diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 11 - 2012

Tesi di Laurea

Le donne che leggono sono pericolose

Percorsi tra letture e lettrici in Età Moderna

 

Giunta al termine del mio percorso di studi ho riflettuto molto per capire quale argomento potesse conciliare i miei interessi e risultare al contempo degno d’approfondimento e trattazione in una tesi di laurea. Così sono partita dalla passione che ricordo da sempre, la lettura.

Ho sempre amato leggere, ho sempre divorato libri, senza metodo né rigore inizialmente, senza che nessuno mi spingesse a farlo o me lo impedisse, senza domandarmi perché lo facessi o cosa precisamente ci trovassi, ma accettando e coltivando semplicemente questa parte di me.

Col tempo ho acquisito maggior consapevolezza dell’importanza che avevano per me letteratura, arte, storia, filosofia, così come i romanzi, che mi facevano compagnia ogni sera prima di dormire, decidendo così di iscrivermi a Lettere. E’ sto un salto nel vuoto, allora sì che molti si sono opposti al mio amore per la lettura, per i libri, in nome del mio futuro e della mia realizzazione. Non è stato facile spiegare la scelta di quella strada poiché io stessa non sapevo dove sarei voluta e potuta arrivare, sentivo semplicemente che dovevo andare e così è stato.

 

Sono stati anni meravigliosi ed intensi in cui ho lasciato che i miei studi e le mie letture mi formassero e trasformassero aprendomi lo sconfinato mondo del pensiero, dell’immaginazione, dei sogni, senza per questo perdere di vista la realtà. Quale miglior argomento allora della lettura e delle letture femminili poteva concludere il mio percorso accademico? Era come chiudere il cerchio.

Ho deciso però che il discorso doveva valere anche per le altre donne e persino per gli uomini, bisognava allora anzitutto dare parola alle lettrici del passato di modo che quelle d’oggi potessero ricongiungersi alla loro origine, vedere la strada tortuosa e accidentata che ha garantito loro la libertà di lettura, di pensiero e d’opinione raccontando così la subordinazione fisica e spirituale che le ha costrette ad una storia di paura e silenzio, riducendole a figlie, mogli, madri d’uomini senza che esse potessero conoscersi, significarsi ed amarsi.

Allo stesso tempo l’immagine della donna veicolata oggi dai mass media e della pubblicità risulta assai pericolosa poiché, pur non corrispondendo in assoluto alla realtà della presenza femminile in società, propugna modelli deformati e deformanti i nostri desideri e le nostre ambizioni che vanno così a corrodere l’essenza stessa della nostra femminilità.

In un tal contesto mi sembrava che una tesi che illustrasse le ragioni della pericolosità della lettura femminile nel nostro passato fosse assai interessante poiché è dal racconto della nostra storia che si può partire più consapevoli non solo per decifrare il presente ma anche e soprattutto per scriverlo personalmente, immaginando così un futuro che abbia realmente la nostra dimensione.

Ho scelto allora a tal proposito di raccontare le lettrici e le letture d’età moderna, vale a dire degli anni che vanno dalla fine del Quattrocento alle soglie del Settecento, poiché in questi secoli molte trasformazioni e novità avvengono nella vita del libro e della lettrice sconvolgendone per sempre il destino. L’Illuminismo e i fermenti del secolo sono stati tralasciati a malincuore ma è stata una scelta ponderata poiché mi sembrava che le lettrici di quel secolo fossero in fondo assai più simili a noi sia nelle letture che negli atteggiamenti più sciolti e liberi.

 

Va da sé che il punto di partenza imprescindibile per l’analisi d’ogni libro, lettore e lettura d’età moderna è la trattazione della rivoluzione della stampa a caratteri mobili e della diffusione della lettura che ad essa conseguì. Per quanto tale premessa risulti fondamentale al fine di comprendere il contesto storico, sociale, culturale, oltreché politico, all’interno del quale si muoveva la lettrice moderna, ritengo che qui si possano ricordare solo brevemente le novità più significative del periodo di modo da procedere direttamente a fare la conoscenza della nostra lettrice.

 

La mia ricerca nasce dal fecondo intreccio di storia del libro, della lettura e del lettore. Mi sono presto resa conto difatti che interrogare i libri e le testimonianze che provengono dal passato significa spostarsi gradualmente dal libro in sé, con la sua forma e contenuto, la sua storia, per avvicinarsi alle persone coinvolte, lettori diretti e indiretti con un’identità storica e sociale, culturale e sessuale, cercando poi di ricostruire il magico momento della lettura intesa qui come pratica, utilizzo ed appropriazione più o meno attiva dei testi, momento con luoghi, tempi e prescrizioni peculiari.[1]

 

 

Libri per tutti

 

Mi sono anzitutto domandata se davvero si potesse parlare di “ Libri per tutti “ [2] all’alba del nuovo secolo, evidenziando come il consolidamento della stampa a livello europeo e la diffusione di testi su scala inconcepibile in precedenza avesse determinato un reale aumento dell’alfabetizzazione, complice anche la diffusione di manuali per l’auto apprendimento della lettura e della scrittura, e soprattutto il coinvolgimento più diretto di categorie sino ad allora escluse dal mondo dello scritto, quali donne, plebi incolte e bambini. Formati più agili, prezzi accessibili e moltiplicazione dell’offerta libraria avevano permesso anche i lettori meno esperti di approcciare i testi scritti partecipando in questo modo al mondo della cultura.

