diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 7 - 2008

Luce Irigaray

Luce Irigaray incontra Diotima

Intervista di Wanda Tommasi

 

 

Lunedì 15 ottobre, all’Università di Verona, la filosofa e psicoanalista francese Luce Irigaray ha tenuto una conferenza, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro pubblicato in Italia, Oltre i propri confini (Baldini, Castoldi, Dalai). Irigaray aveva parlato già in passato in più occasioni a Verona, ma questa era la prima volta che era invitata dalla comunità filosofica femminile Diotima: la conferenza è stata dunque l’occasione di un primo scambio con Diotima, che è stato molto proficuo e che io spero proseguirà anche in futuro.

Nella sua lezione, Irigaray ha rilanciato alla grande il senso della politica legata al pensiero della differenza sessuale: ha detto che è tempo ormai che le donne escano dalla critica del patriarcato e che si assumano la responsabilità di gettare le basi di una nuova cultura a livello mondiale: ha auspicato un ritorno all’entusiasmo del ’68, un nuovo inizio, non più critico ma creativo, in cui la differenza di genere sia il punto di partenza per incrociare le altre differenze (culturali, linguistiche, etniche, razziali ecc.). Ha suggerito che, per la coltivazione dell’energia e la sua condivisione nelle relazioni, l’arte, non solo come creazione di oggetti ma di noi stessi, potrebbe essere una via maestra. Questa via ci aiuterebbe a uscire dalla critica e dal risentimento, per approdare a un orizzonte creativo, che getti le basi di una nuova cultura e civiltà.

Dopo questo incontro, ho avuto la possibilità di intervistare Luce Irigaray. Riporto di seguito il frutto di questo scambio.

 

Wanda Tommasi: Diverse pensatrici femministe hanno valorizzato, fra i suoi testi, solo i primi, in particolare Speculum, in cui prevale la critica alla cultura patriarcale, e hanno prestato meno attenzione ai suoi libri successivi, sul tema della democrazia e dei diritti sessuati, e sull’apertura alle tradizioni orientali, in particolare allo yoga e al buddismo.  Diversamente da loro, io trovo che ci sia una continuità di fondo pur nell’evoluzione del suo pensiero. Questa continuità la scorgo in particolare nell’attenzione al divino femminile, che è necessario sul piano simbolico per consentire alle donne di divenire pienamente umane e di avere un orizzonte infinito davanti a sé. Ora, il tema del divino femminile attraversa molti suoi testi, da Speculum fino ai suoi più recenti. Lei può ricordare un punto cruciale del suo capitolo “la misterica” in Speculum?

 

Luce Irigaray: La cosa che forse mi sembra più decisiva nel testo “la misterica” è il fatto che, oltre l’attraversamento della reclusione nel logos occidentale, e tutti i dolori che ne risultano per la donna mistica, la fine del cammino sembra quando si ritrova un tocco pacato e felice. Questo accade quando riemerge l’ingenuità di essere toccata dalla grazia. Forse oggi potremmo preparare il cammino per accogliere la grazia, con meno sofferenza.

 

W.T.: In Oltre i propri confini, lei parla dell’ “amore dell’altro come percorso mistico”. Vuole spiegare in che senso per lei l’amore dell’altro essere umano s’incrocia con l’amore dell’Altro-divino?

 

  1. I.: Nella nostra tradizione, mi pare, abbiamo affidato la trascendenza unicamente all’assoluto dell’Altro. Conosciamo a questo proposito tutti i racconti dei percorsi mistici verso questa assoluta trascendenza di Dio. Abbiamo trascurato il fatto che un’altra trascendenza esiste nella relazione con l’altro con la minuscola, che necessita anche di un percorso mistico. Voglio dire con questo che l’altro con la minuscola è anche al di là della nostra conoscenza sia sensibile sia mentale. Ma questo percorso ha bisogno di altre trasformazioni di noi stessi, specialmente perché l’altro è incarnato e interagisce continuamente con noi.

