diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 4 - 2005

Lingua Materna

Lingua del cuore – cuore della lingua  

 La dimensione della lingua materna nell’apprendimento della lingua italiana

 

 

Adorazione

 

Quando osserviamo una madre con un neonato notiamo subito lo sguardo entusiasta della madre. Lei dirige con occhio gioioso lo sguardo del bambino che non sa ancora riconoscere elementi distinti del mondo.Ci vengono in mente scene della iconografia religiosa. La sacralizzazione di questa adorazione del piccolo/a. Essa non è solo l’atteggiamento più diffuso tra le madri, ma anche una posizione necessaria per relazionarsi con il piccolo/a e premessa per l’apprendimento della lingua materna..

Così, anche i nostri  bambini stranieri hanno bisogno di uno sguardo materno che adora e dirige. Per apprendere una lingua straniera  occorre lo stesso rapporto di adorazione..

Alla base del lavoro dell’associazione  Ishtar[1] sta proprio questo: creare uno spazio di adorazione per le donne, gli uomini e bambini migranti. Creata questa condizione tutto il resto è molto più facile e si snoda quasi naturalmente. Questa è la mia convinzione.

 

Anche il  progetto tandem[2] si basa su queste premesse.

 

 

Non solo una lingua

 

La lingua non può fare a meno dei rapporti. La lingua materna è per definizione questa:

una lingua vincolata alle persone, al  luogo e al tempo, mentre i linguaggi tecnici si definiscono per le caratteristiche opposte: la parola tecnica deve conservare la propria validità anche in assenza delle persone che hanno per prime pronunciato o scritto le sue affermazioni, deve essere comprensibile ad altre persone, fuori dal tempo e dal luogo dove è stata creata e deve avere un significato sempre ugualmente valido, preciso mentre la lingua materna non ha un significato ben determinato, resta densa; è più un magma fluido che una sostanza solida.[3]

I linguaggi tecnici usano spesso prestiti dalle lingue morte. La parola del linguaggio tecnico è essenzialmente morta mentre la parola della lingua materna è come una pianta, continua a crescere e a trasformarsi.

La lingua materna non è solo una lingua ma è tutto il nostro esistere. La lingua materna si apprende nelle zone d’ombra della nostra esistenza. Nessuno  si ricorda come ha imparato a parlare, a dire le prime parole. Questa lingua la apprendiamo senza il nostro consenso, senza volontà, senza libertà, senza coscienza, senza regole, senza grammatica e soprattutto senza traduzione. Ed è per questo che circola in stati di coscienza a noi spesso preclusi ma diffusi in tutto il corpo ed entra nella notte dei nostri sogni e nella creatività del nostro agire. La lingua materna non è solo parola, è sentire, è muoversi, è il ritmo del respiro, l’espressione del viso, il timbro della voce, la qualità del sorriso, la direzione dello sguardo, la stretta della mano. La lingua materna si apprende attraverso quello che oggi chiamiamo “embodiment” (essere nel corpo)[4],quando il pensiero  scaturisce dal movimento e il sé non è ancora presente. In quel momento nasce  una categoria insconscia dell’esperienza. Il regno dell’esperienza non mediata da altra lingua è il regno dell’inconscio.[5]

 

La lingua dell’inconscio

 

“Successivamente apprendiamo un altro linguaggio che invece fin dall’inizio è privo di esperienza, un linguaggio che non può avere un precipitato nell’inconscio, si tratta di un linguaggio insignificante, che non lascia nemmeno tracce strutturali, grammaticali. Perché sempre quando nominazione ed esperienza vanno di pari passo il linguaggio ha senso e tocca il nostro inconscio e ristruttura il nostro pensiero, lo rende più ampio. Per C.G Jung (opere 2/1) la “sequenza associativa subconscia procede per mezzo di somiglianze di immagini e di suoni.”[6] Dice Jung a questo proposito inoltre che l’indebolirsi delle associazioni semantiche porta a una maggiore attenzione ai suoni.

Ed è proprio nella prima infanzia che si forma  il  binomio tra immagini e suoni legati all’esperienza che il figlio/a fa con la madre. Questo processo non può avvenire che nella madrelingua della madre perché lei a sua volta possiede il livello profondo di suoni, al di là della semantica, solamente nella sua madrelingua. Questo primo livello del linguaggio non può mancare, è di grande necessità perché tutti gli altri processi di apprendimento sono successivi e si basano su di esso. Non a caso l’insegnamento della madre è molto attento a questo abbinamento di immagini e suoni della lingua. Le filastrocche ne sono una prova convincente.