 

Si tenga però a mente che “il semplice atto della lettura implica in realtà mille significati. Leggere un testo o più testi, ad alta voce o in silenzio, in pubblico o da soli, speditamente o decifrando a fatica le lettere […] equivale, ogni volta, a ricreare il senso dello scritto in funzione delle proprie competenze ed aspettative”[3] determinando ogni volta appropriazioni assai diverse dei contenuti del testo scritto.

Se da un lato difatti si assiste al consolidamento di una nuova modalità di lettura privata, silenziosa e visuale, per cui il lettore può ora relazionarsi singolarmente al testo costruendone autonomamente il senso attraverso un lavoro di interpretazione, dall’altro si osserva il permanere di antiche pratiche di lettura collettiva ed oralizzata per cui lo scritto costituiva solo il punto di partenza per letture ad alta voce, racconti di saltimbanchi, spettacoli ed esibizioni di improvvisatori, che si riferivano liberamente al testo e lo facevano vivere per mezzo della voce. [4] Grazie a tali mediazioni e mediatori il testo sopravviveva all’oggetto libro raggiungendo anche chi, per analfabetismo e povertà, sembrava escluso dal mondo dello scritto.

 

Si comprende allora che il lettore popolare, così come la lettrice, non erano identificati tanto dalle loro specifiche letture quanto per il modo collettivo e tradizionale con cui s’approcciavano al libro ed al suo contenuto. [5] Esistevano comunque e si diffusero dei generi di larga circolazione che attiravano i lettori meno esperti e colti, popolari appunto, primi fra tutti donne, uomini di umile estrazione e bambini.

Vite di santi, libri di devozione, epopee storiche, romanzi cavallereschi, oltreché manuali pratici di vario genere ed uso, tutti rigorosamente in lingua volgare, costituirono generi editoriali a basso costo assai diffusi ed apprezzati anche in virtù del legame che intrattenevano con le tradizioni orali condivise del passato.[6]

E’ chiaro che tale vivacità culturale, figlia dell’orgogliosa civiltà rinascimentale, era legata anche alla pressoché totale assenza di controlli censori della prima metà del Cinquecento, ragion per cui la situazione mutò radicalmente a partire dalla seconda metà del secolo, nel periodo nero della Controriforma.

La Chiesa di Roma mise allora in atto principalmente due strategie volte al disciplinamento e al controllo culturale e morale della società: una spietata censura libraria insieme al ripristino del latino quale lingua ufficiale della cultura e della religione, così come l’indottrinamento della popolazione, garantirono il controllo non solo delle conoscenze ma anche delle coscienze dei credenti.

Molte vie tuttavia permisero la sopravvivenza dei libri, o perlomeno la circolazione del sapere al di fuori dell’angusto mondo culturale permesso dalle autorità, tanto che nonostante le pressioni psicologiche e fisiche libri, letture e lettori andarono a costituire la base dell’opinione pubblica moderna che, da quel momento, non poté più essere ignorata.

 

L’inizio del XVI secolo aveva visto, grazie alla massima diffusione del libro a stampa e alla crescente alfabetizzazione, una circolazione di idee e teorie, atteggiamenti e modelli che insospettiva le autorità, ecclesiastiche o civili che fossero. Il monopolio della cultura e dell’informazione da parte delle élites intellettuali e politiche aveva difatti garantito fino ad allora il disciplinamento della popolazione ed il mantenimento dello status quo. Il libro e la lettura si dimostrarono presto pericolosi strumenti non solo di comunicazione di idee e messaggi ma anche d’aggregazione, il libro proponeva infatti contenuti nuovi, contestava e rinnovava. Una grande e pericolosissima rivoluzione era in atto: non ci si limitava più a descrivere il mondo attraverso la scrittura ma si poteva anche trasformarlo, come la Riforma Protestante aveva allora dimostrato. [7]

 

 

Lettrici e letture nell’Italia moderna

 

In un secondo momento ho tentato di restituire alla lettrice moderna una sua specifica identità sessuata pur collocandola all’interno della realtà culturale e sociale sovra descritta. Mi premeva rimettere al centro dell’analisi la relazione che vi fu da sempre tra uomini e donne nel loro rapporto con la lettura ed il sapere poiché la storiografia tradizionale tende spesso a consegnarci un “ mondo senza donne”.[8]

 

Anzitutto ho voluto capire in cosa consistesse l’educazione d’una giovane in quei secoli, ovvero comprendere la funzione per essa pensata dalla società degli uomini e le strategie messe in atto a tale scopo. Moglie e madre prima di tutto la donna veniva allora istruita quasi esclusivamente in funzione domestica per cui il sapere impartitole coincideva principalmente col “saper fare” all’interno della casa: cucinare, allevare bambini, curare il marito, l’abitazione, ricamare, pregare.

Nel corso del Cinquecento tuttavia l’alfabetizzazione crebbe anche nell’universo femminile soprattutto per opera delle Chiesa, che mirava a fare delle donne perfette madri e mogli cristiane funzionali al processo di riconquista religiosa e morale della società.

