Connesse. La politica in rete – 1. La terza navigazione
* Traccia della relazione tenuta il 8/10/2004
Introduzione al seminario: Agire, patire la politica
Voglio partire dal testo che credo tutti abbiamo letto e che presenta il seminario di quest’anno[1]. Mi ha colpita leggerlo e mi ha fatta riflettere, lo fa ancora. Da un lato quello scritto mi è venuto incontro con una parola che ho sentito subito liberatoria e rispondente: il patire la politica.
Quell’espressione ha dato nome a qualcosa che sentivo, e proprio nella forma, riconosciuta in quella presentazione, del negativo che scava. La politica si è abituati a pensarla come dimensione dell’agire, è ciò vale ancor più per me, che tendo ad essere “arendtiana” in politica. Si esalta così la dimensione dell’attività, dell’attivismo politico, e tutto ciò è vero. Personalmente sento di fare politica quando agisco, sono attiva, prendo l’iniziativa, metto in moto le cose, le relazioni, il mondo, sposto ciò che mi è dato.
Ma è vero, ora massimamente, che la politica si può vivere nella forma del patire. Del sentimento di ciò che ci colpisce dolorosamente da fuori e ci fa sentire la nostra impotenza, il limite che il mondo, gli altri ci pongono. Ci fa avvertire il punto dove siamo e dove possiamo anche restare schiacciate. Questo patire non è il contrario della politica. Il punto dove questo patire insiste, infatti, non è diverso da quello dove si innesca l’agire. Forse è questione di senso. Il senso, la direzione, da cui viene il patire e quello in cui va l’agire sembrano contrari. E l’altro significato che ha “senso” non è estraneo a ciò che può cambiare il punto che patisce in un punto di leva, perché è lì, precisamente in quel punto di insistenza, dove tocchiamo il mondo e il mondo ci tocca. Anche il testo di presentazione mostra questo movimento di mutamento di senso, parlando di quelle pratiche che trovano faticosamente il modo di esprimere quel che si sente in questa passione, e delle quali parleremo qui, nel seminario di quest’anno. Pratiche che non stanno schiacciate nello scacco anche se lo avvertono. Che nominano anche il patire come politica.
Questo si lega ad un altro diverso sentimento che ho provato alla lettura, nel momento in cui lo scritto dice di uno scacco della politica delle relazioni, quando, ed è il nostro presente, l’altra politica, la politica nel suo senso corrente, pare trionfare nella sua forza. Anch’io sento di patire per questa politica della forza, e patisco il senso di impotenza che questa riverbera sull’altra, quella che faccio e in cui confido.
Ma, appunto, confido. Sento che non posso sfuggire a quel patire, ma che questo patire non annienta il mio agire. Sento in corso un conflitto che verte proprio su questo, sul senso, le forme, le pratiche dell’agire politico. E avverto anche che ci sono molti segni di una realtà in movimento verso quel senso che mi risponde di più.
La politica in rete
La pratica di cui parliamo oggi, quella della politica nella rete, che abbiamo intrapreso da non molto tempo, non è estranea a questo sentimento più positivo.
Ricordo che quando si è parlato, in preparazione di questi incontri, di scacco della politica io e Barbara eravamo invece speranzose e fiduciose perché sentivamo di avere davanti a noi uno spazio di agire politico da sperimentare e praticare. Parliamo quindi di una pratica politica che abbiamo appena iniziato, e che forse ha lo splendore degli inizi, avendo però anche le difficoltà, le ingenuità e l’inesperienza degli inizi. L’agire politico di cui parleremo è in gran parte, forse la maggiore, ancora da fare, sta nella speranza, nel sentimento della possibilità, nella sfida. Nella fase di riflessione comune che abbiamo avuto, nel confrontarci con quanto è stato fatto e detto circa la politica nella rete e la presenza delle donne in internet, ci siamo accorte di quanto esista, di quanto sia già stato tentato, praticato, persino di cose che sono state fatte e sono fallite o hanno deluso. Ci siamo accorte di scelte che abbiamo fatto inconsciamente, e di come queste fossero giuste, coerenti con la nostra politica, ma anche di vie che avremmo potuto imboccare e non abbiamo fatto, e di altre che vogliamo percorrere… quindi molto di ciò di cui prendiamo a parlare sta in quello che ancora desideriamo da questa pratica politica, da quello che vorremmo e verso cui cercheremo di muovere.
