diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 9 - 2010

Filosofe dal passato

Sinesio di Cirene come specchio esistenziale e fonte per la ricerca su Ipazia d’Alessandria

 

Pedro Jesús Teruel, Gruppo di ricerca “Nóesis”, Università di Murcia (Spagna)

 

La prima sezione di questo contributo è dedicata a mettere in rilievo le fonti primarie e secondarie riguardanti la vita e l’opera di Sinesio di Cirene, la cui vicenda esistenziale viene ricostruita nella seconda sezione. Nella terza invece si accerta l’ipotesi che vede in Sinesio lo specchio e la fonte primaria sulle impostazioni teoretiche e l’indole personale di Ipazia d’Alessandria. Vi si analizza la portata sotto cinque aspetti: metodologico, tematico, pratico, spirituale e affettivo.

 

 

 

Sinesio di Cirene è uno dei personaggi più affascinanti dell’Antichità. Visse ai margini territoriali dell’Impero e tuttavia la sua vicenda esistenziale si situò al centro del dramma storico del declino di un modello culturale al quale rimase fedele testimone. Il filosofo della Cirenaica ha attirato un considerevole interesse nell’ambito degli studi storiografici. Ciò nonostante resta sempre una figura alquanto nascosta, fuori dai percorsi più noti degli itinerari scolastici. Sia i suoi contributi letterari che le sue impostazioni filosofiche meritano di essere ripresi e analizzati. Nelle pagine che seguono noi ci soffermeremo sulla sua portata in quanto discepolo di Ipazia d’Alessandria e fonte per la ricerca in proposito. Il suo rapporto privilegiato con Ipazia –prima nella città del Delta, poi tramite la sua corrispondenza– fa di lui la fonte principale quando si vuole ricostruire sia l’atmosfera e l’insegnamento nel cerchio dei discepoli di Ipazia, che l’indole filosofica e spirituale della maestra. Lo stesso Sinesio sarebbe stato contento di diventare il portavoce di Ipazia nei secoli venturi – come, a mio avviso, è di fatto avvenuto.

La prima sezione di questo contributo è dedicata a rilevare le fonti primarie e secondarie riguardanti la figura di Sinesio. Sulla loro base ricostruirò in seguito gli avvenimenti fondamentali della sua vita, per giungere finalmente alla considerazione della sua indole personale e delle sue impostazioni filosofiche come specchio dell’insegnamento e della figura di Ipazia d’Alessandria.

Questo testo è stato concepito nel trascorso di un periodo come visiting researcher all’Università di Verona. Il mio ringraziamento è indirizzato anzitutto a Ferdinando Marcolungo, Marco Sgarbi e Laura Arnaldi per la loro cordiale accoglienza nel dipartimento, così come a Riccardo Pozzo per le sue indicazioni previe al soggiorno. Per la revisione del testo ringrazio di cuore Claudio Paravati. Voglio esprimere la mia profonda riconoscenza a Chiara Zamboni, Gemma Beretta e la comunità filosofica femminile Diotima per l’invito a esporre all’interno del loro circolo le riflessioni che vengono riportate nelle pagine che seguono.[1]

 

 

 

  1. Le fonti su Sinesio

 

 

  1. 1. Corpus sinesiano

 

 

La fonte primaria per ricostruire sia la vicenda personale di Sinesio che le sue impostazioni intellettuali ci viene fornita dai suoi propri scritti. A facilitarne la trasmissione è stato senza dubbio il fatto che lui fosse vescovo durante gli ultimi tre anni della sua vita. I posteri vi hanno apprezzato specialmente la finezza letteraria, l’elaborazione retorica e lo sfondo ricco di rimandi alle fonti classiche tra le quali Sinesio si muove con grande naturalità e dimestichezza.

La fonte biografica principale all’interno del corpus sinesiano è integrata dalle 156 lettere autentiche che sono pervenute a noi in più di duecento codici, dei quali i più antichi sono custoditi presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze e la Biblioteca Angelica di Roma.[2] Il loro contenuto abbraccia un variegato ventaglio di registri letterari, fra i quali vi si trovano testimonianze biografiche che ci aprono il tesoro spirituale delle sue convinzioni, dei suoi dubbi e delle sue perplessità, formando così un documento storico di enorme valore culturale.[3] Simili nella loro dispersione cronologica ma molto più ridotti per quanto riguarda la loro estensione, gli inni poetici composti da Sinesio sono particolarmente interessanti per l’accertamento dell’evoluzione dei suoi concetti filosofici neoplatonici verso nozioni teologiche cristiane.[4]

Sinesio scrisse sette opere delle quali sei sono state tramandate a noi grazie alla loro favorevole ricezione medievale e rinascimentale. Anche se la datazione non è esente da imprecisioni, a mio avviso li si può ordinare cronologicamente come segue: (1) La sua prima composizione sarebbe stata un’opuscolo dedicato alla caccia dal titolo Cinegetiche, scritto in periodo giovanile prima del 393. (2) Nel 400 e davanti ad Arcadio, capo dell’Impero romano orientale, Sinesio pronunciò un discorso che doveva fungere da captatio benevolentiae per gli scopi dell’ambasciata di cui faceva parte e che porta il titolo All’imperatore sulla regalità.[5] (3) Molto vicino nel tempo (forse nell’anno 401) redasse un piccolo trattato filosofico-tecnico che accompagnava un planisfero celeste inviato in omaggio a un notabile e militare a Costantinopoli; è stato pubblicato come A Peonio sul dono.[6] (4) Gli avvenimenti vissuti in prima persona a Costantinopoli sono a noi noti grazie agli scritti redatti però in chiave mitologica, i Racconti egiziani o la provvidenza attorno al 402-403.[7] (5) Rientrato nella Cirenaica scrisse la sua opera filosofica maggiore, il Dione o del viver secondo il suo ideale, nel periodo 405-410.[8] Allo stesso periodo appartengono sia (6) il trattato Sui sogni[9] che (7) lo scritto in chiave ironica Encomio della calvizie[10]. Oltre a esprimere –in registro filosofico, narrativo, poetico e persino umoristico– il suo pensiero, tutti questi testi ci forniscono dei dati biografici che contribuiscono a ricostruire la biografia di Sinesio.

 

 

 

  1. 2. Studi

 

La ricezione storica delle opere di Sinesio è stata segnata al contempo da un forte interesse letterario. In questo senso risulta molto significativo il giudizio di Georg Grützmacher: «Il filosofo neoplatonico Sinesio non ebbe forza produttiva; lo scrittore invece occupa un posto di privilegio nella storia della letteratura greca senza aprirvi tuttavia dei cammini propri e nuovi. L’uomo e cristiano Sinesio però è un autentico e ruspante fenomeno a parte».[11] L’indicazione sulla suddetta mancanza di produttività esprime un modo di capire l’attività filosofica che non condivido; tuttavia la valutazione dello studioso coglie il senso del tramandamento storico degli scritti di Sinesio, dai quali si è apprezzato di solito il valore letterario e retorico così come lo sbocciare di un accattivante mondo affettivo e sentimentale.

È stato l’interessamento alla sfaccettatura biografica di Sinesio a sollecitare l’ispirazione dei letterati. Ne fu uno dei primi l’inglese Charles Kingsley nel suo romanzo Ipazia ovvero nuovi nemici con una vecchia faccia (1853).[12] In epoca recente, e prendendo le mosse dal matrimonio del filosofo, il tedesco Stephan Andres ha scritto La tentazione di Sinesio (1971).[13] In Italia, Mario Luzi ne ha fatto il protagonista nel suo racconto Il messaggero, riportato nel Libro di Ipazia (1978)[14]; come anche il veronese Paolo Bertezzolo nel suo poetico Il tempo della danza (2004).[15] Molti romanzi o drammi su Ipazia presentano la figura di Sinesio come appoggio narrativo o addirittura come simbolo di certi atteggiamenti riconducibili semmai al suo contesto storico; ne è un caso, paradossalmente rovesciando l’indole di Sinesio, la ricreazione realizzata nel film di Alejandro Amenábar Agorà.[16]

Oltre alle ricostruzioni romanzesche o liriche, la figura di Sinesio è stata oggetto di approfonditi studi filologici, storiografici e biografici che conoscono due grandi momenti. Ne è stato il precedente l’interessamento da parte delle cronache antiche, medievali e rinascimentali che tramandano i dati della sua biografia e l’elenco delle sue opere. In epoca moderna invece, ne possiamo trovare un primo accostamento nell’opera di Clausen, pubblicata in latino a Copenaghen, Attorno a Sinesio, filosofo della Libia (1831).[17] Il primo momento importante nella ricezione della figura di Sinesio coincide con l’apice degli studi storico-teologici in Germania e si prolunga durante la seconda metà del secolo XIX e i primi decenni del secolo XX. In questa fascia cronologica sono state pubblicate le monografie di Volkmann[18], Fritz[19], Kleffner[20], Wilamowitz-Möllendorf[21] e Hemerlin[22] e i contributi su riviste scientifiche di Kraus[23], Seeck[24], Fritz[25], Koch[26], Stiglmayr[27] e Campenhausen[28]. A mio avviso, l’opera di riferimento in epoca moderna è la minuziosa biografia di Georg Grützmacher Sinesio di Cirene: un profilo biografico dagli ultimi tempi dell’ellenismo in declino (1913)[29]. Il fatto che le principali fonti di questo periodo siano scritte in lingua tedesca testimonia un interessamento che può essere collegato sia al progetto di ricostruzione delle fonti dell’Antichità cristiana –riflettuto nella concezione di note opere monumentali in proposito– che al fascino nei confronti delle civiltà classiche le cui tracce venivano indagate appunto dagli scavi archeologici e nelle collane storiografiche favorite dall’Università humboldtiana. Tuttavia vi furono degli studi in altre lingue, soprattutto in inglese (Gardner[30], Nicol[31], Crawford[32], Pando[33], Coster[34]), ma anche in francese (Druon[35], Festugière[36]) e italiano (Terzaghi[37], Bettini[38]).

