inizio mi sento emozionata, so di essere in uno spazio sicuro, con persone accoglienti e disponibili all’ascolto, fiduciose, ma proprio per questo non sono sicura di me, so di camminare in un terreno sconosciuto che non so dove potrà portarci; in più, tutte queste donne che stimo, sono qui perché noi le abbiamo chiamate, si sono fidate di noi e temo di deluderle.

Andando avanti, questa sensazione resterà sempre più sullo sfondo. Mi rendo conto che non è così importante la mia prestazione o quella di Federica, che queste giornate le facciamo insieme. Funziona tutto, perché ciascuna vuole stare qui e mettere il suo pezzo in questa storia da scrivere. Dopo avere camminato,  proponiamo un gioco in cui sperimentiamo forme dell’abbraccio: incastriamo i nostri corpi con quello di nostra madre o nostra figlia. Io non sono molto affettuosa fisicamente con mia madre, non l’abbraccio spesso, per cui è particolarmente emozionante danzare con lei la danza dell’abbraccio. Devo pensarlo più tecnicamente come una danza dell’incastro o rischio di commuovermi e sono decisa a non farmi travolgere, devo tenere il timone di queste giornate, e poi siamo solo al primo giorno! Mi colpisce notare che il corpo di mia madre, per quanto forte, è minuto, mi chiedo quando si siano invertite le proporzioni tra noi, quand’è che sono diventata io la più grande? Sento che mia madre non può sostenere tutto il peso del mio corpo, sento che possiamo darci solo una parte del peso. Anche mia figlia, così alta, mi vede minuta come io vedo mia madre? Sente anche lei che io non posso sostenere tutto il suo peso? Osserviamo gli incastri delle altre dividendoci in due gruppi. L’energia saltellante delle bambine piccole crea bollicine di vitalità nell’aria, le braccia delle madri mi sembrano particolarmente larghe e rotonde.

Mi piace molto stare a vedere che soluzioni adottano i corpi lunghi e affusolati, quelli più curvi, quanta superficie hanno da offrire le madri, quanta poca le bambine.

Abbiamo chiesto a tutte di portare una coperta. La coperta è un oggetto infinitamente ricco, è tappeto o tana, è morbida e calda e accogliente, crea fusione, ma anche può diventare una sorta di fune, di ponte, creare distanza, permette di misurare le proprie forze.

Ogni coppia sperimenta diversi modi di giocare con l’altra e la coperta. Poi scriviamo le parole che emergono.

Giorno 2

(sabato 15 maggio 9.30- 14 solo adulte-  Ecomuseo Mare Memoria Viva)

Questa seconda giornata è per le adulte. Non sono venute tutte, il gruppo è più ristretto, ma c’è di nuovo molta voglia di essere qui.

Danziamo a partire da una meditazione respirata che guida Federica, poi ci alterniamo nel condurre un’esplorazione che parte dalla superficie elastica della pelle e scivola sempre più dentro, a trovare la densità dei muscoli e la mobilità leggera delle ossa. Entriamo dentro il corpo fino agli organi interni, sentiamo il cuore alto nel petto che ci spinge avanti. La musica si trasforma in una percussione africana che ci inebria, tutti i corpi intorno a me rimbalzano, sento le mie cellule in movimento frenetico, mi sembra di perderne qualcuna, che svolazzi fuori dal mio corpo. Forse sta succedendo anche alle altre. Forse stiamo perdendo e riguadagnando cellule disperse nell’aria che si posano su di noi, che prima non erano nostre.

Ci prendiamo un bel tempo per parlare in cerchio. Sento il bisogno di avere momenti per fermarsi e pensarsi insieme ad altre donne.

Quello che emerge dalle parole delle altre è molto profondo, sono riflessioni già cominciate da tempo, anche le altre, come noi, hanno cercato e talvolta anche trovato. Sento sempre di più che in fondo stiamo semplicemente offrendo un’occasione per far venire fuori quello che c’è già.

Giorno 3

(domenica 16 maggio 10-13.30 con bambine- giardino di booq)

Questa mattina siamo da booq, una biblioteca di quartiere a me molto familiare. Nel cortile facciamo un riscaldamento attraverso figure di yoga che si possono praticare anche in coppia. Una volta in piedi, cominciamo a camminare per esplorare il meraviglioso giardino di booq: ci sono numerosi alberi di agrumi. Ogni coppia può scegliere il suo albero e considerarlo come una sorta di albero genealogico o la propria famiglia, e scegliere dove posizionarsi e come muoversi. A volte l’intuito delle bambine è più preciso di un lungo ragionamento. Le abbiamo viste arrampicarsi, con o senza supporto della madre, dondolare tra i rami, accucciarsi sotto.

