diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 12 - 2014

Filosofe al cinema

Christine Cristina incontra Christine de Pizan: considerazioni al margine di una pellicola

Sul finire del Medioevo venti di sventura annunciarono l’arrivo dell’autunno per l’intera Europa, ma è in territorio francese che soffiarono con particolare veemenza, a tal punto che nulla lasciava presagire la fine di quella tormentata stagione storica. La paura germogliava e affondava le radici negli animi di ogni classe sociale che non poterono trovare conforto neanche nella Chiesa, a quel tempo lacerata da lotte scismatiche, per cui assistevano inermi allo sprofondare del paese in un continuo stato di belligeranza, interrotto da brevi e illusorie tregue. Se la saggezza di Carlo V sembrò in parte risollevare le sorti del regno, non riuscì però a raggiungere la risoluzione definitiva del conflitto, né il futuro re Carlo VI salvò il paese dalla malattia, in cui cadde inesorabilmente egli stesso: mentre i potenti duchi di Borgogna, di Berry e d’Orléans lottavano tra di loro per impadronirsi del regno, la Francia finì ben presto preda della guerra civile e di estenuanti insurrezioni popolari. Uno stato di terrore che anche la pellicola Christine Cristina di Stefania Sandrelli cerca di restituirci (seppure attraverso scenografie “riciclate” e a volte troppo povere, provenienti “infatti” dal set di “San Francesco d’Assisi”!) e fa da sfondo alle vicende della protagonista del film, uscito nel 2010 nelle sale italiane. La figlia della regista (scelta non per ragioni familiari, ma per la grazia e la forza dei modi che richiamano la poetessa – si tiene a precisare), Amanda ha dato corpo e voce a questa scrittrice, oggi oggetto di un numero talmente sterminato e variegato di riflessioni da poter parlare di Christine de Pizan come di un vero e proprio “fenomeno”1.

Per diverse ragioni è considerata la première, ovvero “donna dei primati”: la prima ad aver fatto della scrittura una professione; la prima ad aver confezionato personalmente i propri testi (sono circa 55 i manoscritti considerati autografi), non solo come copista, ma come “editrice di se stessa”, dirigendo un vero e proprio scriptorium ovvero un atelier con tanto di collaboratori e miniatori; inoltre, prima storica di professione che però componeva sulle materie più disparate e con una rapidità altrettanto incredibile, tanto in versi quanto in prosa. Anche Simone de Beauvoir la segnala per un primato: “la prima donna a prendere la penna in difesa del proprio sesso.” Un caso unico ed eccezionale, di cui lei stessa sembra essere consapevole nelle riflessioni sul personale statuto di “autrice” e “attrice” delle proprie narrazioni; tanto più perché a quei tempi le donne erano immaginate e costrette all’ombra di un corpo muto, per cui presentarsi in pubblico come femme de lettres e autorappresentarsi come lettrice e scrittrice dovette essere motivo di vero e proprio “scandalo”. La sua fu una pratica di vita per molti versi o-scena, ovvero fuori dalla scena ufficiale, dove il monopolio del pensiero razionale era tradizionalmente custodito da mani maschili. In quanto intellettuale laica e donna, visse come “straniera” in un paese di chierici. Per tutta l’esistenza ha dunque vestito i panni della étrangère e vissuto in una condizione di confine, a cui sembrava destinata per sesso, per status e professione, per la provenienza delle sue conoscenze, oltre che per nascita.