Non è solo l’entusiasmo, peraltro moderato, delle neofite che ci fa parlare. Sia l’esperienza che abbiamo maturato, sia le riflessioni che abbiamo fatto prima, durante e ora sollecitate dal seminario, ci fanno pensare che le trasformazioni portate dalla rete abbiano una enorme portata e potenzialità politica, e che quel conflitto sul senso della politica che dicevo trovi nella rete un terreno di battaglia e di azione cruciale. Non è certo un’affermazione nuova, la consapevolezza delle implicazioni e delle potenzialità politiche della rete è ormai senso comune. Su questo esistono non solo riflessioni, ma teorie e pratiche consolidate, da molte parti. Non parlo della discussione, che pure c’è stata, tra quelli che pensavano alla rete come uno strumento per rendere più efficiente le forme della democrazia rappresentativa, alle nuove forme di partecipazione e ad una sorta di cittadinanza informatica. E nemmeno alle questioni del controllo della rete, alla sindrome da grande fratello, alla questione della privacy e così via. Tutte questioni di estremo rilievo, comunque. Penso piuttosto a quel fenomeno di utilizzo massiccio della rete da parte dei movimenti che è diventato a tutti noto soprattutto dopo Seattle, e che da allora si è esteso e potenziato. E’ intorno a questa massiccia e diffusa appropriazione della rete da parte di soggetti che praticano forme di politica non istituzionali e non rappresentative che si sono sviluppate sperimentazioni politiche ed elaborazioni che qui mi interessano di più.
Dare un quadro di quel che è stato pensato e fatto in questo ambito sarebbe impossibile in questa sede, soprattutto per quest’ultimo aspetto delle cose fatte. Pensando a questo incontro, ma anche cercando spunti per quello che avevamo in mente, ho molto navigato in siti di movimento, femminili e no, e in altri dedicati proprio ad un utilizzo politico della rete, e ho letto parecchie cose sul tema riportanti esperienze specifiche di attivismo politico informatico. E’ davvero impressionante la quantità e varietà di esperienze esistenti, e ancor più l’energia e la creatività politica che sono state messe in campo.
Anche senza riferirsi all’hacktivism o alla cosiddetta guerriglia informatica, che agiscono al livello stesso del conflitto sulla rete e sul suo linguaggio, e che devo dire trovo estremamente interessanti ma prevalentemente legate ad una sorta di modello elitario vagamente virilista, come l’etica hacker (per quanto il discorso dell’uso di programmi open source sia cruciale e io rimpianga di non aver ancora optato per questa scelta), esistono una quantità di esperienze politiche centrate sull’uso del web.
Sebbene molte sperimentazioni, penso soprattutto a quelle delle reti civiche o alla costruzione di comunità virtuali, si siano rivelate nel corso del tempo al di sotto delle aspettative e delle speranze, a volte portatrici di una forte vena utopica, alcune esperienze sono ormai vere e proprie infrastrutture della politica dei movimenti. Basti pensare alla rete indymedia, per parlare in generale, o a siti femministi che sono diventati essenziali per le informazioni che rendono disponibili, ma soprattutto per i links che offrono a tutta una serie di altri siti. Per limitarsi all’Italia ricordo quelli che penso tutte conosciamo come il Server donna, la rete Lilith, o anche il sito della Libreria delle donne di Milano o quello di il paese delle donne o ancora a DeA. Una delle prime cose che abbiamo dovuto fare, ad esempio, è stata pensare a come inserirci in questa rete esistente attraverso un sistema di links e di incroci di links (pratica di relazione effettiva e niente affatto semplice, come dimostra la circostanza che questo obiettivo è ancora per noi lungi dall’essere raggiunto).
L’esistenza di una vera e propria nuova sfera pubblica informatica è insomma una realtà politica, che si impone alla riflessione sulla politica, oltre che alle modalità dell’agire politico.
Su questa straordinaria trasformazione, che ha la portata di una rivoluzione, e non a caso è uno degli aspetti qualificanti di quella che è detta la terza rivoluzione industriale, le riflessioni teoriche sono piuttosto concordi. Passato il tempo degli entusiasti e degli apocalittici ormai si guarda al fenomeno con più realismo, ma è il realismo di una realtà in movimento e in conflitto.