Mia madre ha voluto che ci arrampicassimo entrambe, io temevo per lei, ma lei era molto felice di stare accovacciata sull’albero. Mi ricordo da sempre questo entusiasmo infantile di mia madre, la curiosità di provare più esperienze possibili.

Dopo avere fatto un giro per guardare tutti gli alberi e tutti i posizionamenti scelti, abbiamo proposto due ultimi giochi.

Il primo riprendeva la coperta e consisteva nel dividersi in due gruppi: un gruppo danzava e uno guardava. Le due componenti della coppia dovevano dividersi e danzare per l’altra. Per qualcuna è stata una proposta bellissima che ha permesso di guardarsi con uno sguardo diverso, per altre forse era un’emozione insostenibile, per cui non tutte hanno voluto farlo. I miei ricordi di questo momento con mia madre sono piuttosto vaghi. Questo ci ha ricordato che le persone sono mondi complessi e che è sempre molto importante sottolineare la libertà di fare o di non fare, che si può partecipare anche solo guardando e stando insieme. Nella seconda edizione non abbiamo dimenticato di ribadire questa libertà.

Il secondo consisteva nel dividersi in piccoli gruppi formati da due o tre coppie: a turno ciascuna persona andava al centro e le altre le regalavano “dolci parole sussurrate da indossare”, come per esempio: “piedi di zucchero filato”, “spalle di piume d’oro”, “capelli caramellati”… La persona al centro indossa le parole sentendo come si trasforma il corpo grazie a questi regali. Io mi sento molto allegra, ma sento anche un piccolo imbarazzo.

Infine, ci sediamo in cerchio e parliamo di cosa è stato per noi questo tempo. Vengono fuori lacrime per le madri che non ci sono più e altre lacrime di fatica delle madri di figlie piccole. Forse anche lacrime di sollievo perché siamo qui insieme.

DICEMBRE 2021

Giorno 1

(sabato 18 dicembre h 10.00-13.00 pausa pranzo 14.00-16.00 Ecomuseo Mare Memoria Viva)

Il cerchio comincia e parliamo. Che non ci sono tante bambine si sente subito perché ci sono più parole nell’aria.

Ci riscaldiamo guardando con occhi disseminati su tutta la superficie del corpo. Proponiamo il gioco dei satelliti, un gioco in cui ci muoviamo come se fossimo un’unica galassia, con una persona a turno nel centro e le altre intorno come satelliti che cercano di rimanere sempre alla stessa distanza tra noi. Dobbiamo avere una vista periferica molto acuta per renderci conto se la nostra galassia sta cambiando la sua forma.

Poi rimaniamo tutte in piedi, con l’eco nel corpo di questo ascolto poroso e continuiamo ad ascoltare lo spazio con gli occhi chiusi. Proviamo insieme ad ascoltare i suoni vicini a noi, poi a sentire quelli più lontani e flebili.

Poi facciamo una pausa.

In questo viaggio a partire dai sensi rimaniamo sull’ascolto. In coppie, io con mia madre, cominciamo a esplorare i suoni del corpo: che suono fa la schiena di mia madre se la sfrego, se la picchietto, se la batto (piano!) col palmo della mano o con il pugno?

Anche lei suona il mio corpo e poi ci confrontiamo, ci raccontiamo cosa ci ha colpito: il suono dei capelli, il fruscio sottile dei capelli è il suono che ci ha sorpreso di più.

Dal suono dei corpi, continuiamo ad evocare suoni dell’infanzia: avevamo chiesto di portare con sé un suono, o il ricordo di un suono. Io e mia madre portiamo la stessa ninna nanna che mia nonna cantava a lei, lei cantava a me e io cantavo a mia figlia. Mi emoziono molto nel cantarla con lei, mi stupisce che ricordiamo così perfettamente bene tutte le parole.

Anche le altre portano ricordi molto molto toccanti, canzoncine, suoni o assenza di suoni di genitori che non ci sono più. Ci commuoviamo insieme.