Il suo nome è stato francesizzato, in realtà Cristina era nata a Venezia nel 13642, ma fu allevata a Bologna dove suo padre Tommaso si era addottorato in medicina e possedeva dei terreni poco distanti dalla città, a Pizzano, provenienza poi indicata come nominativo dei membri della sua famiglia (anche se in molti studi persiste una grafia errata del nome, che è stato a lungo tramandato come “de Pisan” per una presunta origine pisana del padre ). Nonostante la breve permanenza nella penisola, Cristina si definisce «femme ytalienne»3 e continua a ricordare le proprie radici nei contesti più disparati, oltre ad evocare ripetutamente nelle sue opere la memoria del padre, Tommaso da Pizzano (1315-1387 ca), astrologo e medico di grande fama e figura determinante nella formazione della figlia. La reputazione paterna giunse oltre confine, infatti ricevette un duplice invito regale a trasferirsi a corte per mettere a disposizione dei regnanti quelle sconfinate conoscenze dietro considerevoli compensi; accettò infine la proposta di Carlo V e poco dopo la nascita della sua bambina si recò a Parigi, dove venne raggiunto dal resto della famiglia, accolta con fasto e onori al castello del Louvre. A soli quattro anni, Cristina fa il suo ingresso in terra straniera, né tornerà mai più nel paese che le diede i natali (né mai tentò di farvi ritorno, neanche nei momenti di disperazione, com’è invece avanzato nella finzione cinematografica, ma è soltanto il primo di una serie di particolari storici liberamente interpretati dagli sceneggiatori). Non poteva immaginare che un giorno avrebbe scritto la biografia del re che allora la accoglieva: Le Livre des Faits et Bonnes moeurs du Sage Roi Charles V, solo di recente tradotto in italiano4.

Se l’ammirazione per la figura paterna è manifestata con trasporto, colpisce la scarsità di notizie sulla madre di Christine, di cui non si conosce neanche il nome, se non che si trattava della figlia di Tommaso Mondini da Forlì, medico e collega del padre.

Circondata da un sereno ambiente familiare, la giovane crebbe alla corte del re di Francia e questo fortunato periodo della sua vita si protrasse per anni conducendola ad un felice matrimonio, da cui nacquero tre figli. Nel rispetto delle usanze del tempo, all’età di soli quindici anni fu data in sposa ad Étienne Castel, uno studente di origini piccarde scelto dal padre per la ricchezza delle virtù più che dei suoi possedimenti. Nonostante le gioie della vita coniugale non facessero presagire la possibilità di una mutacion, la ruota della Fortuna cambia il suo corso e inizia il lento appannarsi di quel momento di prosperità. Si spalancarono dunque per Christine le porte della cattiva sorte e lei le attraversò, inconsapevole del triste destino che la attendeva: le sventure iniziarono nel settembre del 1380 con la morte prematura di Carlo V, che provocò la perdita del prestigio paterno e delle promesse rendite economiche. Nell’arco di breve tempo, perse le due persone che erano per lei specchi dell’identità di figlia e di moglie: ormai anziano, il padre le fu sottratto intorno al 1387 in seguito ad una lunga malattia; mentre la morte sorprese il marito a soli trentaquattro anni, colpito da una terribile epidemia quando si trovava a Beauvais al seguito del sovrano. L’elaborazione del lutto fu tormentata anche da difficoltà giudiziarie ed economiche, che la fecero precipitare nell’indigenza, tra avvilenti dispute processuali e debitori insolventi; condizione da cui tra l’altro ha inizio la pellicola. L’esperienza della vedovanza verrà da lei rappresentata con una metafora che si ritrova nel Livre de la Mutacion de Fortune e verrà evocata in seguito anche in altre pagine della sua produzione: l’immagine è quella di un naufragio, per cui fu costretta ad improvvisarsi virile conduttrice di una nave alla deriva5. Descrive così il debutto nelle lettere come una metamorfosi personale, per cui all’interno di una cornice onirica da donna si trasforma in uomo; sceglie dunque di esprimere selon méthafore la difficile decisione di occuparsi dei figli, dell’anziana madre e di una nipote con la sola forza della propria penna. Fedeli a tale esigenza di raccontarsi per immagini, gli sceneggiatori del film sembrano averla ascoltata per la decisione di inserire una nave nella trama, un bizzarro rifugio di fortuna che in realtà aveva nei suoi testi un forte valore simbolico.