Il secondo momento della ricezione accademica di Sinesio è iniziato attorno agli anni settanta del secolo XX. Le pubblicazioni in lingua italiana vi hanno raggiunto un notevole livello qualitativo e quantitativo. Vi si trovano le monografie di Casini[39], Dell’Era[40] e Di Pasquale[41]; così come i contributi di Bizzochi[42], Cavalcanti[43], Desideri[44], Garzya[45], Janni[46] e Pizzone[47]. La rilevanza degli studi italiani è testimoniata altresì dall’edizione critica integrale, portata avanti da Antonio Garzya, inizialmente con la pubblicazione indipendente delle lettere[48], e che ha dato in seguito origine alla grande edizione greco-italiana delle opere di Sinesio.[49] La scuola tedesca continua a fornire degli studi in proposito: monografie di Treu[50], Vogt[51], Vollenweider[52] e Hagl[53] e studi come l’articolo di Luchner[54]. In inglese sono stati pubblicate le monografie di Bregman[55] e Roos[56] e gli articoli di Marrou[57], Bregman[58], Barnes[59] e Liebeschütz[60]. Allo stesso modo troviamo degli studi in lingua francese (come quelli di Lacombrade[61], Coman[62] e Roques[63]) e spagnola (Piñero[64], Ramos[65], García Romero[66], Blázquez[67]). L’edizione del corpus realizzata da Garzya è servita da riferimento filologico e strutturale per la versione degli scritti sinesiani in altre lingue, come quella eseguita con merito da Francisco Antonio García Romero in Spagna.[68]

 

 

 

  1. Ricostruzione della biografia

 

 

Sinesio è nato probabilmente nell’anno 370; era dunque quindici anni più vecchio di Ipazia. Il contesto geografico della sua crescita e formazione iniziale è stato quello della nativa Cirenaica, situata nella zona settentrionale della Libia, circa ottocento chilometri ad ovest di Alessandria. La regione era stata incorporata nel raggio politico della Grecia nel secolo VII a. C. I coloni greci vi avevano trovato «tutto quello che abbisognavano: le distese di frumento più fruttuose, vasti colli con aria pura, una terra costiera ricca di boschi e attraversata da freschi ruscelli».[69] Alla morte di Alessandro Magno la zona cadde sotto l’influsso dell’ Egitto e dal 96 a. C. di Roma. All’epoca di Sinesio la regione si trovava in una congiuntura alquanto drammatica, causata dal terremoto del 365 e dalla siccità dilagante.[70]

Sinesio tuttavia potè condurre un’infanzia lontano da tali difficoltà e ricca di stimoli, nella tenuta che i suoi genitori possedevano ad Agemaco. Basandomi sugli indizi forniti dallo stesso autore in una delle sue lettere mi sembra possibile affermare che la tenuta si sarebbe trovata a circa 250 chilometri a sudest di Cirene. Ad Agemaco Sinesio ricevette una notevole formazione culturale in grammatica, ginnastica e musica, segnata dalla vicinanza alle fonti letterarie classiche –Omero in particolare– la cui padronanza esibirà con grande naturalezza nei suoi scritti. Il giovane Sinesio mostrò un piacere per la vita nella natura, per il gioco con gli animali e per la caccia superiore a quello che si poteva aspettare dai giovani della sua età. Ne è  testimone la sua prima composizione letteraria, Cinegetiche, che gli era stata chiesta dai suoi coetanei e che purtroppo è andata perduta.

Attorno all’anno 393-394 fu inviato ad Alessandria per completare la sua formazione. Non è difficile capire il motivo della scelta: la città del Delta era il fulcro culturale più luminoso dell’Impero (paragonabile solo a Roma ed Atene); inoltre vi insegnava una filosofa la cui fama aveva già raggiunto le regioni limitrofi e alle cui lezioni accorrevano discepoli da diverse provenienze: Ipazia.[71] Più avanti ci soffermeremo sul tipo di insegnamento che veniva offerto e sulla cerchia di discepoli che là allacciarono amicizie. Sinesio si fermò ad Alessandria per circa due anni. Prima di tornare in patria viaggiò ad Atene, attirato dalla sua fama filosofica. Ne rimase però deluso, come riconoscerà egli stesso, nel constatare il decadimento di una città, a cui non restava altro che rimpiangere il proprio illustre passato, potendosi vantare oramai soltanto del miele del monte Imeto.[72]

Rientrato nella Cirenaica, si recò nella tenuta di Agemaco dove condusse una vita solitaria dedicata all’ozio. L’ozio filosofico occupò un posto di onore nelle esperienze vitali e nell’orizzonte ideale di Sinesio. Esso fornisce le condizioni precise per la teoria (jewría): soltanto tramite la serena contemplazione del cosmo e lo studio minuzioso si può giungere a una conoscenza che meriti questo nome, che sia vera scienza (Êpist®mh) e non soltanto opinione (dóxa). Tra le sue vicissitudini personali cercò sempre quindi di tenersi il tempo e lo spazio utili per garantire l’ozio, che tanto aveva goduto durante gli anni felici, passati ad Agemaco.

Le sollecitazioni esterne ostacolarono in più momenti il raccoglimento di Sinesio. Appena rientrato ad Agemaco si verificò la prima sortita delle tribù nomadi del deserto (ausuriani), dalle quali –dato l’ormai scarso numero di soldati romani distaccati e la disfatta interna di un’esercito dilaniato dalla corruzione– furono gli stessi abitanti a doversi difendere. In lettera a Ipazia scrisse:

 

Son tante intorno a me le sventure della mia patria che a malapena le sopporto. Non vedo ogni giorno che armi nemiche e uomini sgozzati come vittime sacrificali, respiro un’aria inquinata dalla putrefazione dei cadaveri, m’aspetto che tocchi anche a me qualche consimile sciagura. E chi potrebbe bene sperare quando il cielo è tutto coperto dalla fosca ombra degli uccelli da preda? Eppure, anche in questo stato io amo la patria. E che altro potrei, Libico qual sono, nato qui, con qui sotto gli occhi le tombe dei miei antenati?[73]

 

Sinesio prese parte alla respinta degli invasori. Poi potè godere di mesi, addirittura anni, di ozio filosofico ad Agemaco. Nel 399 ricevette però un incarico che era chiamato a distoglierlo a lungo dalla sua amata vita rurale. Furono probabilmente i suoi parenti ed amici a promuoverlo a un compito richiesto dal governo di Cirene. L’estrematamente difficile congiuntura economica consigliava di sollecitare una diminuzione delle tasse all’Impero. A questo scopo fu allestita un’ambasciata al cui capo –così gli si chiedeva– sarebbe andato lui. Il senso di cittadinanza di Sinesio lo spinse ad accettare senza indugio, anche se riteneva l’ambasciata un fastidioso compito al quale desiderava mettere fine al più presto.

Davanti all’imperatore Arcadio, Sinesio pronunciò un discorso articolato secondo i criteri del genere speculum principis, che esso stesso contribuì a stabilire. Parlò con liberalità sulle virtù, sulla schiettezza e sull’austerità di cui Arcadio aveva bisogno per diventare padrone di se stesso e dell’Impero affidatogli da suo padre cinque anni prima. Sinesio dirà di aver parlato con più sincerità di quella che non avesse usato mai prima un greco in presenza dell’imperatore.[74] Il discorso fece effetto e la Cirenaica ottenne la riduzione delle tasse. Durante i mesi che trascorsero a Costantinopoli Sinesio allacciò amicizie con i notabili che condividevano con lui il senso della grecità e la visione ellenizzante dell’Impero; fra di essi si trovavano il console Aureliano (con il cui aiuto ottenne lo scopo dell’ambasciata), e il militare Peonio. Tuttavia le vicende politiche dei mesi successivi sembrarono cancellare tutto ciò che era stato ottenuto. Aureliano cadde in disgrazia e venne sostituito da suo fratello Cesario, appoggiato dal gallo Gainas. Nei Racconti egiziani o la provvidenza Sinesio descriverà l’accaduto sotto la veste di narrazione mitologica, con protagonisti il virtuoso Osiri [Aurelliano], e il malvagio fratello Tifone [Cesario]. E’ grazie a questo testo che possiamo rintracciare le difficoltà vissute nella corte durante quei mesi. Sinesio –descritto nei Racconti come un filosofo pagano, educato alla schiettezza e alla rusticità (vi si impiega il termine comparativo Âgroikóteron)– non esitò a manifestare la sua opposizione a Cesario; per questo motivo sarebbe stata disdetta la diminuzione delle tasse e lui stesso sarebbe stato costretto a rimanere in città. La caduta in disgrazia di Cesario e Gainas in seguito alla rivolta dei galli a Costantinopoli permettè ad Aureliano di recuperare il potere e rilasciare di nuovo alla Cirenaica i benefici accordatele prima. Sinesio potè in questo modo rientrare in patria dopo un breve soggiorno ad Alessandria.

Le vicende degli anni successivi sono state oggetto di ricostruzioni diverse tra le quali le principali alternative sono quelle di Seeck e Grützmacher. Sulla base di argomenti che ho sviluppato altrove[75], credo che l’ordine degli avvenimenti sia stato come segue. Tornato ad Agemaco, Sinesio assistette a nuove sortite delle tribù barbariche e prese parte alla difesa della Cirenaica. Espulsi gli ausuriani tornò in Alessandria nel 403, questa volta per sposarsi. Su sua moglie possiamo congetturare che fosse una giovane alessandrina, probabilmente appertenente a una famiglia nobile, credente cristiana. A unirli in matrimonio fu il vescovo e patriarca Teofilo, con il quale Sinesio manterrà un rapporto amichevole lungo tutta la sua vita. Dopo aver abitato per mesi ad Alessandria, durante i quali nacque il loro primogenito Esichio, viaggiarono nella Cirenaica per stabilirsi nella tenuta di Agemaco.