L’emotività si attutisce e si trasforma in divertimento danzando su una musica fatta tutta di suoni urbani o naturali, quotidiani, piacevoli o fastidiosi, che evocano ricordi, drizzano il corpo come la campanella della scuola, o lo rilassano come le onde del mare.

La musica dei suoni si trasforma in un ritmo della tradizione dell’Africa dell’ovest, che risuona nei nostri corpi e ci fa continuare a danzare e danzare e danzare in cerchio come in un rituale. Io e Federica scriviamo parole su fogli colorati che lasciamo sul pavimento: sui fogli scriviamo parole

che riguardano sapori, danziamo salato, piccante, danziamo dolce e amaro.

Pranziamo, abbiamo portato tanto cibo da condividere.

Dopo la pausa pensiamo che è necessario fare un’attività più posata, allora disponiamo sul grande tappeto senegalese una serie di materiali: carta, fili, nastri, colla, forbici, scotch, giornali, stoffe, scatole, perline…

Mettiamo nel centro del tappeto le parole che riguardano il gusto e alcune domande: “che sapore hai?”, “Che sapore avevi da bambina?”, “che sapore aveva/ha tua madre?”. Lasciamo che la nostra creatività ci parli e si esprima rispondendo implicitamente alle domande. Scegliamo su cosa lavorare, cosa creare, ma anche ci lasciamo scegliere dalle cose senza chiederci perché. E’ un modo di lavorare molto particolare, in cui siamo lucide e coscienti, ma anche seguiamo un istinto inspiegabile.

Facciamo un cerchio per guardare cosa abbiamo creato e se ne abbiamo voglia lo raccontiamo. Alcune scelgono di farlo insieme. Alcune notano analogie tra il loro lavoro e quello dell’altra con cui sono venute.

Giorno 2

(Domenica 19 dicembre h 10.30-13.30 Ecomuseo Mare Memoria Viva)

Che bello tornare qui. Mi sento in pace. Arrivano amiche che ieri non c’erano. Cominciamo danzando il “toccare”. Tocchiamo l’aria e il pavimento con ogni parte del nostro corpo, e ne siamo toccate. Lasciamo la nostra traccia vivente sulle cose e anche noi ci lasciamo disseminare di tracce. Tocchiamo anche l’altra, e questo tocco è diverso. La reciprocità è molto più evidente.

Proponiamo poi di giocare a coppie sperimentando oggetti di diversa natura, che creeranno adattamenti diversi: danzare con una bacchetta del ristorante cinese ti richiede una concentrazione estrema; una corda è mobile e sinuosa e crea distanza e l’annulla di continuo, genera occasioni di libertà e di determinazione; la coperta allunga i nostri corpi e li tiene uniti, ma è un po’ troppo avviluppante per me. Trovo col bastone la giusta distanza con mia madre: siamo collegate e dobbiamo muoverci in ascolto o il bastone cadrà, ma ognuna ha il suo spazio.

Vedo che ogni coppia ha giocato in un modo diverso, ha trovato le sue strade, ha usato un solo oggetto, o tutti insieme. Soprattutto le bambine più piccole si divertono a imprigionare le madri, a costruire per loro casette dove stare insieme.

Facciamo una pausa, e alla fine ci mettiamo in un grande grande cerchio. A turno entra ogni coppia, e tutte noi regaliamo alcune parti del corpo con sapori, profumi e consistenze molto speciali. In un cerchio finale ci raccontiamo cosa abbiamo vissuto.

Abbiamo vissuto tanto.

Dal Diario Sguardi Orizzontali di Federica

Giorno 1

(venerdì 14 maggio 16.30-18.30 con bambine- Ecomuseo Mare Memoria Viva)

Apriamo all’aperto con un grande cerchio di donne e amiche, madri e figlie di tutte le età. Oggi mia madre non è presente, si unirà a noi sabato e domenica. Forse per questo mi percepisco un po’ dentro e un po’ fuori dal lavoro che via via proponiamo. Il mio sguardo non è ancora del tutto orizzontale o almeno credo. So comunque che cosa verrà e non affronto rischi e sorprese del processo di indagine. Mi rivedo però in tanti piccoli gesti e atteggiamenti che osservo. Il ruolo di osservatrice e promotrice di idee ancora prevale.

Il tempo è sereno, risvegliamo insieme i nostri diversi corpi e danziamo uno spazio per tutte nuovo. La danza a coppia degli abbracci mi commuove particolarmente. Ritrovarsi nei vuoti dell’altra è un’esperienza piena di sensi.