La solitudine si rivelò terapeutica per la giovane vedova, una condizione ideale per immergersi nella lettura e trovare sollievo dopo tanta sofferenza (purtroppo messa in primo piano nel film solo sul finale). Gradualmente maturò in lei il desiderio di chiudersi in una “stanza tutta per sé”, come avrebbe scritto Virginia Woolf, mentre Christine nomina quello spazio di studio estude o cele, dove iniziò a comporre brevi poemetti amorosi, ai quali si dedicò con una tale leggerezza d’animo da suscitare sospetti sulla purezza della loro ispirazione. [Fig. 1] In realtà, niente e nessuno fece vacillare la categorica scelta della Pizan di non voler mai più contrarre matrimonio, nella convinzione di voler imboccare una terza via che conduceva ad un’altra identità rispetto a quelle prestabilite per le donne del tempo, quella di scrittrice laica di professione.

Esprimendosi nella lingua del paese d’adozione, ovvero in medio-francese, il suo primo canto è proprio il manifesto della ricercata solitudine:

 

«Seulete suy et seulete veuil estre,
Seulete m’a mon doulz ami laissiée ;
Seulete suy, sanz compaignon ne maistre,
Seulete suy, dolente et courrouciée,
Seulete suy en languour mésaisée,
Seulete suy plus que nulle esgarée,
Seulete suy sanz ami demourée.

Seulete suy à huis ou à fenestre,
Seulete suy en un anglet muciée,
Seulete suy pour moi de plours repaistre,
Seulete suy, dolente ou apaisiée,
Seulete suy, riens n’est qui tant messiée,
Seulete suy en ma chambre enserrée,
Seulete suy sanz ami demourée. […]»6

 

Abituata a coabitare con quell’insopprimibile senso di separazione, decise di vivere come una reclusa in una solitude volumtaire, che Jacqueline Cerquiglini-Toulet ha interpretato come una doppia prigionia, di sé e del proprio estude nel duplice significato del termine:

Prisonnière du lieu matériel, la cellule – […] – où elle s’enferme pour travailler et qui est si fréquentemment évoqué dans les enluminures de ses œuvres, prisonnière aussi de son désir de savoir7.

Tale reclusione non si tradusse però in un ritiro dal mondo, bensì nell’immersione in apnea in un mare di conoscenza, allora riservata ai dotti e ai chierici, a cui lei si accostò senza l’arroganza di poter padroneggiare le scienze oscure, ma ripercorrendo a piccoli passi prima la storia antica poi la poesia, finché il suo spirito non si dispose a creare nuovi volumi, prezioso frutto della propria esperienza. Nessun cantastorie o giullare intonò le sue rime, che non hanno accenti popolari tanto meno sono state mai declamate nelle osterie del tempo, ma nascono da una dote alimentata dallo studio e sono pensate per un pubblico di corte. Interpretato con maestria da Alessandro Haber, l’amara leggerezza del personaggio di fantasia Charleton non ha alcun fondamento storico, né i primi versi della Pizan avevano quella pericolosa potenza che poteva condurre al rogo, ma è probabilmente una scelta registica finalizzata a ricordare come alcune sue antenate fossero andate incontro a quell’infelice sorte per aver osato prendere la penna e far sentire la propria voce. Indubbiamente una rappresentazione discutibile, ammesso che le intenzioni fossero quelle ipotizzate, perché nessuna malizia sembra trasparire in quella grossolana falsificazione dei fatti. Un’interpretazione alquanto azzardata, non l’unica, che lascia disorientati coloro che da anni ne studiano l’immensa produzione e non ritrovano in queste immagini neanche un debole riflesso di un racconto biografico della poetessa francese, attoniti o perfino scandalizzati per una resa che sfiora secondo alcune “la frode intellettuale”, ma forse non ambiva che ad una leggera evocazione della sua figura e delle vicende che la indussero a comporre.

L’impresa della vedova affonda le radici nella sventura del lutto, né forse avrebbe mai preso forma se fosse rimasta la moglie di Étienne Castel, invece si assiste in lei ad una re-azione unica, perché l’opera nasce dalla morte, anzi come afferma Claude Gauvard porterà a trionfare sulla morte. La sopravvivenza futura del suo nome verrà da lei stessa pre-annunciata, pur affidando tale profezia alle personificazioni con cui si confronta nei testi, ma il tema della “memoria” è una presenza costante lungo tutta la sua produzione fin dal suo esordio.

