Generazione di idee (2016) https://www.diotimafilosofe.it/
Alessandra Allegrini
Gestazione per altri:
non solo diritto, nè solo mercato.
La GPA (Gestazione per altri) sottintende, o esplicita sventolandola come un programma politico, l’idea di un diritto che tale non è nemmeno nella civiltà delle democrazie europee in cui viviamo: nella realtà è solo un privilegio economico riservato a pochi e dato da una possibilità che la tecnoscienza contemporanea offre, e che il mercato mette in vendita, a caro prezzo appunto. La filosofa Luisa Muraro lo ha sottolineato a più riprese, insieme ad alcune altre voci del femminismo italiano della differenza1.
Guardare alla retorica del diritto che domina l’attuale dibattito sulla GPA dalla prospettiva della tecnoscienza, e viceversa, significa accorgersi di come l’una e l’altra si rafforzino in una tendenza che le accomuna: quella di declinare in termini neutri, o indifferenti, la genitorialità, o se vogliamo la riproduzione. La prima perché si fonda su un’idea di uguaglianza universale e astratta di uomini e donne. Un’idea che, nel nostro presente, è peraltro ingannevole, mistificante, visto che non di diritto si tratta, ma di ragioni di mercato. Di capitalismo. O, più precisamente, di politica neoliberista che, come abbiamo imparato ormai da qualche tempo, è primariamente orientata alle ragioni economiche, al profitto, al mercato. È una politica che sfrutta l’aspirazione alla libertà come auto-imprenditorialità ad esso connesso, camuffandola con libertà democratica, libertà di diritto e diritto alla libertà. Si tratta invece solo di libertà di mettere se stesse e se stessi al lavoro, libertà di mettere la vita stessa al lavoro, corpi delle donne o parti di essi compresi2. La seconda, tecnoscienza, in quanto mezzo, strumento, dunque ulteriormente indifferente in un duplice senso: indifferente perché neutrale, quanto a finalità, ma anche neutra, dal punto di vista di chi la pensa e chi la fa3.
Tra i due – neoliberismo e tecnoscienza – c’è un legame, e svelarlo, o quantomeno ricordarlo, ci può forse aiutare a tenere bene a mente che – come invece sappiamo, almeno per esperienza – la genitorialità non è uguale, indifferente, per donne e uomini. La maternità non è uguale alla paternità.
Potremmo chiederci se la tendenza all’indifferenza dei corpi maschili e femminili – così ben visibile negli Stati Uniti, come spesso ci ricorda Ida Dominijanni – ribadita dal diritto alla GPA uguale per uomini e donne venga resa possibile dalle tecnoscienze della vita e poi sfruttata dal neoliberismo, oppure da questo messa direttamente in campo, prodotta come mezzo di consenso in epoca di perdita di autorità delle istituzioni della politica – dai partiti alle aggregazione di massa (Luisa Muraro, cit.), ma anche in un’epoca che scambia l’ordine della politica con quello economico, il diritto con il privilegio a danno altrui – i corpi delle donne nello specifico. Se ci soffermiamo a considerare le concrete possibilità che la tecnoscienza offre al neoliberismo per creare vantaggi economici per pochi, mi pare che la risposta sia presto data. Ma non è tanto questo piano materiale, abbastanza scontato, e di per se’ scarsamente arginabile se non siamo noi a voler porre limiti di varia natura (giuridici, morali, religiosi, etici), quanto il piano simbolico ad avere più importanza: la simbolica della tecnoscienza4 è quel discorso, o narrazione oggi pervasiva, che ha il potere di autorizzare a fare oltre ogni limite, di qualsiasi natura questo limite sia.
Al di là del peso dei due singoli fattori in gioco –neoliberismo e tecnoscienza – mi sembra che la cosa più importante da sottolineare sia proprio il nesso tra i due ordini di discorso, troppo trascurato a mio avviso nel dibattito in corso5. Va invece messo a fuoco perché, forse, è proprio questa mancanza che ci porta a sua volta ad omettere, o involontariamente rimuovere, l’attuale eredità di un ulteriore intreccio, storicamente originato e largamente documentato anche da parte delle teorie femministe, non da ultimo in ambito di studi di genere: quello tra tendenza all’illimitatezza tecnoscientifica e desiderio maschile.
È questa declinazione storico-simbolica maschile della tecnoscienza, unita all’ordine del neoliberismo capitalista, che porta diritta al cuore della genitorialità indifferente. O che la rende smisuratamente possibile. Non è dunque solo una questione di non-neutralità, ma anche di non-neutro.
In altre parole: l’idea di libertà neoliberista che alimenta un mercato senza limiti6 e che porta a disporre liberamente dei corpi delle donne, come mezzi riproduttivi a scopo di produzione (di figli), si rafforza nell’idea della tecnoscienza stessa come apertura a illimitate possibilità, in chiave prometeica, come superamento di limiti, che il desiderio maschile nella storia occidentale ha ripetutamente attuato.
Sul versante scientifico, femministe di diversa cultura politica e provenienza teorica in passato hanno ricordato con forza questo aspetto della tecnoscienza. Mentre in Italia, negli anni attorno alla tragedia di Cernobyl, si discuteva di “coscienza del limite” alla/nella scienza, in un doppio senso dunque – non solo quello che fa leva su mozioni etiche esterne alla scienza, ma anche quello che conduce a posizionarsi all’interno di essa, per mettersi in cerca di alternative tecnoscientifiche, altre mediazioni tra essere umano e natura che implicano il senso della misura7 -, oltreoceano, la tentazione di indifferenza all’ordine del dato, di ciò che pre-esiste (natura e sesso), intesi come limiti, veniva frequentemente richiamata, per esempio da parte della biologa e teorica femminista Evelyn Fox Keller. A proposito di “genere e scienza” Keller ricordava che la cancellazione della differenza femminile – il genere senza le donne – si intreccia con il farsi della scienza, dalle sue origini. Questo intreccio va sempre tenuto presente: non solo sul lato della scienza, ma anche sul lato della differenza8.