Non trascorsero molte settimane prima della seconda invasione barbarica. Questa volta Sinesio diventò il capo della resistenza armata, data la scarsità e inefficacia delle truppe romane, testimoni nuovamente della fuga del loro comandante. Oltre a guidare le operazioni di difesa, diresse la costruzione di congegni –ad esempio catapulte– ed ebbe modo ancora di scrivere delle lettere che testimoniano il modo in cui affrontò la possibilità della sconfitta e la propria scomparsa:

 

Se invece la morte sarà inevitabile, sta qui il vantaggio della filosofia, nel non ritenere affatto temibile uscir fuori da questo involucro di misera carne. Non posso tuttavia garantire veramente che alla presenza di mia moglie e del bambino saprò frenare le lacrime. Possa la filosofia darmi tanta forza! Ma possa io non doverne mai fare esperienza, mai o salvatore, mai, o protettore della libertà![76]

 

L’allusione a Cristo sotto i titoli di Giove, così come gl’inni di fatta teologica –oltre al fatto di essere stato sposato dal patriarca di Alessandria– ci permettono di congetturare che la sua conversione al cristianesimo sia già avvenuta, e che dunque abbia avuto luogo tra gli anni 400 e 403 d.C. Ad avvicinarlo alla fede cristiana sono stati probabilmente l’apertura nei confronti del religioso, appresa alla scuola di Ipazia, l’amicizia con i compagni cristiani ad Alessandria –tra i quali Olimpio, Erculiano ed Esichio– e con notabili come il console Aureliano; così come il rapporto con quella che sarebbe stata sua moglie. I testi lirici di questi anni testimoniano in modo affascinante lo scivolamento da un registro letterario assimilabile alla spiritualità neoplatonica verso le espressioni specifiche della teologia cristiana.

Gli anni di serenità conosciuti ad Agemaco insieme alla sua familia fra il 405 e il 410 fornirono l’occasione per scrivere gli altri tre trattati filosofici ai quali ho già accennato. Il primo di essi è probabilmente il Dione o sul viver secondo il suo ideale, opera nella quale prende le mosse dalla vita e l’insegnamento del filosofo cinico Dione di Prusa (o Dione Crisostomo) per mostrare quali sono i criteri dell’autentica vita filosofica: una vita che non respinge né la contemplazione e lo studio delle fonti classiche (come fanno invece quelli –probabilmente si riferisce agli asceti del deserto– che pretendono di poter elevarsi spiritualmente evitando ogni fatica intellettuale) né la formazione fornita dalle arti (come vorrebbero fare invece i filosofi specialisti). Si tratta dunque de una vera e propia dichiarazione sul modo in cui Sinesio concepisce il suo modo di vita.

A questo periodo appartiene uno scritto inusuale nel tono intitolato Sui sogni. Vi è proposta la via dell’interpretazione dei sogni come cammino per giungere alle profondità nascoste dell’animo umano. Ne sarebbe il fondamento la considerazione della fantasia come organo spirituale che va coltivato e raffinato attraverso una scelta di vita morale. Sinesio vi aggiunge delle opportune precisazioni che mettono in rilievo il suo interesse per i sogni come fatto spirituale al di là di ogni rituale o sortilegio, indicazioni che stanno a sottolineare la distanza fra il suo pensiero e le pratiche magiche che erano state proibite più volte durante gli ultimi decenni.

Il terzo scritto di questa seconda tappa (e ultimo dei trattati sinesiani che ci sono pervenuti) consiste in uno scherzoso testo sull’indole virtuosa che verrebbe dimostrata nell’uomo grazie alla sua calvizia: Encomio della calvizie. Nonostante fosse scritto con intenzioni retoriche, questo testo conobbe addirittura una confutazione scritta di qualche anno dopo, da un autore bizantino.[77]

Nel frattempo erano già nati i fratellini di Esichio, due gemelli la cui nascita potrebbe essere situata nel 405 d.C. La vita familiare venne arricchita in seguito dalla presenza dei due nipoti di Sinesio, figli del suo fratello Evozio, giunti ad Agemaco per agevolarne gli studi insieme allo zio.

Nell’anno 410, Sinesio ricevette un incarico che probabilmente non si sarebbe mai aspettato. Essendo rimasta vacante la sede episcopale di Tolemaide, i fedeli riuniti in assemblea avevano acclamato Sinesio come vescovo; era stata istituita una commissione per sorvegliare il caso. A rendere ben accetta e voluta l’elezione erano state la sua squisita formazione intellettuale e l’impegno a beneficio della città dimostrato nell’ambasciata a Costantinopoli; la coraggiosa difesa durante l’invasione dei barbari, così come la sua indole personale affettuosa, disposta all’aiuto fraterno e tendente a cercare l’unità e la riconciliazione. Più tardi si rammaricherà di avere suscitato nei suoi concittadini una tale fiducia in ciò che lui definì più tardi una mera “presunzione di potere”.[78]

Sinesio fu preso dai dubbi e dalle perplessità. Ne troviamo preziosa testimonianza in una lunga lettera indirizzata a suo fratello Evozio.[79] Sono cinque le riserve riguardanti l’accettazione della proposta, che ho analizzato altrove[80]. Mi soffermo qui su due di esse: la prima riguarda la difficoltà a proseguire, in qualità di sacerdote e vescovo, il modo di vita da lui iniziato, incentrato sull’ozio filosofico, senza il quale non sarebbe neanche in grado di dare il contributo spirituale e comunitario a lui richiesto; il sacerdote invece deve essere disponibile a tutti e immergersi in tutti i contesti in cui la sua presenza venga richiesta. La seconda obiezione, per noi ora rilevante, riguarda il tipo di insegnamento affidatogli. Come filosofo, Sinesio non può tradire la verità che ha scoperto nella contemplazione; le sue vedute su alcune questioni dottrinali si distaccano da quelle accettate dal volgo. Ne fornisce tre esempi –la creazione dell’anima in seguito al corpo; la distruzione finale del cosmo e le sue parti; la risurrezione del corpo– sul cui senso ci soffermeremo più avanti. Queste obiezioni mi sembrano importanti perché mettono in rilievo fino a quale punto la fede cristiana sia intrecciata in modo originale con le impostazioni filosofiche di Sinesio.

Le riserve così mostrate non furono ritenute un impedimento da Teofilo. Dopo più di sei mesi di riflessione trascorsi fuori Cirene, Sinesio decise di rientrare in patria per essere ordinato sacerdote e vescovo, fatto che avvenne con ogni probabilità nella Quaresima del 411 o nel primo giorno del 412.[81] Fu così che incominciò quella che ho denominato ‘triplice tragedia esistenziale’ di Sinesio.

La prima dimensione di essa riguarda la perdita dell’ozio filosofico –senza il quale la vita, a suo dire, diventa invivibile– dovuta all’immersione nelle attività di governo rese ancora più febbrili dall’interno sgretolamento delle istituzioni dell’Impero e la chiamata in causa dell’autorità vescovile per garantirvi l’ordine sociale. La seconda tragedia proviene dal contrasto fra la sua indole personale –da quello che sappiamo alquanto pacata, capace di accogliere le opinioni altrui e indirizzata alla concordia– e la durezza degli avversari politici che deve combattere. Oltre alla lotta contro le eresie (ariana, eunomiana) e l’obbligo di mediare nei conflitti disciplinari o canonici, Sinesio si deve confrontare con il nuovo governatore (Cyrenaicae praeses), Andronico di Berenice. Sembra che Andronico sia stato una persona di scarsa formazione e indole superba, che approfittò della sua posizione per ottenere benefici economici senza badare alle conseguenze; senza esitare a usare la tortura contro coloro che non si piegarono ai suoi scopi. Dopo diversi tentativi di mediazione e avendo accertato l’incapacità di opporsi alla malvagità del governatore, Sinesio convocò un sinodo nel quale Andronico e i suoi vennero scomunicati. Il testo di scomunica (inviato nel 412) è il primo esempio di scomunica noto nella storia della Chiesa.[82] Il fatto che sia stato Sinesio –un pensatore tanto permeabile agli influssi dottrinali– il suo artefice si lascia facilmente spiegare se teniamo in conto che si trattò di una misura disciplinare mirata a difendere i cittadini dalle scelleratezze di un personaggio scaltro e pericoloso. Molto dovette patire Sinesio per causa sua. L’intera faccenda si intrecciò nel tempo con la sua terza tragedia esistenziale: la perdita dei figli. È lui stesso a raccontare come il dolore provocato dalla morte di Esichio sia stato in un certo modo sovrastato, e quindi in qualche maniera represso, solo da una altrettanto profonda indignazione per l’atteggiamento di Andronico, che lo spinse in questo modo a volgersi nuovamente all’azione, senza lasciarsi andare all’angoscia.

La perdita degli altri figli sommerse Sinesio in uno stato di nostalgia dal quale non uscì più. Fu egli stesso a parlarne in lettera a Ipazia:

 

La mia debilitazione corporale è la conseguenza di ragioni dello spirito. Il ricordo dei figli che non sono più mi consuma a poco a poco. Sinesio avrebbe dovuto vivere solo sin quando fosse stato preservato dai mali della vita. È come se un torrente prima frenato si sia abbattuto d’un colpo su di me facendo svanire la dolcezza del vivere. Vorrei o cessare di vivere o poter non più pensare alla tomba dei miei figli.[83]

 

Preso da una lacerante sensazione di fallimento si spense a Tolemaide nel 413.

 

 

 

  1. Sinesio specchio di Ipazia

 

 

Ho affermato che l’indole personale di Sinesio e l’impostazione della sua opera costituiscono la fonte primaria per ricostruire la personalità e l’impostazione filosofica di Ipazia d’Alessandria. A mio avviso la questione abbraccia cinque ambiti tematici, sui quali mi soffermerò qui di seguito.