 

La storia dell’istruzione femminile e della lettrice d’età moderna s’articola d’altronde secondo un movimento che definirei di inclusione ed esclusione continua ed interessata da parte degli uomini. Fossero essi intellettuali, ecclesiastici, élite del potere o più semplicemente padri, mariti, figli o vicini è bene tener presente che la lettura femminile fu costantemente sorvegliata e disciplinata in un duplice movimento dall’alto e dal basso.[9] Si tentava in questo modo di ostacolare non solo la liberalizzazione della lettura ma anche le nuove forme di sociabilità ad essa connesse: gruppi di donne che si riunivano per leggere testi devoti, conversazioni di corte, accademie, salotti si costituirono difatti progressivamente proprio in questi secoli. Indagare questi spazi, simbolici o reali che fossero, dotati di una maggiore o minore autonomia, è stato estremamente interessante poiché si trattava anzitutto di ambienti in cui circolavano idee e atteggiamenti, gesti e valori, in cui respirava quindi una certa libertà rispetto allo spirito olistico, gerarchico e sessista della società moderna.[10]

Volevo in questo modo cercare di capire come si sia potuta costituire una cultura femminile all’interno di un sistema di rapporti così non egualitario ed è presto emerso il senso della “pericolosità della lettura femminile” : possibilità di sostituire l’angusto mondo della casa, fatto di obblighi domestici, silenzio e sottomissione con quello sconfinato del pensiero, dell’immaginazione e del sapere.

 

Prima di riflettere sul senso profondo della mia ricerca è importante però fare un passo indietro per comprendere più nello specifico la questione dell’educazione femminile che era già al tempo argomento di discussione orale e scritta, come numerosi trattati del tempo testimoniano.

Già allora difatti molti si erano espressi favorevolmente su questo tema, ritenendo che la lettura d’opere virtuose e devote, ricche di modelli femminili ideali, avrebbe garantito alle donne una formazione positiva, devota, intrisa di morale. La lettura per esse era dunque concepita in funzione strettamente morale e religiosa, non certo come strumento di acculturazione o riflessione personale o, peggio ancora, momento di svago e piacere solitario.

Ho seguito così l’evoluzione del pensiero dei trattatisti a partire dai più aperti umanisti, che lodavano le donne colte all’interno delle corti Rinascimentali (nonostante non le ritenessero modello femminile valido in generale), passando per i riformatori cattolici, che fecero delle devote cristiane uno degli strumenti più importanti di lotta contro l’avversario protestante, giungendo fino alle discussioni dei salotti letterari di fine Seicento, luoghi in cui le donne godevano di ampi riconoscimenti intellettuali e sociali ma le cui reali libertà coincidevano con le mura del salotto. Per comprendere poi specificamente cosa fosse loro insegnato ho analizzato i luoghi concreti dell’educazione: la casa, il convento, la pensione laica e la scuola primaria e, pur nelle varie differenze, ne è emerso sempre un quadro desolante di sapere incompiuto. L’educazione e la conoscenza erano difatti concepite come completamenti della personalità femminile, strumenti per renderla più gradita e adatta alla società degli uomini, non certo come mezzi di realizzazione personale, di riflessione, di pensiero.

Vi erano difatti tre poli costanti attorno cui ruotava l’educazione femminile in epoca moderna: insegnamenti religiosi intrisi di morale, rudimenti del leggere scrivere e far di conto, ago e filo per ricamare.

Il canone dei testi considerati adatti alle donne si era poi ulteriormente ristretto nel periodo delle lotte religiose, se fino ad allora esse avevano partecipato ampiamente a quella tradizione orale e condivisa di approccio al testo che abbiamo definito popolare, a partire dalla frattura tridentina tutti i testi che costituivano tale tradizione, e che esse amavano particolarmente poiché le raccontavano o perlomeno le presupponevano quali novelle, romanzi, racconti e testi di pietà personale furono proibiti o purgati.

Il libro difatti non si limitava a diffondere il sapere attraverso lo spazio e il tempo ma poteva altresì influenzare il pensiero e peggio ancora il comportamento della lettrice/ascoltatrice tanto in senso virtuoso quanto immorale. Specchio e nutrimento dell’anima il testo scritto guidava i lettori nella conoscenza di se stessi contribuendo profondamente alla costruzione dell’identità, arma dunque a doppio taglio che poteva preparare alla vita virtuosa e devota quanto liberare la donna dalle tenebre dell’ignoranza permettendole di formarsi una propria visione del mondo e del posto che in esso doveva e voleva occupare.[11] La possibilità stessa di leggere e scrivere autonomamente costituì tuttavia la premessa fondamentale per l’emancipazione intellettuale delle donne, così come di quella sociale, e proprio per questo ne va sottolineata la rilevanza.

 

Analizzando infine le specifiche letture femminili, prima e dopo la Controriforma, ho notato come il progressivo allentamento della pressione delle autorità nel corso del Seicento aveva permesso la rinascita di quegli stessi generi d’intrattenimento che erano stati proibiti e purgati, permettendo maggiori libertà di atteggiamento e lettura persino alle donne.

Giunta a questo punto ho interrogato i corpi delle lettrici, convinta che la lettura non sia incorporeo atto intellettuale di comprensione d’uno scritto ma una pratica concreta che coinvolge l’intera fisicità nello sforzo, nella concentrazione, nel godimento.