Così la nostra parola delle origini è composta di una parte udibile e visibile nella scrittura ma anche di una gigantesca parte di sostanza invisibile e non facilmente trascrivibile.

La lingua materna è la lingua migliore e la lingua più completa che possediamo e l’educazione dei nostri figli in un’altra lingua non potrà mai essere così completa. Anzi la maggior parte delle persone migranti che parlano italiano in casa perché lo credono utile al bambino non si rendono conto di parlare una lingua molto modesta con loro e di rinunciare a una lingua meravigliosa.

Ciò che resta inesprimibile perché alla madre manca la competenza di esprimerlo nella lingua che non è quella dell’origine resta muto. Anzi, molte madri, come descritto dalla Francine Rosenbaum, diventano afasiche. Non parlano più in nessuna lingua. Ciò che resta inesprimibile va  perso o entra nel subconscio.

 

 

La madre che non parla la lingua materna

 

A partire da queste considerazioni possiamo ora chiederci cosa succede se la madre non parla nella propria lingua materna con i propri figli e figlie. Ovviamente ci troviamo in presenza di un codice molto complesso e contraddittorio. La gestualità della madre resta legata alla lingua materna e anche la struttura sintattica dei suoi discorsi. Sono rari i casi  in cui un adulto impari molto bene la struttura  sintattica più tipica dell’altra lingua perché probabilmente è vera la tesi di E. Lenneberg che la plasmabilità del cervello oltre i dodici anni è più limitata. E anche una certa ragione possiamo a posteriore attribuire alle teorie behavioristiche che partono proprio da questo concetto di lingua materna, che appunto  crea delle strutture sintattiche e morfologiche difficilmente da rimuovere. (In questo campo potremmo fare ancora molte indagini, specialmente fra i bambini migranti di lingue molto distanti da quelle indoeuropee.)

Non vuol dire che non si possa parlare abbastanza bene un’altra lingua ma si resta nel punto sintattico di intersezione, in ciò che si chiama le interferenze, dove cioè la struttura della lingua materna e quella della lingua straniera sono simili. Altrimenti si dovrebbe apprendere la nuova lingua come la lingua materna, cioè in un rapporto a due, amoroso, di adorazione, toccandosi la pelle, fatto che per i nostri emigranti è difficilmente realizzabile. Occorrerebbe un rapporto amoroso o di grande amicizia.

Spesso, comunque, le nostre amiche straniere sono ben capaci di apprendere anche molto bene la lingua italiana perché sono già bi- o trilingui fin dalla nascita. Mi sono sempre stupita andando in vacanza in Africa p.e. di constatare quante lingue parlano  e quanta facilità hanno ad apprendere nuove lingue. La difficoltà maggiore credo incontrino solo quelle persone migranti che sono strettamente monolingui, come d’altra parte le nostre insegnanti, uomini e donne che a loro volta sono monolingui.

 

Prima di insegnare la lingua materna ai propri figli devo amare io stessa la mia lingua e devo trovarmi a casa in essa. Ma qua sta un’altra questione: l’amore per la propria lingua. Molti sono  gli esempi che parlano di una fuga dalla propria lingua materna. Per conflitti in famiglia oppure per la storia del proprio paese ci si può disamorare della propria lingua e preferirne un’altra, una comunque straniera perché la lingua materna risveglia dolori, discriminazione, alle volte insopportabili. Poi, la lingua materna per molti stranieri spesso non è veramente lingua materna, ma lingua coloniale cosa che porta con sé sentimenti molto ambigui.[7]

Ma la maggior parte delle madri ama la propria lingua ma  è convinta di favorire il figlio o la figlia sopprimendo la lingua materna per non creare a loro delle difficoltà a scuola.

Facendo così invece le difficoltà sorgono perché senza la lingua materna il cervello è senza struttura e la nuova lingua non sa su quali percorsi procedere. La lingua straniera senza la lingua materna è come una macchina senza motore oppure un computer senza il disco fisso. Per potere usare del software mi occorre prima un hardware e un disco fisso.

Racconta A.A. Tomatis in un suo testo che una famiglia di emigranti spagnoli in Francia parlava normalmente la lingua materna a casa ma dopo un po’  di tempo l’insegnante  aveva notato un grande peggioramento del profitto dei figli a scuola e indagando il motivo di questo cambiamento aveva scoperto che a casa i genitori avevano cominciato a parlare in francese per aiutare i figli.