Tutti concordano su quali siano gli aspetti della rete che risultano più dirompenti per l’affermarsi di nuove forme di interazione sociale e politica: l’abbattimento delle distanze spaziali e temporali nella comunicazione, la possibilità di saltare le tradizionali forme di mediazione, la diffusione capillare e l’accessibilità che per molti versi supera anche alcune disparità di reddito tra soggetti e paesi, il carattere globale che però si pone come una nuova “universalità senza globalizzazione” (Levy), l’impossibilità di un controllo effettivo della rete nonostante i vincoli che le si pongono, la messa a disposizione di una mole di informazioni da parte di nuovi soggetti, il venire in contatto di realtà lontane e differenti sulla base di diverse costituzioni di identità, la costruzione di comunità virtuali, la facilitazione e modificazione delle forme di relazione, lo spostamento dei confini tra pubblico e privato, nuovi modelli di vita, consumo e lavoro, la creazione di inediti contesti di comunicazione, l’affermazione del virtuale, del cyberspazio, il venire in primo piano di nuove competenze e dell’intelligenza collettiva, l’interazione e interconnessione generale che sembra mostrare un nuovo modo di presenza dell’umanità a se stessa, la modalità di relazione per contatto rispetto a quella generalizzante…. e così via.
L’aspetto che qui mi preme di più, e che per certi aspetti rappresenta quasi una sintesi di questi, è il fatto che con il web per la sua stessa natura si afferma potentemente una forma organizzativa a rete rispetto alle forme gerarchiche e centralizzate. Quel che è in corso è insomma una sorta di vera rivoluzione di paradigma, il modello della rete, dell’orizzontalità delle relazioni, del contagio e del contatto sembra diventare dominante rispetto al modello della gerarchia, della centralizzazione, dell’identità totalizzante. Il bazar, per usare la celeberrima metafora, vince sulla cattedrale[2].
E’ una trasformazione la cui valenza politica è ovviamente enorme, e non si tratta certo di una cosa che sia passata inosservata, muovendo speranze e paure (e in mezzo a queste una significativa quantità di sciocchezze).
Ovviamente a una come me, e a molte donne prima di me, l’affermarsi di questo modello reticolare non poteva che giungere benvenuto. L’adesione femminile all’immagine della rete è stata infatti forte (basti pensare al successo di Haraway) e forti sono state le speranze e gli entusiasmi, superando anche una tradizionale ostilità femminile per le tecnologie. La grande utenza femminile di internet, se non ancora la grande presenza sul fronte di quelle che possiedono le competenze tecnologiche per programmare in prima persona, testimonia di questa simpatia e sentita rispondenza della tecnologia.
Va detto, comunque, e va sottolineato decisamente, che alcune delle speranze iniziali sono andate deluse. Molti osservatori e anche molti che si sono impegnati nella politica in rete (persino Bifo!) si stanno esprimendo recentemente in questo senso. Ma io penso in particolare allo scritto di una donna, Janelle Brown, che già nel 2000 si chiedeva che ne fosse stato dell’annunciata rivoluzione politica femminile in internet, visto che la stragrande maggioranza dei siti femminili era dedicato in buona sostanza a oroscopi, gossip, bellezza, salute etc… Non che disprezzi il valore della diffusione di siti come questi, personalmente navigo ore in siti di cucina con grande soddisfazione mia e dei miei ospiti, e inoltre ritengo che il giudizio di Brown sia ingeneroso (visto che sono decisamente molte di più le ore di navigazione richieste per seguire un po’ quel che avviene nella miriade di siti di movimento, di politica delle donne, per non parlare della filosofia e delle riviste in rete!), ma resta che quella domanda non è affatto da sottovalutare. Come che sia, la sintonia femminile con la tecnologia informatica, per quanto nel momento in cui questa si è fatta “amichevole” consentendo di porsi nella posizione di mere utenti, è scattata.
Al punto che persino noi filosofe, con la nostra predilezione per la carta, infine la abbiamo sentita quella simpatia, anche se bisogna ammettere che Diotima è entrata in rete con grande ritardo. E, circostanza su cui voglio attirare l’attenzione e tornerò, grazie alla spinta di una relazione politica reale, quella con le donne della Libreria di Milano, e in particolare con Sara Gandini e Lara Colombo, le webmothers del loro sito. Platone usava per la filosofia l’immagine della “seconda navigazione”, quella che, caduto il vento, si pratica a vista con le proprie forze e mettendosi ai remi, e che porta ad avventurarsi in una dimensione che va oltre ciò che è sensibile. Non dovrebbe sembrar poi così strano per la filosofia intraprendere nella dimensione dello spazio virtuale la sua terza navigazione.