Il suo chemin de longue étude ha così inizio senza vestire abiti religiosi, come il lungo cammino nel campo delle lettere di una semplice donna: dopo aver composto una serie di liriche amorose cui segue un’opera in versi e prosa, l’Epistre Othea (1400-1), si fece paladina della dignità delle donne prima con l’Epistre au Dieu d’Amours (1399) e poi con l’intervento attraverso uno scambio epistolare nella querelle sul Roman de la Rose, iniziata nel 1401 e proseguita per un paio d’anni, dove si confrontò con i dotti del tempo sul valore della seconda parte di quel romanzo composto da Jean de Meun. In quell’occasione mise in discussione le false idee diffuse da chierici e auctoritates del passato sul conto delle donne, proprio a cominciare dalla misoginia contenuta in uno dei più noti testi del tempo, di cui circolavano circa 250 manoscritti. A sua difesa, nella disputa intervenne Jean Gerson, Cancelliere dell’Università di Parigi, che assisteva sbalordito a quello straordinario caso: una poetessa laica osava ergersi contro illustri esponenti dell’istituzione universitaria8. Tra i due s’instaurò una relazione di stima e di “amicizia intellettuale”10 Christine de Pizan indica la Commedia di Dante come un’opera elevata e “cento volte superiore” a quella del teologo Jean de Meun. Un’osservazione strabiliante, ancor più se si considera che l’uno era l’autore del Romanzo allora più diffuso, mentre l’altro era un emerito sconosciuto in territorio francese. Molto è stato scritto a proposito dell’influenza del poeta fiorentino sulla lettrice francese11, seconda dopo Philippe de Mézières ad averlo introdotto in Francia ma première a servirsi dell’Inferno all’interno della narrazione: tale debito è evidente già nel titolo di una delle sue opere, Le Livre du Chemin de Long Estude, che s’ispira al verso dantesco O delli altri poeti onore e lume / vagliami ʼl lungo studio e ʼl grande amore / che m’ha fatto cercar lo tuo volume (Dante, Divina Commedia, Inferno, I, vv. 82-84). Christine de Pizan presenta Dante come «vaillant poete» (Chemin,  vv. 1141) e «tres sage pouete» (Advision I, 16), pur essendo allora quasi sconosciuto in territorio francese, ma costei era capace di coglierne la grandezza e segnalarla ad un pubblico più ampio, per cui si auto-legittima ad introdurlo come autorità poetica. Seppur illetterata, non solo era già pienamente in grado di riconoscere i segni della sapienza in chi si esprime in modo oscuro ai più, ma dà prova di aver maturato una indipendenza intellettuale che le consente di rileggerlo autonomamente. Purtroppo il film della Sandrelli mette la parola “fine” nella sua sceneggiatura proprio quando inizia il cammino della scrittrice nei sentieri più elevati del pensiero…

Per il suo viaggio fra le “meraviglie del mondo” e del cielo, Christine sceglie come guida una figura femminile [Fig. 2], una profetessa dai tratti mitologici come la Sibilla, mentre elegge se stessa “scriba” di quella straordinaria esperienza e mediatrice di un messaggio di valore epistemologico e politico. La Cumana è una delle prime dame che le appaiono, ma nei testi successivi abitualmente la poetessa moltiplicherà l’eco della propria voce attraverso molteplici figure mitologiche e allegoriche che danno vita ad un vero e proprio “effetto corale”, particolarmente potente nel Livre de la Cité des Dames, dove una polifonia tutta al femminile anima le pagine del testo più noto e le mura di quella città eterna.

L’edificazione del Libro avviene in pochi mesi, fra il 13 dicembre 1404 e l’aprile 1405, quando l’autrice ha già raggiunto una piena maturità intellettuale, nell’esordio resta fedele alla rappresentazione di sé chiusa nella solitudine dello studiolo, dove le appaiono tre dame che la guidano nell’erigere, pietra su pietra, l’opera: Raison, l’aiuterà a scavare le fondamenta per poter innalzare solide mura con l’esempio di guerriere e di dame sapienti; Droicture la condurrà ad elevare rilucenti palazzi la cui materia è attinta in profetesse e modelli di fedeltà, nell’amore coniugale come nella castità; Justice accoglierà la Vergine al governo di quella Città popolata nelle alte torri di sante martiri12.