 

Un punto di vista neurolinguistico

 

Chiediamoci perché è così fondamentale, da un punto di vista neurolinguistico, insegnare la propria lingua.

Il cervello del neonato non è ancora strutturato e la lingua materna non solo ha come risultato la conoscenza di una lingua, la prima ma crea anche  le connessioni cerebrali, percorsi di pensiero, di memoria. Il nostro cervello possiamo immaginarlo come una carta geografico-linguistica, dove le linee sono i percorsi delle nostre parole, gli snodi, i punti di raccolta, i  margini etc. Ogni lingua crea una carta linguistica diversa e ogni lingua successiva , in un primo momento percorre le stesse linee ma in un secondo momento ristruttura e trasforma tutta la carta linguistica, perché il cervello è  molto plastico.[8]

 

Cosa succede quando immettiamo un’altra lingua nel  circuito della nostra lingua materna? Il sistema va in tilt, respinge le nuove informazioni in quanto non riconosce gli elementi e non vuole integrarli finché il bombardamento linguistico non è così prolungato ed intenso che si ristruttura da poter integrare le nuove informazioni. Come il software di correzione ortografica. Quando inserite un vocabolo di un’altra lingua, lo sottolinea subito come errato. Il sistema umano è comunque molto flessibile e adattabile. Dopo una certa insistenza accetta le novità e cerca faticosamente una logica di sistema che possa comprendere entrambe. Ma tutto l’apparato rallenta necessariamente per questa gigantesca ristrutturazione. Vedo davanti a me un bambino che sta silenziosamente in ascolto. Il suo  sistema cerebrale si  sta ristrutturando. Nel bambino/a il lato sinistro del cervello, occupato dalla lingua materna, deve strutturare il lato destro del cervello che sarà la sede delle lingue successive.[9] Occorre molto tempo perché tutto questo processo si compia. Ovviamente è importante che il bambino resti sempre esposto alla lingua nuova e che l’insegnante lo adori. Solo così il desiderio di apprendere resta vivo e il bambino non si chiude perché l’ambiente gli sembra ostile.

 

La lingua materna aiuto nell’educazione

 

La persona che vive in un andare-venire tra l’origine e il luogo d’arrivo della sua vita, delle emozioni e dei sensi, è più fortunata. Chi invece non ha la possibilità di riallacciarsi alla propria origine e alla propria lingua, nutre il subconscio. In quel caso le zone d’ombra si possono allargare a macchia d’olio e creare delle eclissi improvvise. Portarsi dietro tutta la storia fin dall’inizio può essere talvolta faticoso, ci permette in compenso di avere un certo equilibrio in tutte le cose.

Per questo è anche necessario praticare le nostre lingue di origine. Inoltre, per i figli/e, magari nati in Italia, tornare nel paese dei nonni e non poter parlare con i nonni, zie e zii e cugini, è un dramma e una grave perdita.

“Non conoscere la lingua dei genitori è ancora più drammatico perché la lingua materna è l’unica lingua di autorità materna. L’insegnamento materno si snoda su due livelli. Da una parte, la madre trasmette implicitamente, senza denominazione, con il suo modo di relazionarsi prima al suo bambino poi agli altri, con i sui  movimenti e con la sua voce, i propri desideri, le proprie sofferenze. L’altro livello, invece, passa per la lingua, è esplicito. E con questa comunicazione la madre tiene il figlio attaccato al filo delle parole. Di un filo invisibile si tratta. E’ come essere legati al cordone ombelicale con le parole. La parola data ed accolta crea un legame indissolubile sia con la persona, la madre, che con la lingua, cioè la parola. Ma, siccome la lingua materna contiene la filosofia di vita della madre, la sua parola orienta il figlio e la figlia e continua a guidarli senza per questo pronunciare delle massime morali. Già nella lingua è contenuta la sua visione delle cose. Ma non solo. Si dice ‘Non mi ascolta’ intendendo che non segue la madre. Frequentemente quel “non ascolto” si nota nelle famiglie dove non si pratica la lingua materna. In assenza della lingua che lega, la parola non ha più autorità e i figli sfuggono alla guida della madre e del padre. Molti genitori si lamentano che addirittura loro, la loro lingua e le loro tradizioni sono derisi dai propri figli.”[10]

Ma non solo. Il desiderio di trasmettere la propria lingua fa nascere anche la necessità di parlarla più frequentemente possibile e nasce la madre insegnante, la prima insegnante dei propri figli. Il padre che è assente tutto il giorno perché al lavoro e la sera non si occupa dei propri figli non potrà insegnare la propria lingua materna. Di fatti il bilinguismo trasmesso per linea paterna non funziona se non in casi eccezionali. L’insegnamento della lingua rafforza il rapporto fra madre e figlio/a e crea un legame spirituale che va oltre al rapporto di cura corporea.