A partire da noi
Di alcuni aspetti più precisi della nostra esperienza nel far partire e gestire il sito di diotima parleremo poi, abbiamo già presentato il sito e speriamo che molte di voi già lo conoscano. Voglio dire solo di alcune riflessioni di carattere più generale, tra le tante di cui io e Barbara abbiamo discusso.
La prima riguarda le speranze con cui siamo partite, e che devo dire non ho abbandonato, anche se l’impatto con il virtuale mi ha dato paradossalmente un impatto di realtà.
La speranza veniva proprio dalla promessa di questa immagine della rete: la rete sembrava essere addirittura una metafora della politica delle donne, politica delle relazioni, reticolare. La ragnatela dei rapporti politici e personali che tiene la mia vita, quella di tante, mi sembrava potesse trovare la sua forma di espressione rispondente.
Quanto, ricordavo, si era tanto discusso sulla forza dei contatti, del contagio di tipo metonimico per dirla con Luisa Muraro, sembrava poter trovare un meccanismo potenziante e moltiplicatore, per catene ancora più lunghe, per arrivare ancora più lontano.
Così pure il passaggio dal locale, il puntuale, al globale che la rete prometteva mi richiamava l’azzardo nella forza simbolica della fiducia del partire da sé: questa esperienza, questo pensiero, questa parola qui a partire da sé, si lancia in rete. C’è una sorta di etica del dono nel rendere disponibile qualcosa in rete: forse qualcosa verrà restituito, forse no, ma quel che si lancia è un amo per la relazione
Inoltre la grande importanza del simbolico nella forma comunicativa della rete, il fatto che quel che vi avveniva appariva proprio una sorta di grande gioco simbolico, era un altro elemento di somiglianza. Mi sembrava che anche se mancavo di un’esperienza e di una competenza tecnologica specifica avevo però un’altra competenza da giocare, quella maturata con la politica delle donne.
In poche parole: la scommessa era, ed è, quella di mettere la rete nella rete.
Funziona? Sì, ma è davvero una scommessa, e la partita sta proprio nel rapporto, nel passaggio tra le reti, quella della politica delle donne e quella del web. Questione che costituisce il punto chiave di quanto vogliamo discutere con voi in questro incontro, nel corso del dibattito.
Cosa penso di aver imparato, in questo periodo di esperienza, anche se è breve e ancora appena sperimentato? Che le cose non sono affatto facili, ovviamente, anche in questo caso tra virtualità e realtà il passaggio non è per nulla né scontato né tantomeno garantito. Ci sono delle difficoltà, molte, e non sempre lì dove le si immagina o le si teme.
- Ad esempio temevo una difficoltà riguardo il limite rappresentato dal fatto che la rete delle relazioni tra donne è molto fisico, corporeo, contestuale, a prima vista tutto l’opposto di quanto accade nella dimensione del cosiddetto cyberspazio. E’ un timore che si è dimostrato fondato, c’è della diffidenza femminile molto radicata che testimonia di una forte resistenza a concepire relazioni nello spazio virtuale, una resistenza che ha buoni, anzi ottimi, motivi. Molte hanno sollevato obiezioni in merito, e devo dire che ne condivido alcune ragioni, tuttavia penso che parte di questa resistenza dipenda dalla fantasia di una sorta di sostituzione delle relazione reali con quelle virtuali, una fantasia che peraltro è stata molto alimentata dall’eccesso di molte delle utopie e distopie che l’avvento del web ha indotto. Nei fatti ciò che si è verificato è stato che le relazioni in rete, basti pensare alla posta elettronica, si sono in genere inserite in quelle reali con una certa continuità, addirittura rafforzandole, aggiungendovi una diversa dimensione. Tra l’altro l’abitudine femminile alla scrittura epistolare come forma di relazione ha contribuito molto al successo della comunicazione in rete, e credo ne sia risultata rafforzata la capacità di tenere i legami nelle relazioni[3]. Ciò che avviene nella “vita sullo schermo”, con l’espressione di Sherry Turkle, è reale se entra nella nostra vita reale, quotidiana, se noi le attribuiamo realtà.