 

  1. 1. Specchio metodologico

 

L’accostamento all’esercizio della teoria congiuntamente alla prassi, che troviamo in Sinesio, è stato imparato alla scuola di Ipazia, e riflette il modo ipaziano di affrontare i problemi posti nei suddetti ambiti. L’esempio più evidente ci viene fornito dell’astronomia. Sinesio non ha ricevuto insegnamenti di astronomia né di cosmologia ad Agemaco; sono stati gli studi svoltisi ad Alessandria a fornirne gli strumenti concettuali di base per costruire le conoscenze in questo campo. Da Ipazia apprese abilità tecniche che gli permisero di sapere come costruire un planisfero celeste (donato a Peonio in omaggio), o un areoscopio (di cui parla in lettera a Ipazia). Tuttavia va rilevato che il presupposto necessario per capire il rapporto di Sinesio con l’astronomia consiste nella valutazione degli studi astronomici come propedeutica alla contemplazione del cosmo nella sua immutabile verità geometrico-matematica e come esercizio mirato a riprodurne nell’anima l’ordine e l’armonia. Nella lettera che accompagnava il regalo a Peonio leggiamo:

 

L’astronomia è di per sé stessa una scienza (Êpist®mh) di alta dignità, ma può forse servire da ascesa a qualcosa di più alto, da tramite opportuno, a mio avviso, verso l’ineffabile teologia, giacché il beato corpo del cielo ha sotto di sé la materia e il suo moto sembra ai sommi filosofi essere un’imitazione dell’intelletto. Essa procede alle sue dimostrazioni (Êpì tà7 Âpodeíxei7) in maniera indiscutibile e si serve dell’aiuto della geometria e dell’aritmetica, che non sarebbe disdicevole chiamare ritto canone di verità (t²7 Âlhjeía7 kanóna).[84]

 

Si tratta di un’impostazione che risale alla tradizione platonica e che viene ripresa persino da Tolomeo nel prologo al suo Almagesto. A mio avviso è fuori dubbio che questa scia di pensiero sia pervenuta a Sinesio grazie all’insegnamento ad Alessandria.

Questa veduta ha un riscontro pratico che converge con la concezione neoplatonica (e particolarmente plotiniana) della filosofia e che doveva essere molto cara a Ipazia. In questa tradizione la scelta di una vita virtuosa viene ritenuta il requisito fondamentale per l’acquisizione della saggezza. Così tale requisito si concretizzava nell’itinerario che gli allievi delle scuole neoplatoniche dovevano seguire, come iniziazione al pensiero di Platone: si cominciava dai dialoghi incentrati sui problemi etici per giungere più tardi a quelli di taglio cosmologico, ontologico o metafisico. Questa pedagogia, la cui sistemazione viene attribuita al neoplatonico Giamblico, rispecchia bene uno dei tratti fondamentali della filosofia di Plotino: la necessità di purificare lo sguardo. È tramite questa purificazione che l’anima potrà rientrare in se stessa e tornare alle proprie origini che si trovano in essa impressi grazie all’inabitazione delle ipostasi (Anima cosmica, Intelligenza, Uno-Bene). Il primo gradino per elevarsi in questa ascesa è la prassi morale, l’acquisizione di un’ordine interno agevolato dalla contemplazione dell’ordine del cosmo. Nelle parole di Sinesio, le virtù sono “il primo stadio dell’ascesa verso la ragione”, come l’imparare le lettere per leggere un libro.[85]

Per esprimere la scelta e lo svolgersi di una vita morale Plotino impiega la metafora dell’occhio e l’analogia del rischiaramento. Si tratta di un’immagine che risale alla Repubblica di Platone[86] e che si trova nella prima delle Enneadi plotiniane.[87] Data la centralità di questa dottrina nell’opera di Plotino, è fuor di dubbio che sia stata spiegata durante l’insegnamento filosofico di Ipazia. Così l’avrebbe appresa Sinesio; nei suoi inni parla della “nascosta pupilla”[88] e fa uso del concetto in diversi passaggi del suo epistolario. Così, in lettera a Erculiano scrive:

 

Stammi bene e continua a filosofare e a render manifesto l’occhio che in noi è nascosto. Il viver rettamente, in quanto, io ritengo, inizio primo della saggezza, ci è stato additato come mèta dai saggi del passato.[89]

 

A ciò che è stato detto si deve aggiungere la visione della teoria e della prassi come integrate l’una con l’altra. Sinesio è per un’avvicinamento alla realtà che cerchi di coglierne le diverse sfaccettature, accogliendone tutte le prospettive e rifiutando l’elevazione a spiegazione esauriente degli scorci meramente parziali. Si tratta di uno sforzo che sicuramente apprese dal senso ultimo del neoplatonismo e dalla ricerca di unità nella pluralità che caratterizza la metafisica plotiniana trasmessa da Ipazia:

 

Questo nostro discorso definisce ‘specialista’ o ‘esperto’ colui che isola una qualsiasi delle scienze, come adepto dell’una o dell’altra divinità; filosofo invece colui che armonizza in sé la sinfonia di tutte (t²7 $apasvn sumfwnía7) e che la molteplicità stringe a unità.[90]

 

In questo modo, sia l’impostazione della teoria (nei riguardi della scienza fisico-matematica più alta, l’astronomia) che l’accostamento alla prassi (come propedeutica morale della saggezza) e la loro unità in una cosmovisione globale costituiscono dei veri e propri presupposti metodologici che divennero fondamentali nella forma mentis di Sinesio e che con ogni probabilità imparò alla scuola di Ipazia.

 

  1. 2. Specchio tematico

 

L’insegnamento di Ipazia è decisivo nella configurazione degli interessi teoretici fondamentali di Sinesio. Così avviene nel caso paradigmatico dell’astronomia. Questo è divenuto il campo teoretico più approfondito da Sinesio da subito dopo il suo rientro in Agemaco, dopo gli anni trascorsi ad Alessandria.

 

Ho l’impressione che anche le stelle mi guardino in ogni occasione con benevolenza vedendo in me il solo che in sì vasta contrada le contempli con spirito scientifico.[91]

 

Anche sul piano più vasto della cosmologia, l’ontologia e l’antropologia sembra che le dottrine spiegate nell’insegnamento di Ipazia siano state di grande importanza nello sviluppo delle proprie vedute filosofiche di Sinesio. Il suo influsso può essere accertato nelle reticenze dottrinali esposte da Sinesio in occasione della sua nomina a vescovo di Tolemaide. Si era riferito allora a tre questioni, sulle quali diceva di non poter condividere le opinioni popolari: la creazione dell’anima in seguito a quella del corpo, la scomparsa congiunta del cosmo e le sue parti alla fine dei tempi e la risurrezione del corpo.[92] Senza difficoltà vi si può scorgere l’influsso delle dottrine platoniche e aristoteliche che avrebbe imparato ad Alessandria. È noto che l’antropologia platonica prende le mosse dalla tesi della preesistenza dell’anima, ribadita sulla base di argomenti epistemologici; d’altra parte, né l’ilemorfismo dello Stagirita né la sua posizione susseguente sulla generazione e sviluppo degli esseri viventi permetterebbero di affermare il carattere secondario dell’anima rispetto al corpo. Per ciò che spetta la seconda questione –la distruzione futura dell’Universo– la tesi platonica sulla divinità dei pianeti e il loro movimento perpetuo non combacia con la posizione a cui Sinesio fa accenno critico; neppure vi poteva concordare la tesi aristotelica sull’eternità del cosmo (moneta comune per la maggioranza dei cosmologi greci fatta eccezione degli atomisti come Lucrezio o gli stoici come Zenone di Citio). Il concetto di risurrezione infine è estraneo sia all’escatologia platonica che all’antropologia aristotelica. Tuttavia la chiave teoretica per capire la posizione di Sinesio riguardante i tre quesiti posti si trova a mio avviso nella metafisica di Plotino. Dal rapporto fra la materia e la processione delle ipostasi –la materia non sarebbe altro che il momento negativo dell’Anima cosmica, inteso come pura privazione o assenza– si può dedurre che secondo Plotino il mondo sensibile è eterno. La sua eternità non sarebbe originaria ma derivata (accompagna la processione delle ipostasi) e appunto perciò non implicherebbe pienezza di essere, ma divenire apparente. Da questa chiave unitaria pende la soluzione sinesiana dei tre quesiti posti prima.

L’influsso tematico dei concetti imparati ad Alessandria si lascia sentire, oltre che nelle impostazioni teoretiche di Sinesio, anche nelle sue composizioni poetiche, persino in quelle a sfondo teologico. Il linguaggio delle tre ipostasi plotiniane scivola addirittura verso l’identificazione con la Trinità cristiana, mentre astronomia e teologia si fondono in versi accattivanti:

 

Tu [Cristo] sei in tutte le cose: è grazie a te che la natura, alla sua sommità, alla sua parte mediana, alla sua base, gode dei doni benèfici del Padre tuo, della vita feconda. È grazie a te che la sfera che non invecchia svolge la sua orbita instancabile; è sotto la tua guida che l’ebdomade dei pianeti, con la vigorosa rotazione della inmensa cavità, danza dal canto suo in corrispondenza della sfera, e tante luci dell’Universo adornano una volta unica perché tu lo vuoi, Figlio gloriosissimo; tu infatti, percorrendo da parte a parte la cavità celeste, assicuri ininterrotta la continuità del corso dei secoli, e sotto le tue sante leggi, o Beato, pascola nelle insenature infinitamente profonde del cielo il gregge delle costellazioni lucenti.[93]

 

L’insegnamento ricevuto da Ipazia insieme alla sua cerchia di discepoli sembra dunque avere lasciato una profonda traccia nell’impostazione tematica di diverse questioni. Ho accennato all’interessamento di Sinesio per l’astronomia,  alla sua soluzione dei problemi associati ai margini ermeneutici del cristianesimo, e all’avvicinamento al linguaggio teologico trinitario prendendo le mosse dalle ipostasi plotiniane. Anche in questi casi si può rintracciare senza dubbio il contenuto delle lezioni ricevute ad Alessandria.

 

  1. 3. Specchio pratico

 

Il modo in cui Sinesio affronta le situazioni della vita quotidiana sembra riflettere con notevole fedeltà l’indole personale di Ipazia. Rammentiamo che Sinesio era un uomo per il quale la teoria non soltanto non escludeva la prassi concreta ma l’agevolava; la sua indole magnanima lo spingeva a porre rimedio ai mali che incontrava: «Dio non mi ha reso inutile agli uomini, ma spesso e privati e città si sono serviti di me in caso di bisogno. Dio infatti mi ha concesso di realizzare le cose più grandi e di volere le più belle. (…) Perché si dovrebbero risparmiare le parole capaci di liberare un altro dalla sventura?».[94] In lettera a Pilemene scrive: «Due son le parti della filosofia: la contemplazione e l’azione (Dúo gàr a¼ytai meríde7 filosofía7, jewría kaì prâxi7)».[95] A Troilo trasmette che «è ora mio desiderio di rendermi utile al mio prossimo, di fare tutto il bene possibile ai singoli in privato e alla città in pubblico, affinché possa io rallegrarmi alla vista dei miei, per così dire, compagni di navigazione e così possano essi alla mia».[96] Questi brani appartengono a un periodo redazionale tardivo; si tratta dunque di convinzioni saldamente sedimentate nella personalità di Sinesio.