 

Dall’altra, se immaginassimo che il proprio figlio o la propria figlia non parlassero la nostra lingua ci farebbe orrore. In casi  drammatici questo può portare a una estrema alienazione.

 

 

La lingua della felicità

 

Nei momenti difficili della nostra vita: il parto, l’amore, l’educazione dei figli abbiamo bisogno di parlare la lingua materna.

La lingua materna, e tutto il rapporto con la nostra origine, è, secondo me, molto più longeva di quello che generalmente si pensa. Prendo me stessa come oggetto di indagine e credo, nonostante tutte le esperienze fatte con altre persone, culture e lingue, di essere molto vicina a mia madre e a mio padre e alla mia lingua materna.

E’ stato fatto una ricerca che sostiene che i ragazzi e le ragazze bilingui sono più felici perché hanno una grande quantità di risorse. Si ritiene che generalmente siano anche più intelligenti.[11]L’intelligenza dei bambini bilingui è dimostrata dal fatto che gli immigranti cinesi in USA, già nella seconda generazione accedono agli studi superiori. La buona acquisizione di una prima lingua permette l’acquisizione rapida di un buon livello di una seconda lingua, addirittura di una terza.”[12]

 

 

La lingua materna per comprendere meglio e più velocemente

 

I fenomeni nell’ambito del bilinguismo sono molto complessi e anche contraddittori. Alcuni migranti risentono meno delle difficoltà e riescono a trovare la loro strada anche se non hanno goduto della mediazione linguistica e culturale normalmente necessaria. Marie Rose Moro parla a questo proposito di una “acculturazione brutale”[13] Altri avranno  sempre bisogno della lingua materna per rilassarsi e per  ritrovare energia, per fare progressi di apprendimento, per memorizzare le cose velocemente.

 

E’ vero che l’apprendimento di una lingua straniera è un meraviglioso apporto di novità e ricchezza, di pensiero, lessicale e strutturale, ma contemporaneamente rallenta il processo di avanzamento cominciato nella lingua materna. Questa affermazione non vale però per i bambini bilingui perché questi costruiscono subito un sistema più complesso che prevede entrambe le strutture e possono agevolmente avanzare sia in una che nell’altra.

La lettura in lingua straniera, p.e., anche quando non è più faticosa lascia tracce più labili nella mente. Finché la seconda lingua non è sviluppata altamente il passaggio dalla memoria breve a quella a lungo termine avviene in lingua materna. Perciò l’apprendimento rallenta.

Io stessa che vivo in Italia da 30 anni e pratico l’italiano quotidianamente in tutte le sue forme mi accorgo che i libri letti nella mia lingua materna, si fissano meglio nella memoria a lungo termine.

Vuol dire che il cervello è occupato da troppi processi intellettivi per aver abbastanza spazio da impiegare per la ricezione di senso. Sarebbe utile fare una ricerca più approfondita in questo ambito.

 

Al senso dell’insieme si accede  solo a un livello di lettura automatica/inconsapevole perché il significato profondo delle parole scaturisce sempre in modo non cosciente dalle nostre esperienze linguistiche in contesto. Il senso del testo è qualcosa di diverso da ciò che la linguistica strutturale ci ha fatto credere, il senso non si ricostruisce  a partire dalla superficie linguistica ma a partire dal visibile che si fonde col invisibile.  Il senso inoltre percorre sempre tutta la gamma delle esperienze e va indietro a quel luogo sacro che è l’iniziazione al senso stesso, cioè alla lingua materna.

Il senso viene fondato in quel luogo e non può fare a meno della origine. Ma siccome con la lingua materna non impariamo in primo luogo la madrelingua, quella soprattutto, ma tutto il nostro modo di essere costruttori di senso. A partire da questa esperienza tutte le informazioni successive saranno oggetto di questa pratica di creare senso.

 

In Finlandia, paese che si è posizionato ai primi posti nella ricerca PISA[14], uno studente che ha problemi nella lingua straniera, deve sottomettersi a un test in lingua materna. Quando si scopre che ha delle lacune nella lingua materna si  rinforza l’apprendimento della lingua materna per rinforzare le sue capacità di apprendimento nella lingua straniera.