Ricordo coperte diventare navicella spaziale, cordone ombelicale, casetta, nido, trappola e letto sicuro.

All’inizio il pavimento era duro, ma la nostra presenza lo ha reso soffice preparando un caldo terreno in cui tuffarsi il giorno successivo. Domani arriverà mia madre.

Giorno 2

(sabato 15 maggio 9.30- 14 solo adulte- Ecomuseo Mare Memoria Viva)

Oggi è una giornata meravigliosamente lenta, mi sembra quasi una pausa da tutti gli impegni della vita, anche da questo. Pratichiamo con pazienza la presenza nel respiro nel corpo e intraprendiamo la meditazione del camminare. Danziamo insieme strato dopo strato dalla pelle agli organi profondi. Non mi ero mai accorta quanto fosse fertile il terreno creativo di mia madre, ogni piccolo seme che getta oggi mi sembra incredibilmente originale e inedito e poi danza benissimo, soprattutto se il sottofondo è un po’ tribale.

Giorno 3

(domenica 16 maggio 10-13.30 (con bambine- giardino di booq)

Riscaldamento nel cortile di booq con bambine e adulte.

L’oggetto magico della coperta. La coperta delle altre la vedo, la mia la sento sempre addosso. Mia madre mi dedica una danza. Un dono speciale e unico, un atto d’amore e di cura tutto per me. Ha fatto tante cose per me, ma è la prima volta che danza solo per me. Sento che insieme rinasciamo una seconda volta attraverso la sua danza.

Nel giardino di booq: scegliere un albero che ci racconta. Il nostro albero ci ha fatto abbracciare per tanto tempo.

La danza dei doni: lancia un dono da indossare. Un bacino di conchiglie o smeraldi, dei piedi di nuvola, delle scapole di chewing gum, schiena cuscino, bocca di rose ecc.

QUALCHE FOTO DELLE PAROLE DONATE:

Dicembre 2021

Giorno 1

(sabato 18 dicembre h 10.00-13.00 pausa pranzo 14.00-16.00 Ecomuseo Mare Memoria Viva)

Desideriamo indagare il nostro tema, le relazioni familiari femminili, a partire dai cinque sensi. Chiediamo di portare con sé un suono o la memoria di un suono a cui siamo legate. Esempi: un suono riproducibile da condividere con le altre, una canzoncina da cantare, oppure il suono di un piccolo carillon, o anche un suono naturale da ricreare facilmente. Come il crepitare di foglie secche o il suono dell’acqua…

Se si tratta di un suono del passato, portarne il racconto, si può condividere, senza forzare in alcun modo la propria intimità.

Cerchio, presentazioni e storie sui suoni dell’infanzia portati. Percorso attraverso i sensi. Esploriamo lo spazio che ci accoglie prima con lo sguardo poi con diverse parti del corpo, nello spazio mi perdo e mi ritrovo.

Manteniamo uno sguardo ampio, includendo nella visione tutto ciò che non è incluso direttamente nel nostro campo visivo.

Ci fermiamo in un grande cerchio, inizia il gioco dei satelliti.

Cerchiamo di rimanere unite e a muoverci insieme anche nella distanza. Come satelliti danziamo, provando a percepirci come un unico corpo celeste. Chiudiamo gli occhi e riportiamo l’attenzione nel silenzio ai suoni della realtà, quelli che da lontano giungono vicini e quelli che dentro di noi o vicini a noi possiamo provare ad allontanare.

Come un grande corpo celeste ci muoviamo insieme nello spazio. Siamo connesse l’una all’altra un filo invisibile ci lega, ci avvicina e ci allontana.

Massaggio sonoro: a coppie facciamo suonare il corpo dell’altra, creando un piccolo dialogo di suoni. Io suono il corpo di mia madre e di Daniela. Un dialogo a tre intimo e profondo.

Sentiamo i suoni dell’infanzia e tante memorie sonore ci riguardano e accomunano i nostri vissuti. Tra tante rimane vivo il ricordo di: memorie di stoviglie in cucina, passi che parlano, un fischiettìo familiare e una ninna nanna materna.

Lo strisciare del dito, vicino all’orecchio è il suono delle coccole sotto le lenzuola. E ancora sembra unire tutte noi il suono delle onde del mare.

Parte la traccia dei suoni, danziamo i suoni che arrivano.