Nel Livre de la Cité des Dames l’autrice realizza un “luogo” in cui tutte le donne virtuose possono rifugiarsi, vi trovano accoglienza nobili regine, colte inventrici, profetesse, vergini e vedove: tutte, anche laiche e illetterate, possono albergarvi qualora meritevoli, perché l’unico requisito richiesto per accedervi è il possesso della virtù. Quest’opera gode di vari primati, fra gli altri è la prima ad essere stata tradotta in italiano in un’eccellente edizione con testo a fronte dalla versione del prezioso manoscritto conservato alla British Library, Harley 4431, noto come “Manuscrit de la Reine”. [Fig. 3] La raccolta, offerta da Christine de Pizan alla regina Isabella di Baviera nel 1410-1411, contiene 30 opere in 398 fogli, due colonne per foglio, è consultabile online in un sito che permette di visionare le preziose miniature che accompagnano i testi, rese accessibili con immagini ad alta risoluzione in un lavoro complessivo di grande qualità13. In apertura del manoscritto è custodita l’immagine della consegna del prezioso e voluminoso testo alla regina, moglie di Carlo VI: la scena tutta al femminile si svolge in una sontuosa stanza, dove non mancano i cani (come nelle miniature precedenti – simbolo di sapienza, fedeltà e concentrazione), un ambiente privilegiato nel quale Christine occupa il centro della rappresentazione (mentre nella pellicola nulla lascia presagire la folgorante carriera a cui andrà incontro quella fille d’escolle, impegnata in difesa del proprio sesso).

Proprio alla regina aveva non solo dedicato le lettere del dibattito sul Roman de la Rose, ma a lei aveva indirizzato un’epistola nell’ottobre del 1405 supplicandola di farsi “mediatrice di pace” e di intercedere per porre fine ai conflitti a beneficio dei propri sudditi. Non è dato sapere l’influenza della suddetta missiva, se mai venne letta dalla sovrana, ma l’Epistre a la Reine è una magnifica invocazione da donna a donna alla riconciliazione, un accorato appello per il bene di tutta la nazione.

In realtà le tensioni fra principi consanguinei proseguirono e negli anni successivi incalzarono al punto da indurre Christine a ritirarsi presumibilmente nell’abbazia di Poissy, dove sua figlia si era ritirata come religiosa (alla cui vocazione si accenna nel film della Sandrelli con delicati toni “materni”). Solo la disillusione aveva spinto la Pizan a trovare riparo in un convento, senza aver mai in passato rinunciato al mondo né alla vita attiva, avendo sempre militato con la parola e la scrittura anche nel chiuso di una stanza; allo stesso modo, proprio dalle mura di quel rifugio, dopo 11 anni di silenzio, fece udire il suo ultimo “canto di gioia” per celebrare la straordinaria impresa di un’altra donna, quella vergine guerriera che avrebbe liberato il paese dall’assedio nemico. Composto il 31 luglio 1429 in soli 7/8 giorni, Le Dittié de la Pucelle è l’inno di speranza di una patriota, che aveva a lungo invocato la pace ed ora assisteva al prendere forma del «miracolo», grazie ad una donna, «onore per il sesso femminile» (quel honneur au femenin sexe!). È la celebrazione di un’eroina; ma l’autrice la scrive “a partire da sé” (Je, Christine), potendo finalmente riaprire gli occhi a nuova luce (lumiere).