 

Una galleria di lettrici

 

“La letteratura fa del suo meglio per dimostrare che ciò che più le interessa è l’anima: che il corpo è solo una piatta lastra di vetro dietro cui appare chiara e netta l’anima e che, salvo un paio di passioni, come la gola e il desiderio, il corpo è inutile, trascurabile, non esiste. Invece è vero esattamente il contrario” .[12] Ciò che resta spesso nell’ombra della storia della lettrice e della lettura più in generale è l’importanza del corpo: la postura della nostra lettrice, la sua fatica o l’abbandono, il linguaggio del volto, delle mani, degli occhi, verranno qui intesi quali segni visibili d’un linguaggio invisibile e segreto dato dall’intimità della lettrice col suo libro, un meraviglioso corpo a corpo che coinvolge sensi e spirito che ho tentato di svelare. [13]

Quanto detto vale in particolar modo per le donne poiché esse tendono a lasciarsi andare maggiormente al loro lato pulsionale e inconscio coinvolgendosi maggiormente nella lettura, forse per ingenuità, come piace credere agli uomini, o forse perché hanno una maggior propensione a credere ed accogliere il mondo, ad ascoltare, secondo una disposizione dell’essere che coinvolge, utilizza e si riflette nel corpo.[14] Francoise Dolto parla a questo proposito dell’esistenza di due corpi per ciascun individuo: il corpo materiale, visibile e riconoscibile dagli altri ed il corpo inconscio, che reca le tracce dei legami affettivi del passato e del presente con gli altri, per la maggior parte inconsapevoli, e delle parole fondamentali che si sono iscritte in noi. [15] Anche se l’idea è che tale lato inconscio si manifesti ed insista soprattutto nei momenti che viviamo con gli altri, vale a dire in presenza, ciò non toglie che quella parte più pulsionale ed inconscia esista sempre in noi, condizionando anche il nostro modo di leggere e interpretare le parole. Talvolta lasciamo che esse ci penetrino diventando, se vere, seme che fruttifica e ci trasforma, talvolta le respingiamo o le lasciamo andare senza averle ascoltate veramente.

 

Da una tale curiosità e dal mio amore per la storia dell’arte è nata così la terza parte della ricerca in cui ho considerato alcune opere d’arte raffiguranti donne in lettura, realizzate tra il Cinquecento e il Settecento, ponendole dunque a fonte della storia del libro, della lettura e della lettrice, proprio come lo sono state le testimonianze e gli scritti del tempo utilizzati dalla storiografia tradizionale. Lontana dal credere che esse forniscano dati oggettivi circa libri, pratiche di lettura e ambienti del tempo le ho considerate invece per le tracce che recano delle idee circolanti sulla lettrice e sulla lettura: in esse si manifesta il punto di vista dell’artista e del committente, la volontà di rappresentarsi in un certo modo del soggetto, con un certo libro o una determinata posa, riflette l’atmosfera culturale e sociale circostante recando precisi messaggi che è interessante analizzare. [16]

Il libro è qui sempre simbolo di qualche cosa: cultura, sacro, pietà, devozione, privilegio, lusso, virtù o oggetto proibito, il libro in mano femminile ha sempre qualcosa del frutto proibito che vale la pena raccontare.[17]

 

È nata così una sorta di galleria di lettrici che ho selezionato in virtù dell’esemplarità dei dipinti e solo in secondo luogo secondo il mio gusto personale. Dalla Vergine Annunciata interrotta in lettura alle assai simili lettrici devote sino alle orgogliose intellettuali Rinascimentali, e così padri umanisti che istruiscono le figlie, cortigiane letterate, Maddalena la lettrice e fanciulle che insegnano a donne più anziane. L’arte riflette inoltre le questioni religiose e spesso ne viene strumentalizzata, è stato pertanto interessante confrontare lettrici protestanti e cattoliche, così come lettrici silenziose e private sono state poste accanto a quelle raccolte in gruppo nei primi salotti della fine del XVIII secolo.

Mi premeva cercare di dare parola a quel rapporto intimo, privato, e come tale pericoloso, che s’instaura tra lettrice e libro, è infatti la storia di un’affinità segreta quella che ho tentato di raccontare. C’è da dire poi che le rappresentazioni delle donne in lettura sono veramente affascinanti e coinvolgenti ed è soprattutto a partire da queste immagini infatti che mi sono decisa per l’argomento della ricerca. In esse c’era un po’ di tutto quello che m’aveva interessato: letteratura, arte, storia, filosofia, rese attraverso i colori, le forme, la luce e soprattutto incarnate nei corpi, nei visi, negli sguardi di donne che in qualche modo mi ricordavano me stessa spingendomi a farle parlare.

Tutto questo mi ha portato ad affermare provocatoriamente che “ le donne che leggono sono pericolose” certo, lo sono poiché leggendo pensano, immaginano, sognano, credono, e così facendo si trasformano, è come se da dentro l’identità pian piano sfumasse, l’identità fatta di ruoli e funzioni precise, di relazioni determinate e modi d’essere codificati, le donne che leggono sono pericolose perché una volta presa coscienza dei propri sogni si può lottare per trasformarli in realtà, le donne che leggono sono però prima di tutto meravigliose e proprio per questo vanno raccontate.