 

WT: Lei parla della fecondità dell’incrocio fra diverse tradizioni, in particolare fra Oriente e Occidente. Potrebbe dire qualche parola su questa fecondità?

 

  1. I.: L’approccio alla tradizione orientale ha aiutato la mia stessa vita in un momento in cui mi sono trovata in difficoltà. Tale approccio si è realizzato prima attraverso la pratica dello yoga. A poco a poco questa pratica ha cambiato non solo il mio modo di vivere, ma anche il mio modo di pensare. Non per questo ho rinunciato alla mia tradizione, ma ho potuto avvicinarmi a questa tradizione in modo più consapevole e più creativo. Anche dal punto di vista religioso questo incrocio fra le due tradizioni è stato fecondo per me, anzitutto grazie alla cultura del respiro.

 

W.T.: Nel suo ultimo libro, lei suggerisce che il riconoscimento che il soggetto non è soltanto uno ma due, che sono differenti fra loro, può essere il migliore passaporto per varcare tutte le frontiere. Vuole spiegare in che senso?

 

  1. I.: La differenza fra i generi è la differenza più basilare e universale. Rappresenta una struttura fondamentale in tutte le culture, la diversità fra le quali in parte si spiega attraverso il modo di sistemare questa differenza a livello sia verticale, della genealogia, sia orizzontale, del rapporto di alleanza fra i sessi. Questa differenza fra identità sessuate è dunque una chiave per interpretare le diverse tradizioni e convivere con loro. E’ anche il punto a partire dal quale dobbiamo riprendere lo sviluppo del divenire dell’umanità, perché qui si articola la prima relazione fra natura e cultura.

 

W.T.: Per quale motivo preferisce nel suo testo l’espressione “differenza sessuata” a “differenza sessuale”? In Italia, anche grazie a Diotima, è prevalsa quest’ultima espressione, con la quale noi intendiamo la differenza di essere donna/uomo in quanto essa investe non solo la natura biologica dell’essere umano, ma anche e soprattutto la sfera culturale, nella scommessa di tenere insieme natura e cultura.

 

L.I.: All’inizio, e per anni, ho usato differenza sessuale. Alcuni motivi mi hanno spinta a insistere sempre di più sull’identità sessuata, e non solo sulla differenza  sessuale. Uno di questi è la necessità di sottolineare il fatto che l’identità sessuata esiste prima di ogni scelta sessuale. E che siamo donne qualunque sia il nostro orientamento sessuale. Mi sembra importante ribadire la cosa per evitare divisioni fra le donne, che condividono la stessa identità. Puntare sull’identità e non solo sulla soggettività è anche un modo di ricordarci che abbiamo bisogno di criteri oggettivi per elaborare la nostra cultura. L’identità sessuata, che per me è anzitutto un’identità relazionale – il primo luogo di intreccio fra natura e cultura -, mi sembra un punto di riferimento oggettivo indispensabile per coltivare la nostra soggettività e per condividere nella differenza.

 

W.T.: Nel suo ultimo libro, lei parla del “negativo come cammino verso l’altro” e precisa che “entrare in relazione con l’altro si fa […] a partire da un negativo, dalla rinuncia ad appropriarsi dell’altro”. Vuole parlare di questo significato del negativo?

 

  1. I.: La differenza implica sempre l’intervento di una certa negatività. Per secoli questa negatività è servita al soggetto occidentale per appropriarsi del mondo, per non dire dell’altro. Era anche intesa in una maniera in qualche modo quantitativa. Al contrario – ad esempio, di uno Hegel -, uso il negativo per disappropriarmi del mondo e dell’altro. Il mio gesto non è mai di integrarli nel mio orizzonte, ma di lasciarli al loro proprio mondo. In questo caso, il negativo è insuperabile e fa da custode alla permanenza di una doppia soggettività, con due orizzonti, due mondi, due rapporti con l’assoluto. Sarà il compito di queste due soggettività quello di elaborare insieme un terzo mondo, che non appartiene né all’uno né all’altro, ma è il frutto della convivenza fra i due.