Rituale tribale: la danza dei sapori. Seminiamo nello spazio scritte in dei cartoncini colorati le parole e i verbi del mangiare. I nostri corpi, su un sottofondo tribale, assumono nuove forme e evocano diverse energie che quasi ne plasmano la materia, modificandola via via. Pausa pranzo.

Nel pomeriggio ci dedichiamo alla creazione di un oggetto, un manufatto che prova a rispondere con l’atto creativo a delle domande poste sottotraccia, come uno sfondo dentro di noi. Proviamo a visualizzare le emozioni e i ricordi che emergono dentro di noi per metterli fuori da noi, li osserviamo e ne parliamo.

Giorno 2

(Domenica 19 dicembre h 10.30-13.30 Ecomuseo Mare Memoria Viva)

Riscaldamento attraverso il tatto. Tocchiamo lo spazio con il corpo.

Danziamo il gusto. Seminiamo lo spazio di parole sul mangiare e farle sentire al mio corpo.

Danziamo con oggetti diversi in coppia.

Concludiamo con una danza rituale di gruppo in cui doniamo organi e parti del corpo associando parole del mangiare. A turno le coppie al centro ricevono i doni, li indossano e li danzano. Cerchio di chiusura e considerazioni. Ecco le mie: vecchi e nuovi sguardi si sono incontrati, scoperti e riconosciuti, dando vita ad un’occasione di indagine profonda, un’esperienza rara di ascolto e condivisione, che ha cambiato la mia visione su relazioni e cose. Fatti, circostanze e verità dopo Sguardi Orizzontali mi sembrano cambiare incredibilmente. La mia relazione con Emilia, sorella di vita e di lavoro, cambia. Cambia quella con mia madre con cui ritorno compagna di gioco, come me fragile e vittoriosa, come me piena di idee su di sé ma anche di vuoti di senso da colmare. Ho sempre ben salda e chiara la sua figura al mio fianco, ma è come se dopo questa esperienza insieme, qualcosa di veramente molto fisico, (come un suo piede dal passo curioso, quel tratto di pelle liscia e setosa sulla sua guancia, una sua mano ruvida e vissuta che sbuccia e l’altra calda e morbida che offre e assaggia, la sua voce sincera spezzata dall’emozione, il tentativo di una sua lacrima di non uscire, che è poi il preludio di una cascata liberatoria di lacrime) si sia radicato fortemente in me e risuona potente e orgoglioso ogni giorno, in ogni nuova occasione di scambio e incontro con l’altro e l’altra.

Cambia anche la mia relazione con la danza, che oggi è più che mai una pratica di esplorazione e ricerca del sé, ma anche filo che silenziosamente tesse, unisce e ricuce, sganciandomi definitivamente da quella insopportabile impronta che la mia mente ogni tanto mi ripropone, quale disciplina che è appannaggio di pochi ed eletti corpi. Così rimetto a fuoco una serie di grandi e piccole cose che riguardano il mio rapporto con la danza, il grande senso che assume come strumento per perdersi e ritrovarsi nelle storie mie e delle altre, generando così sinceri rituali condivisi.

Dal Diario di Sguardi Orizzontali di Anna

Sebbene sia difficile ripercorrere le sensazioni e l’esperienza del primo laboratorio, proverò a farlo. L’invito a fare questa esperienza mi è sembrato accattivante, quindi ho accettato subito e ben volentieri, consapevole che sarebbe stata “impresa” a dir poco inusuale il mettermi in gioco con il mio corpo e la mia mente, abituata a “espormi” soprattutto con le parole.

L’ho presa come un’opportunità irrinunciabile e le incognite non mi creavano alcun disagio, anzi mi piaceva l’idea- da mamma e da donna – di farmi trascinare in “un balletto di giochi”. Il primo momento: camminare concentrandomi su ogni passo fatto e su ogni parte del piede che poggia per terra.

Camminare in quel momento, spinta dalla suggestiva e confortante voce di Fede e di Emilia, che leggevano passi e poesie, mi ha condotta a impadronirmi dei miei piedi come strumenti per entrare in contatto con il suolo che, nonostante la durezza, diventava sempre più accogliente quasi un tutt’uno con il mio corpo.

Sebbene fossi concentrata su di me, sul mio desiderio di migliorare il mio passo, lo sguardo era confortato dalla presenza delle altre, dal loro girovagare libere.