 

Non sorprende allora che l’immagine di lettura femminile più frequente (e quindi autorizzata) d’epoca moderna sia quella dell’Annunciazione della Vergine interrotta in lettura. Episodio popolare del Vangelo particolarmente amato dalle donne dell’epoca, che guardavano a Maria quale esempio assoluto di pietà e devozione, divenne presto modello di rappresentazione della lettrice e della lettura femminile più in generale testimoniando l’importante processo di alfabetizzazione e circolazione dei testi tra laici e donne cui ho fatto riferimento in precedenza. Tralasciando mio malgrado descrizioni e approfondimenti è importante sottolineare che l’apparire del libro tra le mani della Vergine, così come delle devote lettrici, significò in un certo senso approvare ed autorizzare le nuove pratiche di lettura femminile permettendo ad ogni spettatrice di rispecchiarsi ed identificarsi con la realtà raffigurata, pur entro rigidi limiti. V’è da dire difatti che le donne raffigurate erano sempre identificabili come aristocratiche o religiose impegnate in letture chiaramente devote (libri di preghiere e leggende di santi), e così gli atteggiamenti in cui furono colte ne raccontano la modestia, la riservatezza e l’obbedienza[18] oltreché l’annullamento d’ogni desiderio di fronte al volere divino.

 

Differenti valori e atmosfere emergono invece dagli orgogliosi ritratti delle intellettuali rinascimentali: il grande fermento culturale che unì gli uomini e le donne dei circoli umanistici e delle corti rinascimentali si traspose nello sguardo e nell’atteggiamento fiero di studiose, letterate ed artiste, che proponevano così un nuovo modello culturale femminile. E così i loro corpi sciolti in lettura, i libri mostrati che potevano al contempo isolarle nello studio o porle in relazione agli altri testimoniano il fermento culturale dell’epoca e le sue floride relazioni intellettuali. Si trattava comunque di personalità femminili che furono ammirate e rispettate quali eccezioni il cui fascino derivava proprio dalla loro diversità, dalla loro alterità totale sia rispetto agli uomini che alle altre donne il cui modello di vita perciò non doveva esser diffuso né imitato.

Spesso legate anche al modello della “cortigiana honesta” colta e letterata, pericoloso e stuzzicante intreccio tra piacere e cultura, tale figure turbavano profondamente l’immaginario maschile di cui erano riflesso. In molte di queste rappresentazioni difatti il corpo femminile e così il libro vengono esposti sensualmente allo sguardo dell’uomo rivelandosi spesso specchio del suo desiderio, svincolandosi così di frequente dalla realtà del soggetto femminile.

 

Certamente rilevante è invece l’opera della metà del Cinquecento della pittrice Sofonisba Anguissola (c.1535-1625), la quale rese magnificamente conto in una sola occhiata dei molti passi che la storia dell’alfabetizzazione e dell’istruzione femminile aveva compiuto in quegli anni.[19] Prima di procedere è bene però soffermarsi sull’importanza che questa straordinaria pittrice ebbe nel Rinascimento quale prima artista donna riconosciuta, apprezzata e richiesta a livello europeo. Resta traccia di ciò nel celebre Autoritratto [20]del 1554, conservato oggi a Vienna, in cui la stessa si raffigura con un piccolo libro aperto nella mano recante il messaggio: “Sofonisba Anguissola virgo se ipsam fecit 1554”.

Sofonisba dunque non si presenta come aristocratica ma quale artista educata secondo i principi umanistici e così il suo sguardo intenso che fissa, convoca lo spettatore, sembra invitare le altre donne ad aderire ad un percorso culturale e morale sfidando quanti non credevano o volevano questo accadesse. La sua carriera e l’ampio riconoscimento di cui godette aprirono la strada alle donne che si dedicarono alla pittura rendendo la professione dell’artista socialmente accettabile anche per esse.[21] Tornado alla scena di lettura da lei dipinta, Vecchia che studia l’alfabeto ed è derisa da una bambina, [22] vi osserviamo una vecchia donna che studia l’alfabeto ammaestrata da una bambina assai divertita. Il riso spontaneo della fanciulla, che si ritrova nel ruolo invertito d’insegnante rispetto all’adulta, documenta la familiarità e la naturalezza acquisite nella lettura dalle giovani generazioni e la distanza rispetto all’anziana donna, data dalla cultura più che dal censo, dal voler e dal poter leggere.

 

Non è difficile intuire che dietro alla diffusione dell’istruzione popolare, soprattutto tra i bambini, vi era l’interesse controriformistico a disciplinare e render devoti i piccoli grazie alla, seppur scarsa, conoscenza della lettura associata al far di conto e all’operosità domestica o lavorativa. Edificare i bambini per mezzo delle scuole di dottrina significava controllare progressivamente l’intera società poiché non solo essi stessi sarebbero stati gli uomini e le donne del futuro, ma avrebbero portato a casa e condiviso con le persone vicine quanto appreso per mezzo di una diversa scolarità, che investiva in questo modo genitori e parenti poco o per nulla alfabetizzati.

Di conseguenza anche nell’arte in questi anni aumentarono notevolmente le scene di lettura di fanciulle e fanciulli, a dimostrazione di una più diffusa alfabetizzazione ed istruzione che, anche se indirizzata come detto a fini edificanti e all’avviamento al lavoro, coinvolse positivamente donne e popolo fino ad allora ampiamente esclusi.