Condivise con l’amico Gerson l’esultanza per l’arrivo di quella fanciulla inviata da Dio, dato che egli aveva a sua volta celebrato la coraggiosa impresa della Pulzella, ma per la scrittrice francese la vergine guerriera sembra incarnare un altro modello rispetto a quello ritratto dal Cancelliere; quell’impresa è da lei percepita come il prendere forma vivente di un “sogno” a lungo inseguito, immaginato e narrato… Fortunatamente Christine non visse abbastanza da assistere alla cattura e alla prigionia della venerata amazzone. L’epica apoteosi da lei prevista per quella fillette s’infiamma di un’altra luce, quella di un rogo. Non si conosce la data esatta della morte della poetessa, ma non giunse ad esprimere dolore per la tragica fine della sua eroina, vittima proprio di quella cecità tanto temuta dalla scrittrice, che serpeggiava fra dotti e chierici né risparmiava i dottori dell’Università di Parigi, autori di quella condanna.

La protagonista di tali vicende, cui il film della Sandrelli s’ispira, non è ancora riconosciuta all’unanimità da studiosi e storiche come una filosofa, piuttosto è presentata come femme de lettres e scrittrice dotta (anche se lei non si sarebbe mai definita tale, ma si presenta sempre come una simple femmellette ignorant); senz’altro è di recente diventata un vero e proprio personaggio, al quale sono state attribuite molte etichette (prima fra tutte quella di “femminista ante-litteram”, a cui la stampa ricorre per presentare in modo semplificato il soggetto della pellicola), che ha alimentato una eccezionale produzione bibliografica, soprattutto negli ultimi decenni del secolo scorso, dietro la spinta dei movimenti femministi. Presente nella vita culturale attuale attraverso diversi canali, cinematografico, digitale, artistico14; la figura di Christine continua ad essere esplorata, dibattuta e le sue opere tradotte – anche se molte sono tuttora inedite in italiano – dando vita ad una selva d’articoli talmente sterminata da richiedere “guide bibliografiche” per potersi orientare in questa immensa produzione15.

Un fermento che sembra accorciare le distanze, genera vicinanza al punto da sfiorare l’anacronismo in alcune studiose anglosassoni, mentre altri/e insistono invece a voler ristabilire quel distacco che si addice al remoto periodo storico. Un’oscillazione fra lontananza e attualizzazione al centro di convegni internazionali, organizzati ogni tre anni circa dalla Società europea di studi christiniani (quella americana si ritrova invece annualmente)16, dove si continua a dibattere sul caso della nostra scrittrice, sulle opere e sulle circostanze storico-politiche che lo hanno nutrito. Un’accoglienza che lei stessa aveva pre-annunciato, o lasciato predire ad alcune figure allegoriche all’interno delle sue pagine, in cui aveva creduto e per cui aveva continuato a scrivere, le cui dimensioni superano però qualsiasi desiderio umano e la cui portata conferma e alimenta l’idea che ci troviamo di fronte ad una “clergesse dei tempi moderni”.

La rapidità di composizione la avvicina addirittura alla posizione d’una attuale giornalista, con cui sembra condividere anche doti redazionali, oltre alla capacità di percorrere il reale per proiettarsi oltre. Così viene immaginata da un’artista americana, Mary Yaeger, che la ritrae al computer! [Fig. 4] Il cagnolino di solito ritratto al suo fianco è da costei sostituito con un drago posto alle spalle della Pizan, una scelta interpretata da una studiosa statunitense come un messaggio figurato dell’idea che “una donna che scrive non ha paura dei demoni”17! In effetti, una donna che scrive sembra ancora far paura ad alcuni… se un’autrice come Christine continua a essere assente dai nostri accademici percorsi di studi18.

 

 

APPENDICE

 

  image001
Figura 1: Londra, British Library, Manoscritto Harley 4431, f. 4r,

Cent Ballades, Christine nel suo estude

 

 

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Figura 2: Parigi, BNF, manoscritto 836, f. 5v,

Le Livre du Chemin de Long Estude, Christine e la Sibilla alla Fontana di Sapienza

 

 

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Figura 3: Londra, British Library, Manoscritto Harley 4431, f. 3r,

Christine presenta il manoscritto alla regina Isabella di Baviera

 

 

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Figura 4: Mary Yaeger, Christine de Pizan at Her Computer, 1999