La consapevolezza del movimento del mio corpo mi generava una leggerezza inusuale mista a stabilità e solidità.

Gli ingredienti di questo primo momento sono stati la leggerezza e la solidità, il corpo e i corpi, la mente sempre presente e attiva.

Secondo momento: Fede ed Emilia ci hanno invitato a fare emergere alcune parole del nostro vissuto.

All’inizio il nulla. Ho faticato a trovarle, convinta che forse non ero stata capace di custodirle, per superficialità da giovane o per via della frenetica ma bella quotidianità da adulta. Ma la freschezza e la profondità delle parole delle mie compagne mi hanno condotta a rintracciarle nel mio passato lontano e in quello recente.

Tutte le parole avevano una caratteristica: erano semplici, ma risuonavano nella loro autenticità nel racconto di ognuna di noi. Mi sono affiorate parole e immagini che hanno attraversato la mia vita e mi hanno accompagnata fino ad oggi: mare, mio padre, sole….

Ho notato che, durante tutto il laboratorio, ho spesso provato una sensazione di piacevolezza nel lasciarmi andare alle suggestioni di volta in volta proposte. Sensazione che ha sostituito l’iniziale perplessità, generata dalla consapevolezza dei miei limiti nell’attivare l’immaginazione e la fantasia, necessarie per aprire le porte della memoria e del corpo attraverso il gioco.

Così la proposta di donare all’altra e/o ricevere dall’altra “oggetti” da indossare con cui “danzare”, mi ha arricchita, alleggerita, facendomi muovere senza pensare ai miei movimenti che, per la loro obiettiva goffaggine, mi avrebbero reso immobile.

Il secondo giorno fra gli alberi di booq: passeggiare con Fede, prestare attenzione agli alberi e alle loro forme che ci interrogavano e ci parlavano, fino a trovare quello più adatto ad accoglierci e a rendere più speciale il nostro abbraccio.

Il tempo lento, quel piccolo scrigno verde nel cuore della città, lo sguardo orizzontale tra me, Fede e le altre: il riappropriarsi di una dimensione altra, tanto naturale quanto inusuale. Ultimo momento: culmine delle emozioni tra memorie, presente, lacrime e gioie. Gli sguardi orizzontali si chiudono in un cerchio. Il cerchio non era solo fisico, almeno tre generazioni di donne si guardavano, si ascoltavano e le sensazioni di ognuna diventavano doni per le altre

Grazie ad Emilia, a Fede e alle Altre compagne per questa piccola ma preziosa avventura.

Laboratorio di dicembre

Al secondo appuntamento mi sono presentata curiosa e perplessa, perché mi chiedevo che altro ci avrebbero potuto proporre Fede e Emilia e soprattutto….. impreparata alla consegna. Nonostante mi fossi impegnata, non ero riuscita a far riemergere i suoni familiari.

Anche stavolta, però,”gli sguardi orizzontali” hanno fatto la loro parte.

L’ascolto delle altre compagne mi ha consentito di ripensare ai passi frettolosi di mia madre e ai rumori di cucina di quando lei era giovane e al suo bisbiglio mentre diceva il Rosario da anziana. Ai rumori di piatti e stoviglie si è aggiunto il profumo delle pietanze.

Mi rendo conto che riesco a “pensarmi” sempre come figlia e non come madre. Rimane, comunque, la mia difficoltà a scavare nella memoria: mi chiedo, non trovo, mi deludo, infine, dopo un pianto liberatorio, riprendo stralci di memoria, mi ritrovo nella narrazione delle altre, mi commuovo, anche troppo… e infine una sensazione di piacere mi assale. Percepisco questi momenti come occasioni per vedere, pensare e interpretare l’ordinario come qualcosa di straordinario.

Ciò che, ripetendosi nella quotidianità, sembra non avere valore, nella restituzione a se stesse e alle altre compagne si arricchisce di senso condiviso.

Il momento degli oggetti e la danza di relazione (siamo io, Fede e Daniela). Prima entra in campo il tatto: gli oggetti sono ordinari, poveri, freddi, rigidi, flessibili, caldi; possono essere usati per agire forza, violenza, per dividere, ma sono anche protettivi, aggreganti, giocosi.

E’ il gioco di relazione, materno, filiale e amicale, a trasformare la materia/l’oggetto e consente di trascinarci in un piacevole movimento di corpi, menti e anime.