Ipazia aveva osservato l’indole umanitaria del suo giovane allievo; a lui si era riferita come “il bene degli altri (Âllótrion Âgajón)”.[97] Questo passaggio, che appartiene a una lettera di Sinesio indirizzata alla filosofa all’inizio del 413, mi sembra particolarmente rilevante. Rist fa notare che questa frase di Ipazia riportata dal suo discepolo sarebbe l’unica traccia che abbiamo della sua conversazione.[98] Che la filosofa si sia soffermata su questa caratteristica dice anche molto, a mio avviso, di lei stessa. Ella sarebbe stata in grado di riconoscere –e di lodare– questa disposizione del suo discepolo appunto perché si trattrava di un tratto della sua personalità. A dimostrarlo sta il fatto che dalle sette lettere di Sinesio indirizzate a Ipazia che ci sono pervenute, quattro di esse riguardano la richiesta di favori: per sé stesso (lettere 15 e 154), per raccomandare Alessandro (46), per favorire Niceo e Filolao (lettera 81).[99] In una di esse si riferisce all’influsso sociale della maestra: «Tu hai sempre il tuo potere e mi auguro possa servirtene nel modo migliore».[100] Diventa dunque chiaro che Ipazia è stata per Sinesio un modello che gli ha insegnato a usare il potere a beneficio altrui, a essere dunque ‘il bene degli altri’.

Sembra che il motivo di tale attitudine sia stato il senso dell’empatia, così come questo potrebbe venire inteso da una ricerca fenomenologica: nell’esperienza pre-teorica e pre-scientifica del rapporto con gli altri ci si coglie come simili e si interpreta gli atteggiamenti altrui sulla base dell’esperienza dei nostri stati interni. Questo cogliere gli altri nello specchio di noi stessi sarebbe poi il fondamento per le impostazioni morali che prendono le mosse dalla regola d’oro nelle sue diverse formulazioni: trattare gli altri come sé stessi. In lettera a Esichio rammenta Sinesio come la geometria euclidea ci insegni che se due cose sono uguali a una terza lo sono pure fra di loro; si tratta della prima delle nozioni comuni che espone Euclide nel libro primo dei suoi Elementi, opera che sarebbe stata oggetto di insegnamento ad Alessandria. Sembra dunque che Ipazia avrebbe applicato questo principio ai rapporti fra i suoi discepoli per promuoverne la concordia.[101] I condiscepoli –hetairoi li chiamava Sinesio (da (etaîro7, ‘amico, compagno’)– erano tenuti a esprimere vicendevolmente un profondo affetto nato dalla comune esperienza:

 

La poesia avrebbe celebrato il nostro viaggio che ha permesso a me e a te [Erculiano] di fare esperienza di cose che, al sentirle raccontare, sembravano incredibili. Abbiamo potuto vedere con i nostri occhi e ascoltare con le nostre orecchie la donna che a buon diritto presiede ai misteri della filosofia. E se le umane vicende rinsaldano i legami di coloro che ne partecipano in comunanza di affetti, una legge divina c’impone di tenere reciprocamente in conto i nostri cari dal momento che siamo già uniti nella mente, la parte migliore di noi.[102]

 

Sinesio si è impegnato per questo ideale fino alla fine della sua vita. Il suo ultimo intervento come vescovo –nel contesto di un rischioso viaggio nei pressi del deserto– è stato orientato appunto a conseguire la riconziliazione di due vescovi del sud della Libia che si erano fronteggiati a motivo di una proprietà. Grützmacher ha valutato in questo senso l’indole di Sinesio: «Era un cristiano –meno con la testa che con il cuore– il cui attivo amore fraterno ci rammenta quello del samaritano nella parabola di Cristo: un uomo nobile e autentico».[103] Io aggiungerei che quest’umanità è stata anche il frutto di una fecondazione femminile, avveratasi attraverso l’insegnamento svolto ad Alessandria nella giovinezza di Sinesio. Ipazia si rivela così, nella sua maternità spirituale, come autentica levatrice di una personalità che si apriva al mondo del bene e la bellezza.

 

  1. 4. Specchio spirituale

 

Sappiamo che Sinesio considera se stesso un filosofo pagano ancora nell’epoca delle vicende narrate nei Racconti egiziani e relative all’anno 400. La sua conversione al cristianesimo si produce negli anni che trascorrono fino al suo matrimonio nel 403. Alcuni autori hanno messo in dubbio la sincerità di questa conversione di Sinesio, prendendo le mosse sia dalle sue impostazioni teoretiche riguardanti la fede popolare che dal suo modo ellenizzante di affrontare tanto i dibattiti intellettuali, quanto le sofferenze esistenziali. Così afferma Hagl, riprendendo tesi di Geffcken, che «per Sinesio il cristianesimo non divenne mai una forza viva, dalla quale avesse potuto trarne consolazione davanti ai colpi del destino nei suoi ultimi anni di vita. Nella profonda sofferenza interiore non si consolava con le parole della Bibbia, ma con Epitteto».[104] Non posso essere d’accordo con Hagl su questo punto. Il fatto che Sinesio affrontasse apertamente il suo dramma esistenziale –senza diminuire la sua portata né cercare di estraniarsi da esso per mezzo delle giustificazioni razionali– non diminuisce affatto la profondità della sua esperienza religiosa; piuttosto testimonia una certa indole compatibile con la fede. Sinesio crede che Cristo, con il suo sacrificio, abbia abbassato la divinità fino all’abisso della sofferenza umana e, in questo modo, l’abbia resa degna. Nelle sue stesse parole, «prezioso essere e l’uomo, prezioso, dico, se è vero, come è vero, che Cristo fu per lui crocifisso».[105] L’incarnazione divina in carne e ossa eleva la passione umana. Non c’è dunque da stupirsi che Sinesio non nasconda la sua sofferenza davanti agli altri. Nelle sue ultime parole si sente l’accettazione di un dramma –la perdita dei figli– che contempla senza poter capirlo, ma anche senza voler giudicarlo.

A mio avviso, il cammino percorso da Sinesio risulta alquanto esemplare come sintesi esistenziale fra l’accostamento filosofico all’esistenza dalla prospettiva ellenizzante e neoplatonica, da una parte, e l’esperienza esistenziale della fede cristiana, dall’altra. Nelle parole di Campenhausen, «la posizione intermedia fra filosofia e cristianesimo è caratteristica di Sinesio e mostra con sorprendente chiarezza –come lo fa la sua peripezia vitale– quanto vicini si era giunti da entrambi i lati».[106]

Il fatto che Sinesio si sia avvicinato alla fede cristiana e sia diventato addirittura vescovo a Tolemaide ci fornisce ancora delle preziose indicazioni attinenti Ipazia. Viene rilevato in primo luogo che la presenza di numerosi allievi cristiani nelle sue lezioni testimonia un’apertura nei riguardi del religioso che era assente nel neoplatonismo coltivato ad Atene. Il fatto poi che uno di essi (e probabilmente due, se riteniamo giusta l’identificazione del fratello di Sinesio con il vescovo che prese parte al concilio di Efeso nel 431) sia diventato guida della comunità cristiana sta a indicare la spregiudicatezza dell’insegnamento che aveva contribuito a configurare la forma mentis della cerchia dei discepoli.

Queste indicazioni vengono ribadite da quella che ho denominato “ipotesi Sinesio 410”. Si tratta di una congettura che a mio avviso conta di sufficienti garanzie per essere ritenuta un dato rilevante sull’indole spirituale di Ipazia. Ho già fatto cenno alla lettera nella quale Sinesio racconta a Olimpio le difficoltà esistenziali che prova davanti alla proposta di essere ordinato sacerdote e consacrato vescovo. In quella lettera allude al fatto che in quel momento si trova lontano da Tolemaide:

 

Per il momento cerco di mantenere la cosa a distanza. Sono già stato per sei mesi in questo disagio, vivendo lontano dalla città nella quale sarò vescovo. Aspetto di rendermi esattamente conto della natura del mio compito. Se mi riesca di assolverlo in armonia con la filosofia, bene; se è affatto estraneo alla mia formazione e alla mia scelta di vita, che altro mi resterà se non prendere il mare e andarmene dritto nella Grecia gloriosa? Che se rinunzio al sacerdozio, mi toccherà di rinunciare anche alla patria, a meno di viverci come il più spregiato e maledetto degli uomini, frammezo una turba di nemici.[107]

 

Dove si trovava Sinesio? L’unica indicazione in proposito ci dice che era “lontano” dalla città dove lo si aspettava. A stento si può credere che stesse alloggiando a Cirene. Questa città  (attuale Sahhat) è appena a sessanta chilometri da Tolemaide (attuale Tulmaythay). L’allusione alla possibilità di “prendere il mare” sembra poi suggerire che si trovava in un luogo dotato di un porto.

Il discorso indirizzato al popolo e ai sacerdoti della Pentapoli a motivo della scomunica di Andronico getta nuova luce su questo punto. Nella prolungata riflessione sulla sua vita che occupa la prima parte del testo, Sinesio si riferisce al periodo di discernimento che aveva preceduto la sua accettazione dell’episcopato:

 

Mi trattennero dal rifugiarmi nella fuga la speranza del bene che me ne sarebbe venuto e il timore del peggio. Prestai poi ascolto ad alcuni santi vegliardi che mi dicevano che Dio era il mio pastore, e uno di loro aggiunse conversando che lieto è lo Spirito Santo e allieta chi ne partecipa, e ancora che i dèmoni si disputavano con Dio il possesso di me e che io li avevo angustiati scegliendo il partito migliore. «Anche se quelli ti dànno qualche molestia –disse–, un sacerdote filosofo non è negletto da Dio».[108]

 

Sembra evidente che l’imminente fuga a cui fa accenno coincida con il progetto riferito nella lettera precedentemente citata, scritta meno di due anni prima. Sinesio si trovava dunque in una città nella quale vivevano dei santi anziani. Quest’indicazione –insieme a quelle che ho rilevato prima– rimuove la possibilità che si trovasse nella sua tenuta di Agemaco oppure in altre località della Cirenaica. In quei posti esistevano comunità più ridotte, ove sarebbe stato difficile trovare degli anziani aperti alla filosofia (di fatto attorno all’anno 397 scriveva che «non v’è luogo di Libia nel quale io abbia mai sentito qualcuno che parlasse di filosofia a eccezione dell’eco della mia stessa voce»)[109].

