diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 7 - 2008

Insegnare Filosofia

Alfabetizzazione e vuoto di senso: su un esperimento manualistico

Quando mi è stato chiesto di scrivere un capitolo per una storia della filosofia ad uso delle scuole superiori sul ‘pensiero femminile’, non avevo alcuna esperienza di didattica se non in piccoli seminari all’università. Eppure la sfida mi sembrò interessante, se non altro perché illuminava un aspetto abbastanza contraddittorio del mio essere femminista: il linguaggio, in parte specialistico, in parte trasfigurato dal pensiero della differenza – che, sia detto per inciso, ha contribuito a farmi innamorare della filosofia e non a temerla – mi garantiva una buona comunicabilità con chi quel linguaggio lo masticava quotidianamente (le studentesse e gli studenti universitari veronesi). Allo stesso tempo, però, quel linguaggio mi precludeva una comunicazione senza intoppi con le donne (e gli uomini) fuori dall’accademia (e fuori anche dai circoli femministi). Mi rendevo conto che c’era la necessità di una alfabetizzazione alla differenza, di una propedeutica a quel pensiero, un pensiero che trasforma la realtà attraverso l’uso provocatorio di parole apparentemente neutrali. E su questa cosa non mi sono mai ricreduta, non tanto perché sia convinta che le persone debbano essere indottrinate, ma al contrario perché “là fuori” va avanti, silenzioso e costante, un indottrinamento che fa delle donne quei “maschi imperfetti” di cui il pensiero della differenza ha smascherato l’origine artificiosa e strumentale al patriarcato.

Per tornare al manuale: non che la sfida postami dalla scrittura di quel capitolo avrebbe dovuto risolvere i dilemmi di una società cieca alla differenza, non aspiravo a tanto. Pensavo però che fosse importante fare al meglio una cosa a cui attribuivo un alto valore simbolico. Ed ecco che la mia ‘narrazione’- concentrata per la verità in poche pagine, poi ulteriormente tagliate dall’editore – prendevano nella mia mente la forma di un processo che nasce imperfetto ma si perfeziona nel corso del tempo: da Wollstonecraft a Virgina Woolf è tutta una ascesa verso la luce della differenza…Poi mentre mi documentavo e iniziavo a scrivere successe qualcosa: mi resi conto che la “storia” del pensiero femminile (anche questa è una espressione che trovo ‘di nicchia’ e perciò riduttiva, sempre rivolta ad alimentare una vocazione minoritaria che francamente penso non apparetenga alle donne), che il percorso intermittente e tortuoso della riflessione femminista (preferisco questo termine) parlava da sé. Un esempio, Wollstonecraft e Rousseau: semplicemente accostare queste due figure fa emergere tutta una serie di questioni, di problemi, di silenzi (e di troppe parole) che da soli scrivono un capitolo decisivo non della storia della filosofia ma della storia dell’occidente. E immaginavo che a quei silenzi una buona insegnante di filosofia avrebbe potuto dare voce, come alle vocali non scritte dell’ebraico. Immaginavo però anche che la narrazione storico-filosofica, la scansione diacronica che scelsi per il mio capitolo, potesse servire a far entrare nell’immaginazione delle ragazze (e dei ragazzi) la prospettiva sessuata, e così facendo le collocasse in maniera diversa rispetto a se stesse e rispetto all’istituzione e alla tradizione della filosofia. Non perché la storia del pensiero femminile dovesse sembrare accessoria a quella del pensiero maschile, ma perché la familiarità con quella scansione potesse servire ad avvicinare (ad alfabetizzare) in maniera più facile le/gli studenti con la centralità dell’enorme questione che mi limitavo ad accennare. Con questo spirito ho tentato, e tento tutt’ora, di trasmettere alle studenti e agli studenti la centralità femminista nella storia della filosofia. La denuncia del sessismo è ridondante perché si fa da sola, semplicemente nominando e raccontando ciò che le donne, nella storia della filosofia, hanno pensato e hanno scritto, questa è la mia opinione. Nulla toglie però che ci deve essere una alfabetizzazione, una spiegazione coerente e persino logica – a volte la logica serve – del perché il pensiero neutro-universale è parziale, incompleto, carente se rimane un monologo sull’essere privo di sessuazione, di visibilità e dicibilità per ciò che dall’essere è stato escluso ma che gli ha dato, per così dire, linfa vitale.

La mia sarà forse una posizione eccessivamente ottimista rispetto alla trasmissibilità del sapere filosofico e politico femminile, ma ogni volta che mi accingo a raccontare la storia (a mio avviso sempre appasionante) del perché e del come l’illuminismo e la rivoluzione francese proclamano i ‘diritti dell’uomo’, sicuri della loro bontà e giustezza ma consapevoli dell’eslcusione decisiva su cui quei diritti si fondano, provo un piacere indescrivibile nel veder i volti delle/degli studenti: sorpresi di fronte a una cosa a cui non avevano mai pensato, a cui al liceo forse nessun insegnante aveva fatto cenno, e che pure le/li riguarda da vicino, tocca la loro essenza di umane/i. E’ come raccontare la storia di cappuccetto rosso e cambiare inaspettatamente il finale: li/le vedo spiazzate e incuriosite, di fronte al vuoto di senso che la prospettiva femminista ha aperto loro. L’alfabetizzazione, anche attraverso la semplicità riduttiva del sapere manualistico, non significa a mio avviso né indottrinamento né tantomeno canonizzazione: singifica aprire uno spazio di riflessione, di immaginazione, di autentica pratica del ‘partire da sé’ rispetto a questioni che sembrano lontane e che invece sono vicinissime, vive e pulsanti nel loro riguardare i corpi e le menti delle/gli studenti. Che poi ci siano insegnanti in grado di dare voce a quelle ‘vocali non scritte’ e su cui nessun manuale può essere esaustivo, insegnanti che lascino davvero aperto il vuoto di senso- operato dal femminismo – nella grande storia progressiva dell’occidente, è una questione aperta.