Mi sembra di essere in un girotondo di sorrisi sonori e abbracci gustosi: un tripudio di sensi in cui m’immergo recuperando la mia dimensione di mamma e di amica.

Il momento della creatività: come ritagli, scarti di vario tipo ti aiutano a raccontare ciò che hai sperimentato, provato e imparato.

Dal caos emergono tante piccole opere d’arte ricche di messaggi per ciascuna di noi. Come sempre, all’inizio il nulla, cammino e rovisto tra “gli scarti” guardo le altre che lavorano alacremente… Poi acchiappo una foto con un gruppo di persone disposte in cerchio, che assimilo ad una torta, due immagini che raffigurano danzatori e danzatrici in movimento, e una cartuccia che ha contenuto le pile Duracell.

Ne viene fuori il racconto per immagini della magia di questi due giorni: la dolcezza, il movimento con i corpi e con le menti, gli sguardi orizzontali che si chiudono in un cerchio e la sensazione che con questi ingredienti “Resistere si può”.

Ne esco carica di emozioni, di memoria, di giochi, ma di una leggerezza inspiegabile.

Dal Diario di Sguardi Orizzontali di Irene

Sguardi Orizzontali, Laboratorio sulle Relazioni Familiari Femminili attraverso il corpo e la danza, è stato per me un momento particolare. Ho partecipato sia a maggio che a dicembre, e la mia familiare è stata mia figlia Emilia che ha una grande passione per la danza.

Sono passati mesi e le impressioni, pur essendo vaghe, hanno lasciato in me qualcosa di indefinito, come quando leggo un libro e dopo tempo più della trama ricordo le atmosfere, le emozioni, le sensazioni.

Molti momenti erano dedicati alla danza libera, con soltanto qualche tema o suggerimento. Ho capito che tutti i suoni si possono danzare, anche quelli strani. Quando ero bambina il mio sogno era di fare da grande la ballerina. Ora ho più di 70 anni e con Emilia ho ritrovato questo desiderio e il piacere di danzare, ma durante il laboratorio mi piaceva molto guardare le altre, soprattutto le giovani mamme con le loro bambine.

Sia nel primo che nel secondo laboratorio si dava molta importanza al contatto fisico. Non sono una madre che bacia e abbraccia continuamente. E poi, causata dalla proibizione di toccarci per non infettarci, mi è stato negato anche quel poco che c’era. Ricordo quindi con gioia il primo gioco: dovevamo trovare spazi tra le piegature del corpo, nel braccio appoggiato al fianco, nel triangolo tra le gambe un po’ divaricate, ma anche attorno alla vita, al collo… La cosa più bella è stato l’infinito sorriso di Emilia che mi guardava.

Tra le cose che c’è stato chiesto di portare c’erano un quaderno e una penna: ogni tanto dovevamo scrivere pensieri. Ho cercato il mio quadernetto, ma sono sempre stata estremamente sintetica e gli appunti sono così brevi che risultano ermetici. Solo una frase è scritta chiaramente: la creatività più che materna è femminile. Ricordo che si era parlato di creatività, che tutte, come sempre, hanno espresso il proprio pensiero, nessuna si tirava indietro, c’era molta voglia di partecipare, di condividere. Inizialmente la creatività era stata legata alla maternità, poi però a poco a poco dalla madre si è passati alla donna e in quella frase che ho segnato c’era quello che mi è piaciuto di più. In quelle spensierate giornate ci sono stati momenti di gioco, per esempio con la coperta che copriva e nascondeva o nella costruzione di un collage (spesso tridimensionale) con ritagli di giornale, nastri, piccoli oggetti, con il quale dovevamo dire qualcosa di noi. Nel secondo laboratorio protagonisti sono stati i cinque sensi, non solo il tatto. Il primo è stato l’udito, un ricordo di un suono a cui eravamo legate. Ho cercato qualcosa che mi legasse a Emilia. C’era una ninnananna che le cantavo sempre, ma la cosa più bella è stata che anche lei aveva pensato alla stessa canzoncina. Un’altra volta protagonista era il gusto e dovevamo rappresentare i sapori, esprimere con i gesti del corpo il dolce, il salato, l’amaro; tutte con entusiasmo avevamo voglia di raffigurare quello che sentivamo al ricordo di quei sapori per mostrarlo alle altre. Tutto questo ha rafforzato il mio pensiero che per stare bene sia necessario giocare, sorridere, ridere.