Un altro modello, oltre a quello finlandese, paese da sempre bilingue (svedese-finlandese) è quello canadese (francese-inglese) dove si fanno meravigliose esperienze con il bilinguismo e con i modelli d’immersione.

 

 

La madre fa da esempio

 

La madre, ovviamente, è il punto cruciale dell’educazione dei nostri allievi stranieri. Come provocazione un po’ paradossale ma non tanto direi che il sistema scolastico migliore è quello che insegna bene l’italiano alle madri. Ho studiato il metodo Suzuki[15] che si usa molto nell’insegnamento di uno strumento musicale che potrebbe essere una guida in questo ambito. Il metodo parte dal presupposto che i bambini emulano la madre. Se essa desidera suonare il violino anche il piccolo o la piccola vogliono fare ciò che la madre fa..

Di fatti le madri straniere che parlano bene l’italiano ma insegnano la lingua materna hanno dei figli perfettamente bilingui senza problemi scolastici. Ho in mente un amica di lingua araba che ama  l’italiano quanto la propria lingua materna anche se in modo diverso perché l’una  è la lingua del radicamento e l’altra è quella del desiderio.

I bambini che vedono la madre parlare sia in una lingua che nell’altra la emulano automaticamente. Vogliono diventare bilingui anche loro.

 

Se le nostre amiche straniere, madri, andassero nella stessa scuola dove studiano i figli, magari di pomeriggio o di sera a seguire dei corsi di italiano il luogo subirebbe una grande valorizzazione agli occhi dei figli. In Germania ora tutte le donne devono partecipare ai corsi di lingua tedesca perché si pensa che sia anche uno strumento per tirarle fuori di casa e per spezzare il loro isolamento, in modo che possano trovare amicizie anche di connazionali ed altre straniere-

Il  corso d’italiano non deve essere un corso di lingua italiana. Se usassimo il meraviglioso metodo di immersione potremmo con un occhio di riguardo verso la lingua, insegnare corsi di cucina italiana, di cucito, di salute, di educazione dei figli, di storia delle religioni, ed altro.

 

L’insegnante fa da esempio

 

Ho già parlato degli insegnanti monolingui. Quando nell’universo scolastico gli unici che sono ancora monolingui sono gli insegnanti il sistema ha un grande problema. Per me una delle massime dell’educazione è la reciprocità che mi deriva dall’insegnamento della lingua materna. In quell’insegnamento  anche la lingua della madre cambia. Di fatti distinguiamo tra madrelingua e lingua materna. Ogni insegnamento per essere efficace deve essere reciproco, vuol dire che anche l’insegnante deve trovarsi in un processo di apprendimento. Facciamo fare dei corsi di arabo o di cinese o di altra lingua per insegnanti. Perché solo apprendendo  ritorno in quella situazione sorgiva che vuole essere ogni situazione didattica, dove tutti quanti siamo  disposti alla ristrutturazione della carta mentale e emozionale perché i nostri allievi apprendono principalmente ciò che noi siamo e ciò che noi facciamo e meno quello che esce dalla nostra bocca perché hanno una giusta concezione della lingua che lingua è appunto un insieme di agire, sentire e parlare.

 

Sul versante pratico non mi occuperei solo delle problematiche dei bambini stranieri. Spesso quelli italiani hanno difficoltà simili ma meno evidenti. La scuola dovrebbe offrire sia ai bambini migranti che a quelli  italiani il massimo di istruzione. Anche fra bambini si potrebbe introdurr il metodo tandem. Ogni bambino/a straniero va in coppia con uno italiano che gli insegna la propria lingua materna. Forse sarebbe di grande profitto non solo per in bambini stranieri ma anche per quelli italiani che potrebbero trovare stimoli più vivi per interessarsi delle materie scolastiche e entrare in un mondo didattico maggiormente interattivo. Sappiamo che oltre all’insegnamento materno anche quello fra coetanei (peer group) è molto efficace perché altrettanto ricco di stimoli corporei e sensuali. Comunque sarebbe bello se  nelle diverse scuole di Verona si facesse una sperimentazione diversificata dando vita a progetti che emergano dalla realtà della singola scuola e che alla fine potranno essere raccontati e stimolare anche altre scuole.

 

 

Testi di  riferimento

 

Corinne Belliveau, Simultaner bilingualer Spracherwerb unter entwicklungs- und kognitionspsychologischen Aspekten, Shaker Verlag, Aachen 2002.

