diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 1 - 2003

Cose dell'altro mondo

Ombre che mutano. Antigone velata a Teheran

 

 

L’aereoplano è tedesco ma il volo è per Teheran quindi ciò che cambia sono le regole : prima dell’atterraggio tutte le donne si devono coprire.

All’arrivo c’è la rappresentranza organizzativa del Fajir International Theater Festival due uomini e una donna gentilissimi ma la mia mano può stringere solo quella della traduttrice. Perchè? Siamo impure. Ah.

E’ notte fonda voglio solo raggiungere la mia camera d’albergo domani devo iniziare l’allestimento dello spettacolo con i tecnici del festival ignari del lavoro.

 

Non sono una turista, sono qui per lavoro, mi hanno invitata come compagnia italiana con “Antigone” lo spettacolo che con Daniela Mattiuzzi la regista abbiamo tratto da La tumba de Antigona di Maria Zambrano.

Anch’io ho posto delle regole per poter rappresentare il lavoro, ma sembra che non si rendano conto dei problemi da risolvere in un giorno, e ahimè lo capisco subito, cerco di agitarmi, come siamo abituate a lavorare qui, ma non arrivo a niente. Sono molto disponibili tutti ad ascoltare, ma ci passano da un ufficio all’altro, da un responsabile all’altro senza che niente si muova.

L’unica “arma “ a mio favore è quella di far saltare lo spettacolo, quattro repliche. Non se lo possono permettere quindi dopo aver perso mezza giornata a discutere, il teatro a noi destinato, alle 17, comincia ad animarsi di decoratori, tecnici del suono e della luce.  C’è una tale quantità di uomini costretti a rispettarmi in quanto rappresentante della mia compagnia. Ma con una traduttrice in farsi, la lingua del luogo, possiamo badare un gruppo alla volta. Sono disorganizzati, cerco di spiegare quali sono le priorità per arrivare logicamente a montare la scena, non capiscono si attivano tutti insieme e un gruppo intralcia l’altro, ormai è sera inoltrata, la pazienza è l’unica forma di sopravvivenza, ma non posso mai lasciare il teatro, nemmeno per un caffè, chi invece mi sta lasciando per stanchezza è la traduttrice, è giovane e ha il suo da fare con il cellulare per distrarsi e resistere. Allora sfodero il mio stentato inglese senza successo, in pochi lo parlano bene e qui abbiamo bisogno di un linguaggio tecnico-poetico.

All’una di notte parte della scena e le luci sono state ricostruite, non mi fido più dei loro tempi, quindi chiedo di poter fare una prova tecnica per impostare gli effetti luce, la parte più difficile, anche perché gli strumenti che hanno a disposizione sono vecchi e tutti manuali richiedono maggior concentrazione e precisione umana. Mi sgranano gli occhi lucidi dalla stanchezza e mi propongono di spostare alle 10 del mattino, si discute ancora, mi faccio promettere che alle 10 si parte. I si sono corali ma io non sono tranquilla.

Alle 10 c’è un gran via vai per ultimare la costruzione della scena. La pazienza mi sta lasciando, alle 19 è prevista la prima e alle 21 si replica. E il datore luci ancora non sa nulla del lavoro; alle 11 si presenta il censore (annunciato) per verificare dal vivo se niente è compromettente, dall’abbigliamento alle scene.

Dovrà aspettare più di due ore per vedere qualcosa, in un giorno ho imparato io a dire sempre di sì e a non prendere troppo sul serio le loro esigenze. Il censore vede e se ne va lasciandoci il via libera.

Ora manca solo un’ora alla prima e ancora ci sono problemi di fonica, sono sfinita, mi pare di non ricordarmi nemmeno il testo, non c’è il tempo per ripassare, vorrei solo che la sala si svuotasse per avere un pò di silenzio e fare il vuoto per lasciare spazio ad Antigone che dovrà dire la sua per più di un’ora. Si scopre che il pubblico comincia ad ammassarsi dietro le porte; così presto, sì in persiano lo spettacolo è annunciato alle 18, in inglese alle 19. Misteri dell’altro mondo.

Miracolosamente alle 19 tutto è a posto. Bravi, hanno ricostruito la scena verosimilmente. Si va in scena. Il pubblico ha in mano un riassunto, scena per scena in persiano e segue il lavoro. Sono un fascio di nervi, ma durante lo spettacolo riesco a rilassarmi e divertirmi. Applausi calorosissimi. E’ finita, hanno seguito, forse hanno anche capito qualcosa. Bene.

