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per amore del mondo Numero 9 - 2010

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Una per una. Il femminile e la psicoanalisi

Una per una. Il femminile e la psicoanalisi

a cura di Paola Francesconi, Borla, Città di Castello 2007.

 

Cosa dicono le psicoanaliste dell’essere donna oggi? Si sa che si tratta di una questione che sta al centro della psicoanalisi, ma contemporaneamente in ombra. Agli inizi del Novecento Freud aveva messo a punto, sperimentato e appreso il metodo di cura con le parole a partire dagli scambi avuti con le donne che avevano scelto di affidarsi a lui. Da uomo rigoroso, lo aveva riconosciuto e aveva anche accettato, con onestà di pensiero, ormai avanti nel percorso di sperimentazione delle tecniche psicoanalitiche, che proprio le donne erano per lui il continente nero, insondabile della psicoanalisi.

Agli inizi degli anni ’70 Lacan, nel seminario XX Ancora, aveva parlato della diversa posizione degli uomini e delle donne nei confronti del linguaggio, descrivendo una loro posizione asimmetrica in rapporto al godimento. Ma Lacan, quando scriveva questo testo dove la differenza femminile e quella maschile erano al centro del suo discorso, era direttamente e indirettamente confrontato con il movimento femminista francese e italiano. Non solo: alcune psicoanaliste come Irigaray o pensatrici come Kristeva, riprendevano liberamente alcuni spunti dei suoi seminari per affrontare la questione di che cosa fosse il processo di soggettivazione femminile, in rapporto all’inconscio, il desiderio e le pulsioni.

Questo libro si inscrive nell’oggi, dopo quarant’anni di femminismo che si è profondamente confrontato con la psicoanalisi, scritto da un gruppo di psicoanaliste di formazione lacaniana che tengono conto del dibattito intercorso in questi anni.

Due dei saggi del libro si muovono in una prospettiva storica. Il primo parla dello snodarsi delle posizioni femministe in considerazione dell’ecclisse del “Nome del Padre”, ovvero del tramontare del patriarcato. È di Luisella Mambrini, che ricostruisce il pensiero della differenza sessuale in Italia sottilmente criticandolo di aver voluto sostituire il Nome del Padre con il Nome della Madre, e fa riferimento a Luisa Muraro e a Diotima, comunità di filosofe. Mentre recupera di Muraro la teologia in lingua materna perché la vede come un arricchimento al concetto lacaniano di godimento femminile in rapporto alla parola Dio. Inscrive in questo orizzonte della differenza sessuale anche il pensiero di Rosi Braidotti, critico nei confronti del femminismo statunitense. E infine si ferma su Butler, vista come un’antagonista di Lacan. Questo testo di Mambrini traduce il percorso filosofico della differenza sessuale in termini che in più parti lo semplificano, ed è curioso specchiarsi in uno specchio così deformante.

Il secondo testo ricostruisce il percorso delle pensatrici e scrittrici in rapporto alla psicoanalisi dal periodo vittoriano fino a Virginia Woolf, passando per Lou Salomé. Mi sembra che la frase che costituisce il taglio di questo testo sia riassumibile nell’osservazione dell’autrice, Céline Menghi, che «la verità, come la clinica mostra, concerne la modalità singolare di ciascun soggetto di saperci fare con il godimento al di là del senso» (ivi, pag. 128). Questo è il filo conduttore che lei ritrova nelle scrittrici e pensatrici del passato prese in considerazione.

Accanto a questi due testi di ricostruzione storica, mi sembra che le linee del libro siano sostanzialmente tre, confrontate con la presa di posizione di Lacan sulla donna formulata a partire dalla fine degli anni ’60 e soprattutto con le tesi innovative degli anni 1972-73. In questi anni Lacan mette in rilievo che anche le donne sono sottomesse alla funzione significante dominante del Nome del Padre, che impone una legge e una limitazione al godimento e un rilancio del desiderio, tuttavia le donne sono attraversate anche da un godimento diverso da quello regolato dalla castrazione. Scrive Rosa Elena Manzetti, riportando le tesi di Lacan, che il godimento dominante «è un godimento in sintonia con il significante, localizzato, limitato fuori corpo, quello che al soggetto è lasciato dalla castrazione», le donne non sono tutte in esso, ma sperimentano in più un godimento altro, che non è determinato da alcun oggetto, e che è «un godimento supplementare, precluso dal simbolico e quindi fuori inconscio» (ivi, pag. 11).