Risulta molto plausibile pensare che Sinesio scrivesse la lettera del 410 da Alessandria. Si tratta di una città lontana da Tolemaide, situata presso un porto. D’altra parte possiamo supporre che sentendo il bisogno di andare in un’altra città per riflettere, avrebbe scelto un posto dove spostarsi agevolmente; Alessandria era la città per lui più familiare in questo senso. Lì potè ottenere il consiglio dei saggi anziani, ricettivi nei confronti della filosofia, che facevano parte della comunità cristiana. Ancor di più: nel suo discorso del 412 afferma che si spostò lì fino a che non si fosse reso conto della natura del compito. Chi avrebbe potuto informarlo meglio del patriarca Teofilo? E da chi sarebbe andato con più confidenza, dal momento che Teofilo lo aveva unito in matrimonio alla sua sposa?

Se l’ipotesi è giusta, con ogni probabilità avrebbe visitato Ipazia. Addirittura direi che il valore che attribuiva al giudizio della sua ammirata maestra sarebbe stato un motivo fondamentale per scegliere Alessandria come residenza durante il suo periodo di discernimento. Se lei poi si fosse pronunciata contro la scelta del sacerdozio, risulta più che plausibile pensare che Sinesio non si sarebbe azzardato a farsi avanti non avendo a suo favore il supporto della persona il cui giudizio stimava di più. Che finalmente decidesse di accettare l’ordinazione sarebbe dunque una testimonianza indiretta sulla posizione di Ipazia nei confronti del cristianesimo.[110]

 

  1. 5. Specchio affettivo

 

Il rapporto epistolare tra Ipazia e Sinesio costituisce la fonte primaria sulla relazione di reciproca tenerezza che unì loro. Nel frammezzo delle calamità che portò con sè l’invasione delle tribù ausuriane, e dopo aver affermato che ciò nonostante amava la Libia, Sinesio avvertiva che «solo in grazia tua potrei trascurare la patria».[111] Nella lettera che accompagnava l’invio del Dione, del trattato Sui sogni e dell’opuscolo Sul dono indicava a Ipazia che un suo giudizio negativo sarebbe bastato per evitare che i trattati venissero resi pubblici.[112] Di lei parlava come “l’unico bene incontaminato” assieme alla virtù.[113] Forse la testimonianza più emozionante del suo affetto verso Ipazia è da trovare in quella che probabilmente fu l’ultima lettera a lei indirizzata:

 

Detto questa lettera dal letto nel quale giaccio. Possa tu riceverla stando in buona salute, o madre, sorella e maestra (meter kai adelphè kai didáskale), benefattrice in tutto e per tutto , e tutto quello che per me ha valore in parole e opere.[114]

 

In questo contesto c’è tuttavia un fatto che richiama la nostra attenzione. In una lettera scritta all’inizio del 413 si rammarica Sinesio:

 

Ho perduto i figli e gli amici, la benevolenza di ciascuno. Ma la perdita più grande è la mancanza del tuo spirito divinissimo, la sola cosa che avevo sperato mi rimanesse per superari i “capricci” della sorte e i raggiri del fato.[115]

 

Quale sarebbe stato il motivo della trascuratezza epistolare della sempre misurata filosofa? Può trattarsi forse di un’esagerazione di Sinesio dovuta alla sua sensibilità verso le questioni legate all’amicizia e agli affetti? La serietà del momento e la melanconia dello scritto non sembrano giustificare uno scatto di verbosità. D’altra parte, e secondo le indicazioni riportate proprio nella lettera, parrebbe riferirsi a una situazione prolungata nel tempo.

Secondo Dzielska, troviamo qui uno dei frammenti della vita di Sinesio che riflettono l’indole morale e affettiva di Ipazia. Rammentiamo che la sede episcopale di Alessandria è stata già occupata da Cirillo. L’atteggiamento del nuovo patriarca nei riguardi delle questioni pubbliche aveva provocato la diffidenza di certi notabili e del prefetto Oreste; la connessione di Ipazia con questo gruppo di elìte avrebbe poi originato una tensione ancora nascosta con il nuovo vescovo. Orbene, Sinesio era un subordinato di Cirillo, metropolita delle sei diocesi dipendenti da Alessandria. Consapevole di questa congiuntura, Ipazia avrebbe rinunciato a scrivere al suo antico discepolo, per evitare in questo modo di inasprire il rapporto fra lui e Cirillo.[116]

L’argomento di Dzielska ha dei tratti di verosimiglianza e capacità esplicativa. Ciò nonostante mi sembra di poter rintracciare una certa inesattezza cronologica. La lettera nella quale Sinesio lamenta aver perso il contatto con l’amata maestra è datata da Garzya all’inizio del 413; la datazione pare sicura, poiché quando scrive ha già perso il suo ultimo figlio (ciò avviene durante l’inverno di 412) e il seguente invio a Ipazia ce lo mostra in quello che è sicuramente il suo giaciglio di morte (decedette durante il 413). Teofilo avrebbe lasciato vacante la sede di Alessandria il 15 ottobre di 412; Cirillo ne prese possesso due giorni dopo. Anche se Ipazia avesse lasciato senza risposta una lettera ricevuta in quel mese, la dilazione (forse due, tre o quattro mesi) non permetterebbe di riconoscervi un atto intenzionato di rottura o una negligenza particolarmente dolorosa per la persona dimenticata, ancor di più se teniamo in mente il ritardo che poteva soffrire la corrispondenza dipendendo dal mezzo di trasporto adoperato. È certamente possibile che Sinesio sperimentasse una sensazione di oblìo nella mancanza di notizie della sua benefattrice; ma i dati di cui disponiamo non ci permettono di sostenere l’interpretazione suggerita da Dzielska.

Consapevole della difficoltà del problema, la storica propone un’altra lettura: «È possibile che, una volta incorporata alla lotta contro la Chiesa, [Ipazia] si allontani troppo frettolosamente dal suo amico»; questa sfumatura –che suggerisce una certa precipitazione da parte della filosofa– sarebbe da mettere in rapporto con la supposizione di Dzielska che, in realtà, «Sinesio non ammira Cirillo, come ci rivela l’unica lettera a lui indirizzata (Ep. 12). Sinesio, nella lettera, tratta il giovane patriarca da inesperto e fratello minore in Gesù Cristo, in errore».[117] Ipazia avrebbe preso dunque distanza “troppo frettolosamente” dal suo discepolo, non sapendo che anche Sinesio non apparteneva alla fazione di Cirillo.

Non posso aderire a questa lettura dei fatti, per motivi biografici e testuali. Attribuire a Ipazia l’errore di scambiare l’esperienza della fede cristiana (che conosce direttamente grazie a Sinesio) con gli atteggiamenti manifestati da Cirillo sembra poco plausibile; la saggia alessandrina era in grado di distinguere le scelte politiche del patriarca dal tipo di esperienza incarnata dal suo discepolo. In secondo luogo, non disponiamo di evidenze che esistesse una tale opposizione fra Sinesio e Cirillo – che d’altra parte era nipote di Teofilo (patriarca, come sappiamo dalla corrispondenza, molto stimato da Sinesio). La lettera riferita da Dzielska non era indirizzata, a mio avviso, al nuovo patriarca di Alessandria. In essa esorta un certo Cirillo, vescovo di una diocesi innominata, a ritornare alla piena comunione con la Chiesa. Si deduce che costui avrebbe commesso una mancanza per la quale gli sarebbe stata imposta da Teofilo una punizione non troppo severa, il che viene interpretato da Sinesio come indizio che era pronto a concedergli il perdono; la sua morte ne avrebbe impedito la riabilitazione formale. Sinesio gli comunica quest’assoluzione, che ritiene implicita nell’animo del deceduto patriarca. Finalmente lo esorta a serbare un grato ricordo del santo presbitero che lo instituì guida del suo popolo; la persona alla quale era indirizzata la lettera era dunque stata consacrata vescovo dallo stesso Teofilo. Non sembra pertanto probabile che si tratti del nipote di Teofilo, che l’avrebbe sostituito due giorni dopo la sua morte.

Per i motivi esposti ritengo che non si possano accettare le interpretazioni che abbiamo visto per spiegare l’apparente interruzione della corrispondenza di Ipazia con Sinesio. Tuttavia è possibile che quest’episodio tardivo del rapporto fra entrambi getti qualche luce sulle loro indoli.

Sembra chiaro che Sinesio aspettava l’arrivo della corrispondenza da Alessandria con molta attesa, resa ancor più impaziente dalla nostalgia di Ipazia e dalla malinconia che l’avrebbe fatto precipitare in uno stato di depressione. Che lui si rammaricasse per il ritardo nelle notizie di Ipazia deve necessariamente implicare che, negli anni lungo i quali mantennero lo scambio epistolare, l’alessandrina avrebbe risposto con regolarità alle sue lettere. Questa presunzione è in accordo con le aspettative che Sinesio nutriva rispetto all’amicizia della sua maestra, e riflette dunque l’indole personale di Ipazia. Non altrimenti può venire intesa la fedeltà che Sinesio le professa e che nei momenti di depressione gli fa esclamare

 

“Anche se oblìo tocchi ai morti nell’Ade, io ricorderò pur laggiù” la cara Ipazia.[118]

 

In delicata parafrasi riprende il lamento di Achille, dopo aver fatto sì che scendesse nell’Orco l’anima di Ettore, autore della morte del suo caro Patroclo: «Anche se giù nell’Ade ci si scorda dei morti, io anche là per sempre ricorderò il mio compagno».[119] Senza dubbio rese onore Sinesio alle parole di Omero e custodì il ricordo della sua maestra fino a quando «la vita volò dalle membra e scese nell’Ade, piangendo il suo destino perché lasciava un corpo ancor vigoroso e giovane».[120]

 

 

 

Conclusione

 

 

Il cammino percorso insieme a Sinesio di Cirene ci ha permesso di accertare l’ipotesi iniziale secondo la quale la sua opera costituisce lo specchio e la fonte primaria delle impostazioni teoretiche e dell’indole personale di Ipazia d’Alessandria. Ne abbiamo rilevato la portata tramite l’analisi di cinque sfaccettature –metodologica, tematica, pratica, spirituale e affettiva– che riflettono altrettante dimensioni sia dell’insegnamento ipaziano che della forma mentis della filosofa. Vi abbiamo scorto le traccie della maternità spirituale di Ipazia, che sarebbe riuscita a svegliare e rinforzare in Sinesio i tratti più autentici e valorosi della sua personalità. A ragione la ritenne sua madre, sorella e maestra fino alla fine dei suoi giorni, e così la fece conoscere a noi suoi posteri: meter kai adelphè kai didáskale .

