diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 8 - 2009

Amiche in rete

Amiche in rete

 

 www.adateoriafemminista.it

 

 

È una rivista on-line nata nell’ottobre del 2006, che ha come taglio provocatorio e propositivo allo stesso tempo il “fare teoria” come punto focale del femminismo e necessità della politica delle donne oggi. È allo stesso tempo una rivista che vuole avere uno sguardo d’insieme sulla realtà, uno sguardo al sistema economico e politico nel suo complesso per poter avere mappe nel muoversi nel presente. È anche una rivista on-line napoletana, prendendo Napoli non solo come la città nella quale vivono le donne della redazione, ma anche come un grande laboratorio di nuove forme di intrecci tra neocapitalismo legale e illegale, istituzioni, disagi dell’anima. I titoli dei numeri usciti finora sono molto significativi da questo punto di vista. Il primo è dedicato alla leva politica del fare teoria, il secondo o’Sistema, poi Essere sante oggi, l’ultimo, uscito nell’ottobre del 2008 è intitolato Monnezza.

La rivista è stata voluta da Angela Putino e Lucia Mastrodomenico, donne formatesi nel femminismo degli anni ’70. Accanto a loro donne più giovani, tra le quali ricordo quelle che conosco personalmente: Tristana Dini, Stefania Tarantino, Nadia Nappo. Angela Putino e Lucia Mastrodomenico hanno curato e seguito i primi due numeri e impostato in discussioni comuni anche il terzo. Morte entrambe nel gennaio del 2007 a pochi giorni di distanza, le donne più giovani hanno mantenuto aperto il desiderio di portare avanti la rivista con il taglio pensato in comune, nonostante lo scarto scompaginante che il dolore ha provocato e di cui gli scritti del terzo numero danno testimonianza. Sono state dunque loro a lavorare al fascicolo dedicato all’essere sante oggi e poi a Monnezza.

Nel rileggere i numeri della rivista tutti assieme si nota come qualsiasi proposta di pensiero, che dia il taglio al numero, nasca da una situazione deteriorata, che sta andando a male. Può essere un incantamento delle donne, che organizzano seminari e corsi di formazione, in formule rituali sfruttate, in idee fisse, che permettono tra l’altro di essere “imprenditrici di sé”, in una iperattività che ricicla tutto, in una specie di catena di montaggio, in cui si smette di pensare, e che in fondo segnala un venir meno del desiderio, una specie molto aggiornata di depressione funzionale al neocapitalismo. E allora, di fronte a questo andare a male, la proposta della redazione della rivista è quella di pensare finalmente di nuovo, rimettere in moto il pensiero guidato dal desiderio. Qui pensare è chiamato molto semplicemente “fare teoria”, senza che questo cada negli specialismi accademici. Cito dall’editoriale del primo numero: «La teoria, per noi, inizia quale rabberciatore di strutture, piccolo marchingegno di riparazione, gioco in serie; non si parte mai da un ampio sistema, qualche volta si cerca di raggiungerlo giocando “senza rete”. In genere si cammina muovendo da un intoppo, infilando una soluzione provvisoria quando c’è un’impasse. Insomma, una teoria si avvia sempre a partire da qualcosa che non va. E in questo c’è la sua importanza: si accompagna al piacere di una ripresa e ad una sua eventuale trasformazione. (…) Teoria e pratica si danno il cambio, ognuna spinge e modifica l’altra, non è come spesso si crede, che la teoria illustra la pratica; essa la elabora, ma è da questa manipolata».

La situazione deteriorata del tessuto sociale di Napoli è stata per le donne della rivista la leva per fare pensiero e spostarsi dalla lettura corrente della camorra come semplice sistema economico per fare soldi tra l’illegale e il legale, ad una interpretazione della camorra come sistema simbolico. In tale simbolico vite che non contano guadagnano un certo valore di sé se si mettono a rischio della morte. La morte è il significante simbolico che è scambiabile con una vita di valore. E i ragazzini dei quartieri degradati, che tra di loro si raccontano i particolari di come la morte sia entrata nei corpi degli uccisi, stanno già seguendo, paradossalmente, la via che li porterà all’ affiliazione. Il deterioramento delle istituzioni, e anche dell’agire delle donne in esse, segnala una incapacità di queste di creare simbolico che entri effettivamente in conflitto con il sistema della camorra.  Uno dei testi si interroga allora su quale sia il significante simbolico, che non sia la morte e che però si collochi al suo stesso livello di valore, e lo indica nel dispendio. Quel dispendio di una amore femminile per il reale che porta a capirne i meccanismi: unica via per la libertà femminile, molto diversa da quella di un adattamento delle donne alla vita, che fa il gioco della biopolitica. E sull’amore ritornano anche altri interventi.

Molto interessante l’editoriale del numero sull’essere sante oggi. Distaccandosi da un’idea di santità canonizzata dalla chiesa, misurata da una vita buona, e in diretto rapporto con Dio, la condizione di essere sante qui viene intesa come rottura del potere e della catena gerarchica della forza, in un legame con il mondo, nel quale le sante fanno accadere altro. Ed infatti è l’azione il luogo privilegiato che la redazione indica come il campo di attualità dell’essere sante. «La relazione delle sante al mondo è qualcosa di originario, un sentimento pre-religioso di appartenenza, un accesso immediato alla propria verità. Sappiamo, infatti, che la verità non è mai data come una cosa tra le altre, ma bisogna viverla». Queste donne non sanno di essere sante, non hanno una rappresentazione di sé. Decreano se stesse per far posto ad un accadimento, che interrompe i meccanismi sociali, aprono ad un impossibile, rendendolo luogo della realtà. Sono legate ad una terra di mezzo, che non conoscono, non sanno, ma le guida nel loro agire. Sebbene nell’editoriale non se ne parli, viene subito in mente la ricerca di quali forme di politica siano possibili a partire dalla mistica femminile, con tutte le contraddizioni che questo accostamento apre, ma anche le vie inventive che suggerisce.

L’impostazione, il taglio di adateoriafemminista, è quello di una ricerca arrischiata ai limiti tra simbolico e realtà, per guadagnare su questi bordi uno sguardo teorico e politico del reale. L’inquietudine ne è la cifra di ricerca, che muove il pensiero. E il pensiero quando nasce mette in movimento il desiderio, perché la verità ha la capacità di ricongiungerci ad esso e alle sue vie creative. È per questo che lo stile della rivista è allegro, di un’allegria corrosiva nella critica politica e vitale nel legare piani di realtà diversi.