Io però non direi che si tratta di limiti per natura, come parte del dibattito anche femminista sulla GPA oggi ventaglia quando difende la libertà femminile di prescinderne accusando un’altra parte del femminismo, quello della differenza nella fattispecie, di essenzialismo biologico – così si sarebbe chiamato negli anni di Cernobyl -, ma di limiti che la differenza sessuale stessa, se correttamente intesa, porta con se’.
Il corpo, infatti, non è solo biologia.
Note
1 Per esempio, in internet: http://27esimaora.corriere.it/articolo/le-donne-e-9-mesi-di-vitatrasformati-in-mercenon-tutto-e-disponibile/ , http://blog.iodonna.it/marina-terragni/2015/11/02/agacinski-muraro-e-altre-il-femminismo-contro-lutero-in-affitto-nuova-prostituzione/, http://blog.iodonna.it/marina-terragni/2015/06/29/i-gay-le-donne-e-lutero-in-affitto/http://www.libreriadelledonne.it/la-maternita-non-e-in-vendita/, http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/MERCATO-.aspx.
2 Tra i testi recenti si veda per esempio: Tristana Dini e Stefania Tarantino (a cura di), Femminismo e Neoliberalismo. Libertà femminile versus imprenditoria di sé e precarietà, Natan Edizioni, 2014. Sul profitto che la vita messa al lavoro produce in epoca di capitalismo tecnoscientico, illuminanti sono i libri di Melinda Cooper e Catherine Waldby (Life as surplus: Biotechnology and Capitalism in the Neoliberal Era, Washington University Press, 2008; trad. it. La vita come plusvalore, ombre corte, 2013 e Clinical Labour. Tissue Donors and Research Subjects in the Global Economy, Duke Univ. Press, 2014; trad. it. Biolavoro globale, DeriveApprodi, 2015). Il lavoro di traduzione e trasmissione in Italia, davvero prezioso, è di Angela Balzano.
3 Sulla indifferenza della tecnoscienza – nelle doppia accezione di neutro/neutrale – e le sue relazioni con la tendenza del presente alla cancellazione della differenza sessuale sono intervenuta al Grande Seminario di Diotima di quest’anno, accompagnata da Luisa Muraro. Questi e altri aspetti sono contenuti nella relazione che verrà pubblicata nei prossimi mesi – Vita senza esseri umani, tecnoscienza senza differenza. A una ricognizione ampia e complessa sul rapporto tra differenza sessuale/indifferenza nella contemporaneità è stato dedicato il Grande Seminario di Diotima dell’anno precedente. Segnalo in particolare il lavoro fatto da Diana Sartori pubblicato nell’ultimo numero della rivista on line Per amore del mondo N. 13, 2015 (“Noi che non siamo indifferenti”). Molto rilevanti anche gli approfondimenti nella stessa rivista di Lucia Vantini, Stefania Ferrando, Riccardo Fanciullacci, Luisa Muraro.
4 Di “simbolica della tecnoscienza” abbiamo letto tanto negli anni passati, nei testi di Barbara Duden. Per esempio: Barbara Duden, Il corpo delle donne come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita, Bollati Boringhieri, 1994; I geni in testa, il feto in grembo, Bollati Boringhieri, 2006.
5 Torno a ripetere che il legame in questione non è solo di natura pratica – esso non chiama in causa solo gli aspetti applicativi della tecnoscienza, delle biotecnologie in particolare. Da questo punto di vista, le utilizzazioni della tecnoscienza – applicazioni – possono orientarsi anche in senso positivo, in ambito di cura medica per esempio, non solo in termini di mercato, di profitto. È considerando il nesso simbolico tra i due, quello che cioè riguarda il piano del discorso, della narrazione, del linguaggio, dell’ordine di senso, che possiamo interrogare la genitorialità indifferente. Per chiarire meglio questi aspetti dovrei ulteriormente precisare, ma qui non ne ho lo spazio, che la tecnoscienza non è semplicemente la tecnologia, e non è nemmeno l’equivalente degli utilizzi/applicazioni della scienza.
6 Particolarmente visibile, e più spesso sottolineata negli ultimi venti anni, a proposito della finanziarizzazione, virtualizzazione, dell’economia. A questo riguardo mi limito a nominare Christian Marazzi, tra i primi in Italia ad aver parlato di “svolta linguistica dell’economia”.
7 Ho parlato di questo doppio modo di intendere l’idea di “coscienza del limite” – che ha animato il dibattito italiano sul femminismo e la scienza durante gli anni di Cernobyl nel saggio: 1978-1986. Alle origini del “Coordinamento Nazionale Donne di Scienza”, Fondazione Brodolini Ed., pp. 66-67, nell’ambito della ricerca promossa dall’Associazione Donne e Scienza. Segnalo in particolare il contributo, fondamentale nel dibattito di quegli anni, di Elisabetta Donini.
8 In diverse occasioni, già nel noto Reflections on Gender and Science, Yale University Press, 1985; trad. it. Sul genere e la scienza, Garzanti, 1987. In lingua italiana si veda anche: Evelyn Fox Keller, Elisabetta Donini, Conversazioni con Evelyn Fox Keller. Una scienziata anomala, Editrice A, sez. Elèuthera,1991.