 

[1]
Nella mia monografia El espejo del cosmos. Filosofía y ciencia en Hipatia de Alejandría y Sinesio de Cirene [in stampa] ho ampliato sia le indicazioni dal punto di vista storiografico che l’indagine filosofica su Sinesio.

[2]
Si tratta rispettivamente dei codici Laur. LV 6 (codex Synesianus) e Angel. 13. Cf. Garzya, A.: Synesii Cyrenensis epistolae, Typis Officinae polygraphicae, Roma 1979, p. XVII e XXVII.

[3]              Cf. Epistolai, in Synesii Cirenensis Epistolae (ed. di A. Garzya), Typis Officinae polygraphicae, Roma 1979 e 1980; riportate in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1989, op. cit., p. 65-379.

[4]              Cf. %Ymnoi, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 737-799.

[5]              Cf. EÎ7 tòn Aütokrátora. Perì Basileìa7, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 382-451.

[6]              Cf. Prò7 Paiónion. Perì toû dõrou, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 538-551.

[7]              Cf. AÎgúptioi Ë Perì Pronoía7, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 452-537.

[8]              Cf. Díwn Ë perì t²7 kat)aütòn Diagwg²7, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 658-715.

[9]              Cf. Perì Ênupníwn, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 552-607.

[10]            Cf. Falakría7 Êgkõmion, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 608-657.

[11]            Grützmacher, G.: Synesios von Kyrene: ein Charakterbild aus dem Untergang des Hellenentums, A. Deichert, Leipzig 1913, p. VI.

[12]            Cf. Kingsley, Ch.: Hypatia, or the New Foes with an Old Face, John W. Parker and Son, Londra 1853.

[13]            Cf. Andres, S.: Die Versuchung des Synesios, Piper, Monaco di Baviera 1971.

[14]            Cf. Luzi, M.: Libro di Ipazia, Rizzoli, Milano 1978.

[15]            Cf. Bertezzolo, P.: Il tempo della danza. Storie per chi vuole sperare, Gabrielli Editori, Verona 2004.

[16]            Il film è uscito in Spagna il 9 ottobre 2009; in Italia, il 23 aprile 2010.

[17]        Cf. Clausen, E. T.: De Synesio philosopho Lybiae, Pentapoleos Metropolita, Hafnia [Copenaghen] 1831.

[18]            Cf. Volkmann, R.: Synesius von Cyrene, eine biographische Charakteristik aus den letzten Zeiten des untergehenden Hellenismus, Ebeling & Plahn, Berlino 1869.

[19]            Cf. Fritz, W.: Die Briefe des Bischofs Synesius von Kyrene, ein Beitrag zur Geschichte des Attizismus im 4. und 5. Jahrhundert, Teubner, Leipzig 1898 (ristampa in Scientia-Verlag, Aalen 1982).

[20]            Cf. Kleffner, A. I.: Synesius von Cyrene als Philosoph und Dichter und sein angeblicher Vorbehalt bei der Wahl zum Bischof von Ptolemais, Bonifaciusdruckerei, Paderborn 1901.

[21]            Cf. Wilamowitz-Möllendorf, U. von: Die Hymnen des Proklos und Synesios, Akademie der Wissenschaften, Berlino 1907.

[22]            Cf. Hemerlin, I.: Zu den Briefen des Bischofs Synesios, Tesi dottorale, Uppsala 1934.

[23]            Cf. Kraus, F. X.: “Studien über Synesios von Kyrene”, Theologische Quartalschrift 47 (1865) 381-448; 537-600; 48 (1866) 85-129.

[24]            Cf. Seeck, O.: “Studien zu Synesios”, Philologus 52 (1894) 442-483.

[25]            Cf. Fritz, W.: “Unechte Synesiosbriefe”, Byzantinische Zeitschrift 11 (1905) 75-86.

[26]            Cf. Koch, H.: “Synesius von Cyrene bei seiner Wahl und Weihe zum Bischof”, Historisches Jahrbuch 23 (1902) 751-774.

[27]            Cf. Stiglmayr, J.: “Synesius von Kyrene, Metropolit der Pentapolis”, Zeitschrift für Katholische Theologie 38 (1914) 509-563.

[28]            Cf. Campenhausen, H. von: “Synesios”, in Kroll, W./ Mittelhaus, K. (eds.): Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, seconda serie, vol. 8, Alfred Druckenmüller Verlag, Monaco di Baviera 1932, col. 1362-1365.

[29]            Cf. Grützmacher, G.: Synesios von Kyrene: ein Charakterbild aus dem Untergang des Hellenentums, A. Deichert, Leipzig 1913.

[30]            Cf. Gardner, A: Synesius of Cyrene, Philosopher and Bishop, SPCK, Londra 1886.

[31]            Cf. Nicol, J. C.: Synesius of Cyrene: His Life and Writings, E. Johnson, Cambridge 1887.

[32]            Cf. Crawford, W. S.: Synesius the Hellene, Rivingtons, Londra 1901.

[33]            Cf. Pando, J. C.: The Life and Times of Synesius of Cyrene as Revealed in his Works, Catholic University of America Press, Washington 1940.

[34]            Cf. Coster, C. H.: “Synesius, a Curialis of the Time Arcadius”, Byzantion 15 (1940-41) 10-38.

[35]            Cf. Druon, H.: Études sur la vie et les Oeuvres de Synésius, A. Durand, Parigi 1859.

[36]            Cf. Festugière, A.: “Sur les hymnes de Synésius”, Rev. Étud. Grec. 58 (1945) 208-277.

[37]            Cf. Terzaghi, N.: “Sinesio di Cirene”, Atene e Roma 20 (1917) 1-37; “Studi sugli inni di Sinesio”, Revista indo-greco-italica di Filologia (1921) 11-25, 192-193; id. (1922) 1-18.

[38]            Cf. Bettini, G.: L’attività pubblica di Sinesio, Istituto delle Edizioni Accademiche, Udine 1938.

[39]            Cf. Casini, A.: Sinesio di Cirene, Gastaldi, Milano 1969.

[40]            Cf. Dell’Era, A.: Appunti sulla tradizione manoscritta degli Inni di Sinesio, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1969.

[41]            Cf. Di Pasquale Barbanti, M.: Filosofia e cultura in Sinesio di Cirene, La nuova Italia, Firenze 1994.

[42]            Cf. Bizzochi, C.: “La tradizione storica della consecrazione episcopale di Sinesio di Cirene”, Gregorianum 23 (1942) 91-115, 202-237; “Gl’inni filosofici di Sinesio interpretati come mistiche celebrazioni”, Gregorianum 33 (1951) 350-367.

[43]            Cf. Cavalcanti, E.: “Alcune annotazioni su Sinesio di Cirene”, Riv. Stor. e Letter. relig. 5 (1969) 122-134.

[44]            Cf. Desideri, P.: “Il Dione e la politica di Sinesio”, Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino 107 (1973) 551-593.

[45]            Cf. Garzya, A.: Storia e interpretazione di testi bizantini, Variorum Reprints, Londra 1974; “Ai margini del neoplatonismo. Sinesio di Cirene”, Atti Acc. Pontan. 30 (1981) 153-165; “L’epistolografia letteraria tardoantica”, in Il mandarino e il quotidiano. Saggi sulla letteratura tardoantica e bizantina, Bibliopolis, Napoli 1983, 19852, 135ss.

[46]            Cf. Janni, P.: Studio introduttivo ed edizione critica di Sinesio: La mia fortunosa navigazione da Alessandria a Cirene, Leo S. Olschki Editore, Firenze 2003.

[47]            Cf. Pizzone, A. M. V.: “Elementi magico-rituali nel De providentia di Sinesio di Cirene”, in Palme, B. (ed.): Akten des 23. Internationalen Papyrologenkongresses, Papyrologica Vindobonensia, Vienna 2007, pp. 541-548.

[48]            Cf. Synesii Cirenensis Epistolae (ed. de A. Garzya), Typis Officinae polygraphicae, Roma 1979 e 1980.

[49]            Cf. Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni (ed. bifronte greco-italiana di A. Garzya), Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1989.

[50]            Cf. Treu, K.: Synesios von Kyrene. Ein Kommentar zu seinem Dion, Akademie Verlag, Berlino 1958.

[51]            Cf. Vogt, J.: Begegnung mit Synesios, dem Philosophen, Priester und Feldherrn. Gesammelte Beiträge, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1985.

[52]            Cf. Vollenweider, S.: Neuplatonische und christliche Theologie bei Synesios von Kyrene, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottinga 1985.

[53]            Cf. Hagl, W.: Arcadius Apis Imperator. Synesios von Kyrene und sein Beitrag zum Herrscherideal der Spätantike, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 1997.

[54]            Cf. Luchner, K.: “Gott- und Selbsträpresentation in den Briefen des Synesios von Kyrene”, Millennium – Jahrbuch 2005, Walter de Gruyter, Berlino / New York 2005, p. 33-62.

[55]            Cf. Bregman, J.: Synesius of Cyrene. Philosopher Bishop, University of California Press, Berkeley / Los Angeles / Londra 1982.

[56]            Cf. Roos, B.-A.: Synesius of Cyrene. A study in his personality, Lund University Press, Lund 1991.

[57]            Cf. Marrou, H. I.: “Synesius of Cyrene and Alexandrinian Neoplatonism”, in Momigliano, A. (ed.): The Conflict between Paganism and Christianity in the fourth Century, Clarendon Press, Oxford 1963, p. 126-150.