Note

  1. Di un phénomène Christine de Pizan parlano Liliane Dulac e Christine Reno, due delle più erudite studiose della nostra scrittrice in un recente articolo: Liliane Dulac – Christine Reno, «Christine de Pizan, proche et lointaine», in Lire les textes médiévaux aujourd’hui: historicité, actualisation et hypertextualité, sous la direction de Patricia Victorin, Champion, Paris, 2011, pp. 35-55.
  2. La datazione oscilla nei diversi studi tra il 1364 e il 1365, anche se tutti si basano sulle stesse indicazioni fornite nell’Advision dall’autrice: Maria Giuseppina Muzzarelli in accordo con Suzanne Solente propende per il 1365, Elena Nicolini e Anne Paupert indicano il 1364 come data di nascita. Quest’ultima è plausibile se si considera che nel dicembre del 1368 avviene la presentazione al re di Francia e allora Christine aveva circa quattro anni.
  3. Questa espressione è citata in molti studi e viene estratta dal Livre des fais d’armes et de chevalerie dove Christine scrive: «O Minerve, deesse d’armes et de chevalerie! …je suis comme toy femme ytalienne».
  4. Christine de Pizan, La vita e i buoni costumi del saggio re Carlo V, a cura di Virginia Rossini, Carocci, Roma, 2010. Di recente pubblicazione una traduzione in francese moderno della biografia del sovrano: Christine de Pizan Livre des faits et bonnes mœurs du sage roi Charles V, Présentation, notes et index de Joël Blanchard, Traduction de Joël Blanchard et Michel Quereuil, Pocket, collection “Agora “, Paris, 2013.
  5. La metafora del naufragio si trova nel Livre de la Mutacion de Fortune dal vv. 1025 e seguenti, poi è ripresa in prosa nell’Advision al paragrafo 6 della Terza parte.
  6. Ballade XI, in Œuvres poétiques de Christine de Pisan publiées par Maurice Roy, Paris, Firmin Didot (Société des anciens textes français), 3 t., 1886. Una traduzione in italiano a cura di Patrizia Caraffi compare nell’Introduzione in La Città delle Dame, a cura di Patrizia Caraffi. Edizione di Earl Jeffrey Richards, Luni Editrice, Milano, 1997, pp. 12-13.
  7. Jacqueline Cerquiglini-Toulet, « L’étrangère », Revue des langues romanes, 92 (1988), p. 243.
  8. L’amicizia tra il Cancelliere e la Pizan risale al dibattito sul Roman de la Rose che li vide alleati, del cui polemico scambio epistolare si dispone nella traduzione in italiano: C. de Pizan, G. Col, J. De Montreil, J. Gerson, P. Col, Il Dibattito sul “Romanzo della Rosa”, traduzione a cura di Bianca Garavelli, Medusa, Milano, 2006.
  9. Cfr. Earl Jeffrey Richards, «Christine de Pizan and Jean Gerson: An Intellectual Friendship», in Christine de Pizan 2000: Studies of Christine de Pizan in Honour of Angus J. Kennedy, Rodopi, Amsterdam – Atlanta, 2000, pp. 197-208., molto probabilmente arricchita da scambi ideologici e testuali, ma interpretata con toni romanzati nel film della Sandrelli, che sembra concedersi eccessive libertà nel rappresentare la sintonia fra i due. Del resto, il sentimentalismo spesso accompagna le biografie femminili sul grande schermo a discapito dello spessore del personaggio e della qualità della resa filmica; forse nel nostro caso è frutto di una “visione leggiadra” di chi è dietro la macchina da presa, anche per andare incontro alle esigenze di un più ampio pubblico, ma del tutto “dissonante” sul piano della ricostruzione storica. Non lo sono invece le fugaci allusioni al grande poeta fiorentino, anche se accennate in sordina, la cui grazia è offuscata dal frastuono d’osteria che circonda inspiegabilmente la scrittrice, dama di corte piuttosto che misera viandante.