E così l’opera di Domenico Fetti del 1620 circa, Fanciulla che legge, [23]ci mostra una straordinaria lettrice d’umile estrazione, come si nota dall’abito dismesso reso dettagliatamente, colta di profilo con grazia indescrivibile. Lo stile è naturalistico e si serve d’una luce calda e avvolgente che le conferisce un che di grande e dignitoso, quasi la lettura avesse il potere di renderla leggiadra e serena trasportandola in altri mondi dove la vera nobiltà è quella dell’anima che nulla ha a che fare con la ricchezza esteriore.[24]

 

Procedendo attraverso i corridoi della nostra galleria virtuale noteremo che una delle figure di lettrici più interessanti della storia dell’arte moderna, anche in virtù dell’evoluzione che la sua rappresentazione subì dalla svolta tridentina, è certamente quella di Maria Maddalena. Celebre prostituta peccatrice e penitente la Maddalena divenne soggetto popolare artisticamente felicissimo già a partire dal XIII secolo. Ci vollero due secoli però perché la santa fosse raffigurata in lettura e di lì divenne simbolo riconosciuto non solo del superamento della vita terrena mediante la virtuosa contemplazione, ma anche del pentimento, assurgendo a vera e propria eroina della Controriforma. [25]

La sua rappresentazione subì inoltre, come accennato, importanti trasformazioni in epoca moderna: da elegantemente vestita e composta, simile alle dame d’ambiente laico e signorile, la stessa passò a pose meditative in cui s’accompagnava a grossi volumi, al crocefisso e al teschio, simboli dell’abbandono della vanità e dei piaceri mondani per la contemplazione divina, sino alle più tarde posture abbandonate di straordinaria potenza corporea, segni d’una nuova santità dai vibranti tormenti esteriori, oltreché interiori, che spesso culminava nell’estasi.

Nonostante i severi dettami imposti dopo il Concilio di Trento difatti, che raccomandavano agli artisti immagini pudiche, devote e naturalistiche (al fine di favorire l’imitazione del modello), per la Maddalena fu consentito un linguaggio decisamente più libero e sensuale, forse per testimoniare come i piaceri del corpo e l’attaccamento alle cose terrene fossero poi stati superati dalla santa in una prospettiva di annullamento totale nel divino, o forse perché si alludeva in tal modo al piacere dell’abbraccio in Dio in opposizione alla soddisfazione dei desideri carnali. Tralasciando qui le varie interpretazioni non si può negare che tali immagini, in cui è spesso presente il suo corpo svestito, seducente, esposto, non riuscissero e non riescano ancor oggi a comunicare pienamente il senso del disciplinamento e della mortificazione del corpo femminile rinviando invece al suo opposto, a Venere, dea dell’amore, della bellezza e della fertilità, e così acutamente la commentava Pietro Aretino: “ Parve Citerea che uscisse dal suo cielo”.[26] L’immagine della santa recava così il ricordo delle stesse cortigiane letterate cui abbiamo accennato in precedenza mentre il libro si sposava con l’audacia del suo corpo, quasi che l’estasi alludesse all’abbandono in lettura e al piacere che ne derivava. Ecco allora che con essa si diffondeva quell’idea ambigua e conturbante di lettrice, in un rapporto irrisolto tra libro e corpo esposto.[27]

Malgrado la ricchezza d’esempi ho scelto qui l’opera della fine del Cinquecento di Cristofano Allori, Maddalena Leggente, [28]poiché mi sembrava rendesse stupendamente il senso del godimento della lettura, al contempo spirituale e fisico. Il corpo languido e flessuoso della santa leggente è steso comodamente, abbandonato, mentre una veste morbida e scura ne cinge morbidamente le rosee carni esaltandole per contrasto. Lo sguardo attento segue le righe del volume che tiene dolcemente mentre il capo è sorretto dall’altra mano. Tutto partecipa al piacere tanto che a osservarla troppo si teme quasi d’interromperla, rovinando l’intensità di questo magico momento. Un’immagine dunque ben diversa di santità rispetto alle rigide e ieratiche Annunciazioni della Vergine: qui prevale infatti l’armonia di corpo e spirito, carne ed anima non lottano ma si fondono e godono insieme del e nel magico momento della lettura.

 

Ad eccezione di queste potenti e sensuali rappresentazioni della santa la funzione stessa dell’arte fu ridefinita rigidamente in accordo con lo spirito controriformistico per cui ogni espressione artistica fu posta a servizio della riconquista religiosa e morale della società, purificandosi dal culto della bella forma fine a sé stessa, dal mero gioco estetico, per veicolare precisi messaggi morali ed insegnare verità religiose. Il rapporto col libro e la lettura divenne allora ancor più controverso e contrastato, soprattutto per le donne. È noto infatti che il canone di letture loro concesse subì una forte restrizione in questo periodo, anche in virtù del ripristino del latino quale lingua ufficiale della cultura e della religione, che esse, salvo qualche eccezione, non comprendevano. D’altro canto la diffusione della capacità di leggere tra le fanciulle, promossa dalla Chiesa al fine di farne strumenti di rinnovamento spirituale, aveva comunque aperto importanti spazi intimi di lettura femminile e approccio al testo scritto che le autorità guardavano con sospetto. Non fu lo stesso nei paesi protestanti dove invece, secondo l’insegnamento di Lutero, ogni fedele doveva essere in grado di decifrare personalmente le Sacre Scritture al fine di comprendere la parola divina. Tali vicende si riflessero conseguentemente anche nelle tendenze artistiche, significativamente differenziate tra paesi cattolici e protestanti.