[58]            Cf. Bregman, J.: “Synesius of Cyrene: ‘philosopher’-bishop?”, Ancient Philosophy 10 (1990) 339-342.

[59]            Cf. Barnes, T. D.: “Synesius in Constantinople”, Greek, Roman and Byzant. Stud. 27 (1986) 93-112.

[60]            Cf. Liebeschütz, J. H. W. G.: “Why Did Synesius Become Bishop of Ptolemais?”, Bizantion 56 (1986) 180-195.

[61]            Cf. Lacombrade, Ch.: Synésios de Cyréne hellén et chrétien, Les Belles Lettres, Parigi 1951; “Pour une approche des Hymnes de Synésios”, Bullet. Soc. Toul. Étud. class. 173-4 (1976) 13-22.

[62]            Cf. Coman, J.: “Synésios de Cirene fut-il un convertit veritable?”, Augustinianum 27 (1987) 237-245.

[63]            Cf. Roques, D.: Synésios de Cyrène et la Cyrénaïque du Bas-Empire, Editions du CNRS, Parigi 1987; Études sur la correspondance de Synésios de Cyrène, Latomus, Bruxelles 1989.

[64]            Cf. Piñero, A.: “La imagen del filósofo y sus relaciones con la literatura. Un estudio sobre el Dión de Sinesio de Cirene”, Cuadernos de Filología clásica 9 (1975) 133-200.

[65]            Cf. Ramos Jurado, E. A.: “Paideia griega y fe cristiana en Sinesio de Cirene”, Habis 23 (1992) 247-261.

[66]            Cf. García Romero, F. A.: “El episcopado en los siglos IV y V. El ejemplo de Sinesio”, in González Fernández, J. (coord.): El mundo mediterráneo. Siglos III-VII: actas del III Congreso andaluz de Estudios clásicos, Ediciones Clásicas, Madrid 1999, p. 351-356.

[67]            Cf. Blázquez Martínez, J. M.ª: “Sinesio de Cirene, intelectual. La escuela de Hypatia en Alejandría”, Gerión 22 (2004) 403-419.

[68]            Cf. Cartas (ed. di A. F. García Romero), Gredos, Madrid 1995.

[69]            Grützmacher, G.: Synesios von Kyrene: ein Charakterbild aus dem Untergang des Hellenentums, op. cit., p. 3.

[70]            Cf. Luni, M.: “La scoperta della città di Cirene ‘Atene d’Africa”, in Luni, M. (ed.): Cirene “Atene d’Africa”, L’Erma di Bretschneider, Roma 2006, p. 9-10.

[71]            Su Ipazia ho pubblicato uno studio (“Madre, sorella, maestra. Ipazia d’Alessandria come anello alessandrino della grande tradizione filosofica”) nel quale oltre alle fonti biografiche e alla ricostruzione della sua vicenda esistenziale metto in rilievo quelli che ritengo tratti fondamentali del suo pensiero scientifico e filosofico.

[72]            Cf. lettera 136, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 330.

[73]            Lettera 124, 3-11, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit. p. 302. Traduzione di A. Garzya, p. 303.

[74]            Cf. Perì Ênupníwn, 14, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 590.

[75]            Cf. El espejo del cosmos. Filosofía y ciencia en Hipatia de Alejandría y Sinesio de Cirene [in stampa].

[76]            Lettera 132, 43-48, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 320. Traduzione di A. Garzya, p. 321.

[77]            Il testo è stato editato da Emmanuel Miller sotto il titolo Éloge de la Chevelure, discours inedit d’un auteur grec anonyme, en réfutation du discours de Synésius, intitulé Éloge de la Calvitie (Brockhaus et Avenarius / Benjamin Duprat, Parigi, 1840).

[78]            Lettera 41, 153, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 130.

[79]            Cf. Lettera 105, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 270-279.

[80]            Cf. El espejo del cosmos. Filosofía y ciencia en Hipatia de Alejandría y Sinesio de Cirene [in stampa].

[81]            Cf. per la prima datazione Lacombrade, C.: Synésios de Cyrène, hellène et chrétien, op. cit., p. 228; Liebeschütz, J. H. W. G.: “Why Did Synesius Become Bishop of Ptolemais?”, op. cit., p. 180-183; per la seconda, Roques, D.: Synésios de Cyrène et la Cyrénaique du bas empire, op. cit., p. 310-316.

[82]            Appare pubblicata come lettera 42 (indirizzata ai vescovi della Cirenaica), in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operett, inni, op. cit., p. 140-147.

[83]            Lettera 16, 3-9, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 102. Traduzione di A. Garzya, p. 103.

[84]            Prò7 Paiónion. Perì toû dvrou, 4, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 544. Seguo la traduzione di Antonio Garzya a p. 545.    

[85]            Díwn $h perì t­7 kat)aütón Diagwg®7, 10, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 688. Traduzione di A. Garzya, p. 689.

[86]            Cf. Platone: Repubblica 533d.

[87]            Plotino: Eneadi I, 6, 9, 25-34. Versione italiana curata dal gruppo di studi Il giardino dei pensieri sotto la direzione di Mario Trombino (http://www.ilgiardinodeipensieri.eu, consultazione: 03/05/2010).

[88]            Inno I, 579. Traduzione di A. Garzya in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit. p. 755.

[89]            Lettera 137, 41-46, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 332. Traduzione di A. Garzya, p. 333.

[90]            Díwn $h perì t­7 kat)aütón Diagwg®7, 5, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 672. Traduzione di A. Garzya, p. 673. Mentre Garzya traduce sumfwnía come ‘accordo’, ho preferito rendere la trascrizione letterale del termine greco.

[91]            Lettera 101 (a Pilemene), 34-36, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, p. 256. Traduzione di A. Garzya, p. 257.

[92]            Cf. Lettera 105, 76-80, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 276.

[93]            Imno II, 145-174, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 764. Traduzione di A. Garzya, p. 765.

[94]            Lettera 41, 94-97, 100-103, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 126. Traduzione di A. Garzya, p. 127.

[95]            Lettera 103, 76-77, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 264. Traduzione di A. Garzya, p. 265.

[96]            Lettera 91, 6-9, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 236. Traduzione di A. Garzya, p. 237.

[97]            Lettera 81, 10-11, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 230. A. Garzya traduce “la salvezza degli altri” (op. cit., p. 231); ho preferito la lezione “il bene degli altri” perché rende con più trasparenza il senso originale del termine greco.

[98]            Cf. Rist, J. M.: “Hypatia”, Phoenix 19 (1965) 214-225.

[99]            Le lettere indirizzate a Ipazia portano i numeri 10, 15, 16, 46, 81, 124 e 154 nell’edizione di Garzya.

[100]           Lettera 81, 15, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, p. 230. Pur riprendendo nell’essenziale la traduzione di Garzya (op. cit., p. 231), per il termine greco dúnh seguo la lezione di F. A. García Romero (Cartas, Gredos, Madrid 1995).

[101]           Cf. lettera 93, 13-14, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 238.

[102]           Lettera 137, 5-8, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 330. Traduzione di A. Garzya, op. cit., p. 331.

[103]           Grützmacher, G.: Synesios von Kyrene: ein Charakterbild aus dem Untergang des Hellenentums, op. cit., p. 174.

[104]          La citazione è tratta da Hagl, W.: Arcadius Apis Imperator. Synesios von Kyrene und sein Beitrag zum Herrscherideal der Spätantike, op. cit., p. 18. L’autore fa riferimento a Geffcken, J.: Der Ausgang des griechisch-römischen Heidentums, op. cit., p. 221. In termini prossimi a Geffcken si esprime U. von Wilamowitz-Möllendorf nella sua opera Die Hymnen des Proklos und Synesios, op. cit., p. 15. J. Coman ha impostato la questione nel titolo del suo contributo “Synésios de Cirene fut-il un convertit veritable?”, op. cit. Per una posizione vicina alla mia propria si può consultare l’opera di G. Grützmacher Synesios von Kyrene: ein Charakterbild aus dem Untergang des Hellenentums, op. cit., p. 166-167.

[105]           Lettera 41, 103-104, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 126. Traduzione di A. Garzya, op. cit., p. 127.

[106]           Campenhausen, H. von: “Synesios”, in Kroll, W./ Mittelhaus, K. (eds.): Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, op. cit., col. 1365.

[107]           Lettera 96, 12-21, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 248. Traduzione di A. Garzya, op. cit., p. 249.

[108]           Lettera 41, 123-131, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 128. Traduzione di A. Garzya, op. cit., p. 129.

[109]           Lettera 101, 26-28, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 256. Traduzione di A. Garzya, op. cit., p. 257.

[110]           Sull’ “ipotesi Sinesio 410” si può sollevare ancora delle obiezioni che ho discusso nella mia monografía Lo specchio del cosmo, op. cit.

[111]           Lettera 124, 11-12, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 302. Traduzione di A. Garzya, op. cit., p. 303.

[112]           Cf. Lettera 154, 86ss., in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 374.

[113]           Lettera 81, 14, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 230. Traduzione di A. Garzya, op. cit., p. 231.

[114]           Lettera 16, 1-3, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 102. Nella prima parte della frase (“madre, sorella… e per tutto”) seguo la traduzione di A. Garzya (p. 103); per la seconda parte (“e tutto quello… e opere”) mi servo della lezione di F. A. García (Cartas, op. cit.).

[115]           Lettera 10, 10-14, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 96. Traduzione di A. Garzya, op. cit., p. 97.

[116]           Cfr. Dzielska, M.: Hipatia de Alejandría, op. cit., p. 107.

[117]           Id., p. 107-108.

[118]           Lettera 124, 1-2, in Opere di Sinesio di Cirene. Epistole, operette, inni, op. cit., p. 302. Traduzione di A. Garzya, op. cit., p. 303.

[119]          Omero: Iliade, canto XXII, vv. 389-390. Traduzione italiana di Rosa Calzecchi Onesti (Einaudi, Torino).

[120]           Id., canto XXII, vv. 362-363. Per la prima sezione della frase mi sono servito della traduzione di Rosa Calzecchi Onesti; per la seconda invece (“perché… giovane”) ho attinto alla versione spagnola di Luis Segalá y Estalella, Espasa-Calpe, Madrid 198516, p. 236.