Temevo anche la logica della visibilità, che in rete è maggiore, ma che produce anche una sorta di orgia di visioni, in un bombardamento che può rendere invisibili, indifferenti, che può togliere riconoscibilità al senso[4]. Mi sono però poi accorta che una delle cose più importanti che un sito fa è attivare una rete di fiducia selettiva, offrendo una mediazione ad altri luoghi e relazioni come in una sorta di contagio mirato, per contatto. Il caos nella rete è immenso, come nel mondo peraltro, proprio per questo la capacità di orientamento è cruciale e massimamente politica.
Un altro timore era legato alla questione della competenza tecnica, ed effettivamente questa si è rivelata un vincolo reale: abbiamo dovuto cercare una mediazione maschile per la costruzione tecnica del sito, non abbiamo trovato donne, e sebbene ci siamo rivolte al mercato protetto di una società di tecnici amici, le cose non sono andate sempre come speravo. Il coinvolgimento personale e politico nell’impresa è essenziale anche dal punto di vista tecnico, occorre condividere il senso di quel che si fa.
L’entità del lavoro e delle energie che stimavo, poi, era inferiore a quella che si è rivelata necessaria, e di gran lunga inferiore a quella che servirebbe per ciò che desidererei poter fare. Ho avuto però una apertura ancora più grande di quello che pensavamo, c’è un di più che viene richiesto dalla realtà dell’impresa, e anche un di più di desiderio che questa realtà muove e domanda.
Sara e Lara dissero presentando il sito della Libreria su via dogana che il sito “non si spegne mai, e lavora anche quando non ci siamo”: sì, è vero, è una creatura che “non dorme mai”, come Sadara in The Ring, ma come lei può diventare un morto vivente se non ha attenzione e cura, amore.
Innumerevoli volte capita di incontrare in rete siti “morti”, messi al mondo da un desiderio che poi si è spento, non vivificati da un contesto vivente attivo, che restano lì come un cimitero di relazioni.
Ci vuole qualcuno che la ami, quella creatura. Forse il titolo della nostra rivista on-line, per amore del mondo va corretto con la precisazione che in questo caso, forse sempre, si tratta di un amore preciso, da una parte si lancia nel mondo con un amore senza oggetto, dall’altra si tratta proprio dell’amore per questo piccolo pezzo di mondo.
Moltissime altre cose si dovrebbero dire, molte le dobbiamo ancora pensare, molte altre ancora non ci si sono nemmeno presentate al pensiero. Quello che però abbiamo chiaro, e che preme a me e a Barbara sottolineare qui perché in fondo è il solo punto essenziale è davvero semplice, basilare, e riguarda il rapporto tra il mondo virtuale della rete e il mondo della reale rete delle nostre relazioni: ciò che è virtuale si attualizza, diventa reale solo se c’è un investimento di realtà.
Occorre che questo spazio virtuale venga attualizzato, occorre farci un investimento di realtà perché sia reale, metterci della vita perché sia vivo.
Ovvio, ma a quel che ho visto straordinariamente incompreso e poco praticato nella politica in rete. Nonostante la proliferazione di siti politici, di politica di movimento e di politica delle donne ho dovuto rilevare una sconcertante carenza per quanto riguarda questo aspetto: c’è informazione, divulgazione, riflessione, ma spesso avverto (come d’altra parte avverto nella politica nel suo senso corrente compresa quella dei movimenti) mancanza di legame alla vita e alle sue modalità politiche nel modo che conosco dalla politica delle donne. Da un lato così ci sono le vetrine delle attività pubbliche-politiche, dall’altra una quantità di utilizzi della rete per la vita “privata”, persino intima, basti pensare ai blog, ma è davvero raro trovare un agire politico in rete che metta in circolo questi due mondi, scombinando il confine tra personale e politico, secondo la classica formulazione della pratica femminista. Per tornare all’esempio dei siti di oroscopi e vita quotidiana: le donne li usano moltissimo, e si dicono un sacco di cose, ma raramente ho trovato dei siti dove la vita venisse investita di politicità. Dove esattamente il passaggio tra le due reti, quelle della politica delle relazioni che è la nostra politica in quanto nella nostra vita e quella della rete che costituisce la scena pubblica informatica, fosse messo al centro. Con il risultato paradossale che a diventare virtuale è ciò che è reale.