 

La fatica è stata tanta però siamo tutti contente/i; a mezzanotte, a cena, mi rilasso e propongo per il mattino dopo la visita al grande bazar di Teheran prima di richiuderci nel pomeriggio in teatro. I tempi che abbiamo passato all’interno dell’albergo, del teatro, e degli uffici con interminabili attese, eravamo un po’ sequestrate/i sempre accompagnate/i mai sole/i ci stavano portando ad una esasperazione, le scorte sono una protezione, sì, ma anche una forma di controllo.

Il mattino dopo scendo felice, a raggiungere i miei compagni per colazione, complice il sole. Ahimè i programmi sono già cambiati: conferenza stampa e una serie d’interviste con riviste di teatro.  Lo sconforto mi spinge a trasgredire, vorrei togliermi il foulard, poter disporre di un po’ di tempo per me. Capisco che non è possibile e approfitto degli spostamenti in auto, per osservare nei dettagli le vie e il popolo di Teheran. Per sfuggire al caotico traffico della città si percorrono vie interne della zona sud, ombre nere come fantasmi camminano per le strade s’impressionano nella mia memoria e l’immaginario cammina nei pochi minuti d’aria.  Come se i miei occhi fossero l’obiettivo di una macchina da presa vado incontro, a queste donne scoperte solo in viso, con neri chador che volano al vento, stringo sempre più il campo per arrivare ai loro occhi, peraltro bellissimi, ma prima che io possa fare il mio fermo immagine, la corsa dell’auto le sorpassa, nella mia mente resta lo scorrere di queste ombre, “sorvegliate” dai guardiani della rivoluzione, dai padri e dai mariti.

Le donne sono la punta culturale della società islamica, il 63%  della popolazione iscritta all’università sono donne, hanno diritto di voto dal 1963, l’avvocata Shirin Ebadi è nobel per la pace nel 2003. Allora perché sembra che nulla cambi profondamente, ai nostri occhi?

 

Arrivo alla conferenza stampa e di tredici giornalisti dieci sono donne, la responsabile è una donna bellissima, l’avevo già notata la sera prima dell’inizio dello spettacolo, nella toilette accanto al mio specchio, entrambe intente a sistemare gli ultimi ritocchi, veramente io alle prese con la sistemazione del foulard, con spille da balia per non farlo scivolare durante i movimenti in scena.

All’inizio le domande sono un po’ superficiali capisco che non tutte hanno già visto lo spettacolo, riesco con le risposte a “pilotare” le domande e portarle sempre più, alla scelta di lavorare su un testo come quello di Maria Zambrano, al partire da sè che confonde il potere (il seminario di Diotima e l’intervento di Buttarelli “ partire da sè confonde Creonte” fu per noi il primo seme per iniziare il lavoro) Voglio sentire da loro un movimento, ma sembra che non si scompongano nella loro eleganza, allora rispondo fissandole ad una ad una negli occhi, e percepisco complicità, evviva.  Arriviamo a domande più tecniche :- “come avete fatto a creare luci così belle?” testarda le riporto a Zambrano senza che loro lo sappiano –“ abbiamo dato alla luce lo stesso valore dell’ombra” oppure mi chiedono della tradizione teatrale in Italia, la commedia dell’arte, dovevo aspettarmelo: -“per il mio percorso è importante tradire la tradizione conoscendola” e questo ha risvegliato tutte/i.

Allora una mutazione c’è in queste splendide ombre dell’Islam.

 

Azzardano a chiedermi del video-prologo censurato per un nudo e di come una donna sola abbia potuto fare uno spettacolo così. Bene, ora ce l’hanno loro la parola.

La direttrice della rivista più autorevole di teatro è piccola, sottile e anziana, si copre il capo con un velo di pizzo nero. E’ molto competente di conseguenza diffidente, sul portare in scena un testo diverso da quello di Sofocle, e dopo passaggi di discorso teatral-filosofico, lei mi chiede: -“ una donna si libera per andare dove?” .

 

La sera viene allo spettacolo, alla fine mi aspetta, e con le lacrime agli occhi mi dice: “grazie, ora ho capito le sue risposte”. Io ho recitato in italiano.