    Nel Secondo Trattato contro il Roman de la Rose (scritto il 2 ottobre 1402, pochi giorni prima dell’inizio del Chemin)9Questo primo richiamo alla Commedia in un testo francese si trova in Le Débat sur le Roman de la Rose, par Christine de Pisan, Jean Gerson, Jean de Montreuil, Gontier et Pierre Col : edition critique, introduction, traductions, notes par Eric Hicks, Champion, Paris, 1977, pp. 141-142.

  10. Richiamo solo alcuni dei titoli che compaiono nel ricco panorama sull’argomento: Kevin Brownlee, «Le moi “lyrique” et la généalogie littéraire. Christine de Pizan et Dante dans le Chemin de long estude», in Musique naturele: Interpretationen zur französischen Lyrik des Spätmittelalters, éd. Wolf-Dieter Stempel, Fink (Romanistiches Kolloquium, 7), München, 1995, pp. 105-139; Dina De Rentiis, «”Sequere me”: imitatio dans la Divine comédie et dans le Livre du chemin de long estude», in The City of Scholars: New Approaches to Christine de Pizan, éd. M. Zimmermann and S. de Rentiis, De Gruyter, Berlin and New York, 1994, pp. 31-42; Arturo Farinelli, «Dante nell’opera di Christine de Pisan», Aus romanischen Sprachen und Literaturen: Festschrift Heinrich Morf, Niemeyer, Halle, 1905, pp. 117-152; Maria Merkel, «Le chemin de long estude: primo tentativo di imitazione dantesca in Francia», Rassegna nazionale, 2e série, 32 (1921), pp. 189-211; pp. 243-258; Earl Jeffrey Richards, «Christine de Pizan and Dante: A Reexamination», Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen, 222 (1985), pp. 100-111.
  11. Una splendida miniatura che ritrae tale scena di fondazione è custodita nel manoscritto BnF, fr. 607, f. 2, messo in rete da Gallica e visionabile in libero accesso, parte del “Manuscrit du Duc”, offerto al duca Jean de Berry nel 1408.
  12. Nel 2004 l’équipe del professore Jaimes Laidlaw dell’Università di Edimburgo ha creato il sito www.pizan.lib.ed.ac.uk dove si offre libero accesso al manoscritto Harley 4431 in versione digitale.
  13. A livello artistico la sua presenza è stata segnalata già alla fine degli anni ’70 dall’artista americana Judy Chicago nell’opera monumentale da lei creata, The Dinner Party, un’immensa tavola triangolare dove i posti sono riservati a illustri donne del passato, tra cui figura anche l’autrice della Cité des Dames.
  14. Una delle prime guide bibliografiche apparse sull’argomento è del 1982, poi aggiornata e riedita nel 1989: Edith Yenal, Christine de Pisan: a bibliography of writings by her and about her, Scarecrow press, Metuchen, 1982. Di gran lunga più complete della precedente, le guide bibliografiche di Angus J. Kennedy sono diventate una preziosa raccolta di tutti gli studi christiniani, riuniti in tre volumi aggiornati a cadenza decennale e organizzati per testi e temi: Angus J. Kennedy, Christine de Pizan: a bibliographical guide, Grant and Cutler, London, 1984; Supplement I, Grant and Cutler, London, 1994; Supplement II, Boydell and Brewer, Woodbridge, 2004.
  15. Dal 1992, anno del Primo Convegno Internazionale della Società Christine de Pizan svoltosi a Berlino, gli altri incontri si sono così susseguiti: nel 1995 a Orléans, nel 1998 a Losanna, nel 2000 a Glasgow, nel 2003 in Austria, nel 2006 a Parigi, fino al VII Colloquium nel 2009 a Bologna; il prossimo è previsto per luglio 2012 in Polonia a Poznan.
  16. Cfr. Laurel Thatcher Ulrich, Well-Behaved Women Seldom Make History, A. A. Knopf, New York, 2007, pp, 228-229.
  17. Proprio la proiezione del film Christine Cristina è stata l’occasione per parlare della Pizan in occasione della rassegna “Ipazia e le altre. Le Filosofe si raccontano”, tenutosi presso l’Università di Siena. Dalla relazione per quell’incontro, è stata tratta ispirazione per la scrittura di questo articolo.