Dicevo all’inizio che l’immagine della rete nella rete era molto promettente, le due sembravano rispondersi, e in effetti la forma reticolare è analoga, ma quale è dentro quale? Per un verso la rete, il web, è più grande, più estesa, più potente, dall’altro però è il contrario, è la rete delle relazioni reali che sostiene la rete, ed è questa ad essere più ampia, intensa e potente.
La rete funziona se funziona la rete delle nostre relazioni. E’ un reale spazio politico se ci facciamo circolare la realtà della nostra politica e della nostra vita.
E questo è un invito.
Punti vari non sviluppati lasciati alla discussione
- Al momento l’interlocuzione è limitata alla posta, ma stiamo progettando di attivare un gruppo di discussione, coordinato a turno da una di noi
- sesso in rete, problema per il “differenza sessuale” che manda in fibrillazione i motori di ricerca; in generale il sesso traina la tecnologia, resta un sottofondo, come lo resta il trovare incontri, relazioni, anche tra i sessi
- l’immagine generale che abbiamo scelto: il taglio della differenza, non un contenuto ma un’apertura, il taglio
- prima c’era una sorta di passività, poi ci si è attivate, per me lo schermo è diventato da un televisore una porta
- questione della lingua e delle lingue con cui si comunica: la rete è prevalentemente anglofona e non si può non tenerne conto, ma per la rivista abbiamo scelto di pubblicare i pezzi nella lingua in cui sono stati scritti. Il risultato è che ogni numero vede la presenza di cinque lingue, ma solo per una parte degli scritti c’è la traduzione in una seconda lingua. Fare altrimenti richiederebbe un lavoro per cui non abbiamo energie e tempo sufficienti.
- rapporto libro-rete, per certi versi si assomigliano, sono modi di rendere pubblico, ma la rete consente una più facile forma di pubblicazione e di scrittura, che salta le mediazioni e i costi dei media tradizionali, è in continuità con quella massa di letteratura grigia che sempre è stata diffusa tra le donne, e attraverso la quale più spesso circola dibattito, discussione etc, legata ai contesti di produzione
- il libro è diverso dalla rivista, per la velocità, il linguaggio, la diversità dei contributi, le collaborazioni, i diversi stili, anche qui c’è una apertura, l’idea di quel che il pensiero della differenza ha messo in moto, di ciò che è vicino e dialoga, nei libri solitamente ci siamo noi, qui no, è una specie di luogo di incontro, ancora da potenziare… ciò che la differenza apre di discorso con altri.. Forma di interlocuzione e di contagio
- questione della memoria, per alcune è un mezzo labile, si avverte che le cose scompaiono, non sembra avere la stabilità della stampa, dei libri, che restano e fanno tradizione Per certi versi è vero, ma non è sostitutiva, si aggiunge, non c’è vera rivalità… es lo dicono anche quelli che fanno la battaglia contro il copyright. Comunque stiamo progettando per la rivista una edizione cartacea da far avere alle biblioteche delle donne e ai centri di documentazione
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Zizek, S., L’epidemia dell’immaginario, Meltemi, Roma 2005 (cap.4: Il cyberspazio, o l’insostenibile chiusura dell’essere)
[1] Il testo di presentazione è disponibile nel sito nella finestra dedicata al Grande Seminario.
[2] E’ il titolo del libro di Eric Raymond, reperibile in rete: http://www.apogeonline.com/openpress/doc/cathedral.html
[3] C’è sempre un legame con relazioni reali, addirittura una dipendenza e un debito, nel nostro caso, ad esempio, è stata l’offerta da parte della Libreria di Milano, di Sara e Lara, a muovere la volontà di fare un sito nostro. Le relazioni reali hanno aperto quello spazio come possibile, praticabile, prima restava una possibilità lontana, specie per noi che non avevamo una competenza tecnica sufficiente.
[4] Qui torna la questione delle mediazioni, della selezione della visione, di nuovo del taglio che abbiamo scelto come simbolo del nostro sito, che anche taglia via delle cose, orienta, importante è infatti la questione della fiducia in ciò che si seleziona, per usare una funzione dei nostri computers, dei preferiti…