 

Vi era dunque una realtà diversa da quella italiana, posta al di là dei confini marcati dalla Controriforma e dalla Congregazione dell’Indice e dalla relativa proibizione della Bibbia in volgare, come ci racconta magnificamente Rembrandt nel dipinto del 1631, Anziana donna che legge, [29] dove la vecchia madre, o forse un’anziana modella, legge con l’attenzione tipica di chi non ha molta dimestichezza con l’alfabeto un poderoso volume d’argomento sacro. L’artista ne ha avvolto completamente il corpo in abbondante stoffa colorata le cui tonalità vengono riscaldate dalla luce che colpisce dall’angolo in alto a sinistra infrangendosi sulle grandi pagine del libro, che sembra così risplendere di luce propria. La mano rugosa della donna giace distesa sulla pagina aperta, gesto tipico delle persone anziane che tengono così il segno durante la faticosa lettura, la sensazione che deriva da tale semplice gesto è tuttavia di grande serenità. S’intuisce difatti l’intensità del rapporto tra la lettrice e le parole della Bibbia, essa sembra volerne assorbire in profondità il senso, incorporandole dunque non solo col corpo ma anche col cuore. L’autorità del libro, identificabile come l’Antico Testamento, e l’intima concentrazione della vecchia si corrispondono meravigliosamente in una scena di insuperabile dignità.[30]

L’importanza di tale opera risiede anche nel testimoniare la pratica della lettura domestica dei testi sacri nei paesi protestanti, oltreché il ruolo svolto dalle donne nell’istruzione familiare. Vi sono inoltre altre rilevanti tendenze che caratterizzarono i paesi riformati di cui la pittura olandese reca tracce interessanti. In nessun altro paese d’Europa difatti così tanti sapevano leggere e scrivere come nei Paesi Bassi e in nessun altro luogo si stampavano tanti libri. Ciò significa che assieme alla crescente diffusione della lettura i libri persero progressivamente la loro autorità incondizionata, non annunciavano più quindi una verità indiscutibile ma diventavano sempre più strumenti a servizio della percezione e dell’interpretazione soggettiva, da parte tanto dei lettori quanto delle lettrici. Non si ricorreva più agli stessi libri ereditati di generazione in generazione ma esisteva e si diffuse un nuovo materiale di lettura, non necessariamente religioso, che forniva le prime conoscenze empiriche, idee, critiche, desideri.

Anche se tale processo sarà portato a compimento soprattutto con l’Illuminismo si può certamente affermare che nei Paesi Bassi le donne godettero prima e meglio d’una lettura intima e silenziosa grazie ad una diffusa alfabetizzazione ed alla molteplicità di testi disponibili (non s’incontravano infatti le rigide forme di censura dell’Europa cattolica).

 

Il quadro di Pieter Janssens Elinga, Donna che legge[31], datato attorno al 1670, esprime magnificamente quanto detto pocanzi. La servetta immersa nella lettura di un romanzo cavalleresco, vero e proprio best-seller dell’epoca, è presentata seduta di spalle all’interno della casa in cui presta servizio. Si noti che la rappresentazione di spalle del soggetto allude solitamente all’abbandono del mondo proprio come la servetta, stregata e rapita dalla lettura, ha abbandonato le faccende domestiche. Il fatto stesso inoltre che il soggetto non sia identificabile, il volto infatti sfugge totalmente, fa si che essa possa rappresentare idealmente l’universale femminile raccontandoci qualche cosa del nostro esser donne che va ben oltre lo spazio ed il tempo.

Tornando alla scena dipinta osserviamo che il pittore giudica comportamento della domestica leggero e sconveniente come indicano alcuni particolari: la fruttiera, appoggiata sulla sedia imbottita, sembra essere a rischio di cadere mentre le pantofole, che forse appartengono alla padrona di casa, stanno disordinatamente in mezzo alla stanza. L’impressione è che la ragazza approfitti dell’assenza della padrona per indulgere in appassionate letture ma, ad un livello più sottile di significato, si può cogliere un’ulteriore critica alla padrona stessa, identificata quale proprietaria del libro immorale, dal punto di vista del pittore di rigida educazione calvinista.[32]

 

I romanzi difatti appartenevano a quel genere di letteratura profana d’intrattenimento la cui diffusione nell’mondo femminile veniva costantemente ostacolata. Tali letture erano giudicate pericolosissime non tanto perché alternative rispetto alla letteratura devota quanto perché potevano indurre a comportamenti lascivi o moralmente scorretti, ispirare pratiche magiche o amori clandestini poiché stimolavano potentemente l’immaginazione delle lettrici che s’immedesimavano così con le protagoniste e le vicende raccontate. Elinga stesso ci trasmette qui efficacemente il timore che tali letture destavano in quanto privatamente femminili: ci troviamo infatti di fronte ad un pericoloso momento di isolamento dal mondo, la silenziosa intimità che lega lettrice e libro spaventa non tanto per la negligenza delle faccende domestiche, che risulta comunque negativa, quanto perché esclude tutto e tutti, perché sfuma l’identità, il ruolo, la funzione nel mondo della lettrice che può liberarsi delle costrizioni sociali trasformandosi in soggetto in divenire che comprende la realtà e vi si significa in modo autonomo. Non possiamo sapere se la servetta alla fine abbia ripreso le sue faccende come se nulla fosse o se le parole l’abbiano toccata al punto da desiderare per sé qualcosa di diverso o perlomeno da provare a immaginarlo, ma in fondo il libro è il simbolo stesso di questa possibilità.

