diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 3 - 2004

Memoria

L’importanza di mantenere un filo

 Nello scorso ottobre è morta Yang Huanyi, l’ultima voce, l’ultima testimone parlante, del Nu Shu[1].

La lingua Nu Shu[2] dove Shu significa letteralmente scrittura e Nu delle donne è una lingua, un codice segreto, che per centinaia di anni si è tramandata da donna in donna attraverso la stoffa con dei ricami.

Quando alcuni anni fa venni a conoscenza dell’esistenza di questo “segreto” che alcune donne cinesi avevano preservato per secoli dallo sguardo maschile come forma di sopravvivenza di se stesse e delle loro emozioni, sentii di aver compreso ancora di più la forza della genealogia femminile e di aver fatto una scoperta davvero preziosa.

Scoperta che feci grazie ad una donna, Chiara Zamboni, nel momento in cui stavo capendo come l’utilizzo del tessuto, del filo come materiale artistico privilegiato significhi e segnali attualmente la ricerca e la necessità da parte di molte donne di un linguaggio immediato, sessuato, intriso di un “fare femminile” che richiami sempre un’altra donna e nomini una relazione di differenza.

Mi è sufficiente ripensare a Soo-Ja Kim, artista sud-coreana su cui ho lavorato molto, che in un intervista[3] dichiara di aver iniziato a fare arte a partire dai tessuti e dal cucito grazie a due donne: la madre arguta insegnante di vita con cui cuciva e l’amore per la  nonna che era profondamente appassionata delle stoffe.

Dalle stoffe, dai tessuti ripiegati e fatti a “fagotto” di Soo-Ja Kim non emerge solo la visibilità simbolica di lei, quale singola donna, che tesse insieme ai fili se stessa ed i suoi sentimenti, stabilendo con la materia, apparentemente inorganica, una relazione emotiva.

Emergono anche le tracce di una memoria femminile collettiva, di una visibilità di donne del passato che il patriarcato non è stato in grado di cancellare.

Così il patriarcato cinese nonostante pratiche quale quella dell’isolamento della donna dopo il matrimonio non è fortunatamente riuscito a cancellare il Nu Shu.

La nascita di questa antica lingua è imprecisa e oscilla tra il 1000 ed il 1500 d.C. e trova luogo in una regione situata al sud della Cina dal nome Human, questa lingua era infatti utilizzata dalle donne di Yao delle contee di Jianyong e Yongming per trascrivere le parole delle canzoni che cantavano durante la tessitura, il cosiddetto “filò” delle nostre nonne.

 

A causa del confucianesimo la sposa si doveva trasferire nella casa del marito, ovviamente a lei sconosciuto, e separarsi per sempre dalle donne della sua famiglia d’origine; avrebbe potuto rivederle solo un’ultima volta nella cerimonia del terzo giorno, a tre giorni dalle nozze.

In questa occasione le donne regalavano alla sposa un libro, il Sanzhaoshu (il Libro del terzo girono), composto di ricami di testi Nu Shu, poesie e canzoni che si scambiavano di generazione in generazione nel tentativo di colmare il dolore della separazione, della solitudine.

Attraverso la stoffa ed il ricamo queste donne riuscirono quindi a mantenere viva una rete di relazioni femminili nonostante divieti e proibizioni, a salvare la propria genealogia femminile.

Yang Huanyi è stata una delle poche che continuò a praticare questa lingua sessuata anche dopo gli anni settanta quando cadde in disuso, ed è grazie a lei e a molte sue coetanee che è stato possibile realizzare il Nu Shu Zidian, il vocabolario de Nu Shu.

Era una donna profondamente innamorata di una lingua che per lei aveva significato la salvezza dal dolore e dalla malinconia, lei stessa definiva il Nu Shu come sostegno fondamentale alla sua vita soprattutto dopo il matrimonio quando si trasformò in una pratica in grado di lenire la sofferenza della lontananza e della solitudine.

L’amore per il prezioso dono ricevuto da una donna le fece capire l’importanza di regalarlo a tutte noi, e così Yang Huanyi, dopo aver creduto profondamente nella rivelazione e divulgazione  del Nu Shu, a 84 anni accettò la proposta di raccontare la sua storia davanti alla telecamera della regista sinocanadese  Yang Yueqing che realizzò nel 2001 il documentario  “Nu Shu: a hidden language of women in China”.

Grazie al dono di Yang Haunyi e di molte altre donne cinesi il Nu Shu oggi non è più una lingua nascosta, e di fronte alla morte di una madre tanto generosa rimane il desiderio che questa lingua non muoia mai ma possa sopravvivere in tutte noi.

 

[1]              Cfr. il Manifesto, Yang Huanyi, l’ultima voce del Nu Shu di Marta Marsili, 20/10/04.

[2]              Cfr. il Manifesto, La lingua della parola ricamata di Marta Marsili, 26/07/01.

[3]              A cura di) Emanuela De Cecco e Gianni Romano, Contemporanee. Percorsi, lavori e poetiche delle artiste dagli anni Ottanta a oggi, Costa&Nolan, Milano 2000, pg.351-356.