Che ne è di questo godimento libero, infinito? Ora, una linea del libro mostra come sia l’amore, che per le donne implica il godimento, a fare da sponda e accompagnamento orientante ad un godimento che altrimenti sarebbe senza forma, sfuggente per linee infinite e molteplici. È una tesi che leggiamo, declinata diversamente, in Rosa Elena Manzetti, Emilia Cece, Isabella Ramaioli, Laura Storti. Da un lato questa linea dà conto del troppo amore che le donne inseguono, e che sembra senza oggetto, e dall’altro l’amore risulta l’orientamento quasi simbolico che dona forma all’espandersi infinito del godere.

Ma ci sono altre due linee nel libro, una di Luisella Brusa e l’altra di Paola Francesconi, la curatrice del libro. Entrambe partono dalla asimmetria tra le donne e gli uomini rispetto al simbolico e al godimento e si pongono la domanda: che ne è di questo godimento femminile se lo si considera in rapporto alla legge simbolica retta dalla funzione paterna?

Luisella Brusa sostiene che, nel caso del godimento femminile, «bisogna riferirsi ad un Nome-del-Padre che non coincide con l’attivazione della funzione di castrazione, che non è preso come garante della completezza dell’Altro»(ivi, pag. 60), piuttosto il Nome-del-Padre nel caso del godimento femminile funziona come possibilità di rilancio del godimento stesso, un cominciare sempre di nuovo ad esprimere simbolicamente tale esperienza, singolare, che ogni volta rappresenta un’eccezione. A me sembra che Brusa si serva di questo diverso modo di darsi del Nome-del-Padre per garantire a posteriori una capacità femminile di esprimersi simbolicamente sempre di nuovo e in modo singolare, che lei vede nelle donne. Molto bella però la sua attenzione all’invenzione simbolica, all’annodamento simbolico, da rifare di contesto in contesto.

Paola Francesconi parte non tanto da una mancanza femminile, quanto da una eccedenza delle donne rispetto alla legge simbolica paterna. Cosa fare di questo eccesso, che risulta un niente rispetto alla simbolizzazione paterna senza cadere nelle patologie contemporanee della depressione e della bulimia?  La soluzione è diversa da quella di Brusa. Nella crisi contemporanea della funzione paterna e dell’aggancio all’Altro che tale funzione simbolica garantiva, c’è la possibilità per le donne di riferirsi al “punto di alterità tra sé e sé”, al punto di alterità che ognuna custodisce, e che rappresenta la possibilità di un processo di simbolizzazione. Con questo punto di leva è possibile il nominare il godimento d’essere, e farne parola. Farlo circolare simbolicamente e dunque socialmente, non lasciandolo muto.

Da qui Francesconi prende spunto – nell’introduzione al libro – per suggerire che oggi, nella crisi della funzione paterna e più in generale delle consuetudini e delle tradizioni, è una chance questa capacità femminile di godere dell’essere fuori dal simbolico dominante. Non solo per le donne ma per la società nel suo complesso. Con le sue parole: «La serie infinita dell’una per una risponde al vuoto di essere della femminilità, che Lacan trasforma spostandolo dal piano della mancanza, del deficit fallico, a quello della creazione a partire dal nulla, dell’invenzione del proprio modo di essere che non è già previsto, mutuabile da una batteria simbolica già pronta, o preparata dalla trasmissione. Tale logica del non tutto è una risorsa per la donna, ciò che la fa esistere, ma anche una opportunità per le impasse che la società contemporanea attraversa nella crisi che colpisce gli ideali collettivi, nella parcellizzazione di punti di riferimento, degli stili di vita» (ivi, pag. 7). In questo senso, per Francesconi, la capacità femminile di invenzione singolare e contingente è in qualche modo potenzialità e ricchezza per un mondo nel quale le grandi narrazioni unificanti sono venute meno. In questo senso – lei sostiene – è in atto già una femminilizzazione della società.