 

Geneviève Calame-Griaule, Il mondo della parola, Bollati Boringhieri, Torino 2004.

 

Vivian Cook, Effects of second language on the First, Multilingual matters LTD, Clevedon 2003.

 

Jacques Derrida, Il monolinguismo dell’altro, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004.

 

Assia Djebar, Queste voci che mi assediano, Il Saggiatore, Milano 2004.

 

Edith Harding and Philip Riley, The Bilingual Family, Cambridge University press, New York

1999.

 

Elisabeth Jankowski, Crescere dentro più lingue: la madre insegna a parlare, in:A.A., Il bagaglio invisibile, Progetto Equal Partnership, Brescia, Assocoop 2004, pp. 227-235.

 

Elisabeth Jankowski, Valori e simboli della lingua materna, in: Les Poscibeltés dl Ladin, Atti del convegno, Bolzano 2004, pp. 24-30.

 

Gisela Klann-Delius, Spracherwerb, Sammlung Metzler, Stuttgart 1999.

 

  1. Kugler, L’alchimia delle parole, Bergamo, Moretti & Vitali Editori, 2002.

 

Marie Rose Moro,  Bambini immigrati in cerca di aiuto, UTET, Torino, 2001.

 

Paradis M. (1981), neurolinguistic organanization of a bilingual’s two languages, in: J.E.Copeland and P.W. Davis, The seventh LACUS Forum. Columbia, S. C.:Hornbeam Press.

 

Francine Rosenbaum, Approche transculturelle des troubles de la communication, Masson Paris, 1997.

 

William Starr,  Die Suzuki-Violin-Methode. Ein Handbuch für Lehrer, Eltern und Studenten, 1984.

 

Eva-Maria Thüne (a cura di), All’inizio di tutto la lingua materna, Rosenberg & Sellier, Torino

1998.

 

Renzo Titone, La personalità bilingue, Bompiani, Milano 1995.

 

Kurt Werner, Wie Kinder leichter sprechen lernen, Herder Verlag, Freiburg, 2000.

[1]              Ishtar è un associazione di donne italiane e straniere che hanno l’unico scopo di fare amicizia e di conoscersi meglio l’una coll’altra.

[2]              Il progetto Tandem nasce all’interno dell’associazione Ishtar ed è una specie di One-to-one gratuito per donne straniere. Il rapporto di insegnamento è basato sul metodo di lingua materna.

[3]              Non vi è tempo di indagare più in profondità la indeterminatezza della lingua materna .

 

[4]              Ismeta (International somatic movement education & therapy association www.ismeta.org) è una associazione internazionale a cui aderiscono diverse discipline che hanno al centro l’educazione e la terapia attraverso il movimento. Ismeta organizza un master a brescia: www.pensarecolcorpo.it, a Trento: www.labanbartenieff.it .

[5]              Cfr. P. Kugler, L’alchimia delle parole, Bergamo, Moretti & Vitali Editori, 2002, pp. 24-25.

[6]              Ivi, p. 28.

[7]              Cfr. Eva-Maria Thüne, Estraneità nella madrelingua, in: All’inizio la lingua materna, a cura di Eva-Maria Thüne, Rosenberg & Sellier, Torino 1998, p. 57-93.

[8]              Varie ricerche sono giunte a questa conclusione. Cfr. Belliveau Corinna, Simultaner bilingualer Spracherwerb unter entwicklungs- und kognitionspsychologischen Aspekten, Shaker Verlag, Aachen 2002, pp.62-63.

[9]              Cfr. Paradis M. (1981), neurolinguistic organanization of a bilingual’s two languages, in: J.E.Copeland and P.W. Davis, The seventh LACUS Forum. Columbia, S. C.:Hornbeam Press.

[10]            Cfr. Elisabeth Jankowski, Crescere dentro più lingue: la madre insegna a parlare, in: A.A. Il bagaglio invisibile, Progetto Equal Partnership, Brescia 2004, p. 232.

[11]            Cfr. Renzo Titone, La personalità bilingue, Bompiani, Milano 1995.

[12]            Cfr. Moro Marie Rose, Banbini immigrati in cerca di aiuto, Utet libreria, Torino, 2001, p. 93.

[13]            Cfr. Moro Marie Rose, ivi, p. 103.

[14]            Programme for International Student Assessment

[15]            Cfr. William Starr,  Die Suzuki-Violin-Methode. Ein Handbuch für Lehrer, Eltern und Studenten, 1984.