 

Tornando ai paesi cattolici, dove i ritratti scarseggiano in questi anni, notiamo che il libro, a meno che non sia religioso ed approvato, smette d’essere esibito orgogliosamente quale simbolo del proprio mondo culturale ed è mostrato invece con timore o addirittura celato. Spesso lo ritroviamo nei grandi formati medioevali, allusione ad un sapere ormai superato che risulta però l’unico consentito, o vediamo i protagonisti esibire libri di musica di modo da non destare sospetti né rivelare i propri reali interessi. La pressione psicologica e fisica esercitata dalle autorità si riflesse difatti chiaramente in campo artistico dove i libri, censurati, bloccati e bruciati, ed i corpi, puniti e torturati, non poterono più essere rappresentati realisticamente riducendosi ad icone distorte d’una realtà che non si poteva raccontare.

C’è però un’opera che raffigura madre e figlia d’ambiente aristocratico bolognese che mi sembra assai interessante poiché, malgrado essa sia chiaramente conformata al modello educativo tridentino funzionale alla formazione di buone cristiane, l’impressione che se ne ricava è quasi di sottile critica ad un ambiente in cui dogmi, regole e proibizioni avevano finito col prosciugare la vita vera. Così l’originalità del soggetto, la sua individualità, sembrano soffocare all’interno della società proprio come gli abiti ingombranti ed austeri soffocano le protagoniste del dipinto.

La vedova e sua figlia [33]è un’opera di Lavinia Fontana della fine del Cinquecento, affermata pittrice nota, oltreché per la qualità delle sue opere, anche per essere stata la prima donna a guadagnarsi da vivere con esse. La composizione è assai equilibrata e naturalistica ed esprime austerità e rigore in tutti i suoi elementi. Il fulcro del dipinto è costituito dal piccolo libro di preghiere rosso vivo che si staglia nettamente sulle vesti scure di madre e figlia. Le perle luminose ed i ricchi colli bianchi degli abiti sono le uniche note di colore all’interno di un’atmosfera profondamente cupa e severa. L’immagine restituisce così l’ideale aristocratico di maternità secondo cui la donna aveva il duplice ruolo di madre e tutrice della figlia[34] e così il legame tra esse è espresso dal braccio materno che protegge la piccola oltreché dal piccolo libro devoto condiviso, allusione forse ad una più profonda comunione spirituale. Malgrado ciò la rigidità delle posture, dei volti, degli abiti, s’impone e predomina sull’intimità di madre e figlia rendendo al massimo il senso d’un ambiente uniformato e soffocante, come quello dell’Italia post-tridentina.

 

Il Seicento fu poi un importante secolo di transizione che vide l’allentamento progressivo della stretta controriformistica e la relativa liberalizzazione degli atteggiamenti e delle letture anche per le donne, come abbiamo osservato nei quadri nordici in precedenza furono mutamenti fondamentali che gettarono le basi per la rivoluzione intellettuale e sociale dell’Illuminismo Settecentesco. I rinnovamenti filosofici, culturali, scientifici, sociali e politici del secolo dei Lumi non sarebbero infatti stati possibili senza le significative trasformazioni seicentesche che meritano pertanto la nostra attenzione. Abbiamo discusso la diffusione d’istituzioni scolastiche e la crescente alfabetizzazione, la rinascita di quei generi letterari che erano stati fortemente repressi, come novelle, romanzi cavallereschi, solo per citarne alcuni, e la comparsa di nuove mode letterarie, prima fra tutte quella del salotto. Se l’educazione continuava per le donne a basarsi essenzialmente su precetti morali e verità religiose si era diffusa comunque l’idea che una maggiore istruzione femminile fosse funzionale al buon andamento della casa, della famiglia e della società in generale.[35] Attraverso i nostri dipinti sarà ora possibile visualizzare le più significative novità del secolo che sappiamo influirono sulla vita di molte donne migliorandola : la diffusione d’una lettura più intima e privata, malgrado tutte le restrizioni e le prescrizioni circa i testi idonei al gentil sesso, e la nascita dei salotti letterari gestiti da donne influenti.

Non intendo tuttavia trattare la lettura erotica o quella anarchica di romanzi che s’afferma nel Settecento, né racconterò le trasformazioni sociali del secolo nel rapporto tra classi e sessi, così non ci saranno gazzette, giornali, riviste e almanacchi, che rivoluzionarono la storia dell’informazione e della lettura, ma soltanto quei fenomeni che furono anzitutto seicenteschi poiché questi sono i limiti cronologici entro cui si svolge la mia ricerca. Si tenga poi presente che il Settecento è il secolo in cui il corpo si libera dalla mortificazione e dalla repressione di quelle tradizioni idealistiche che l’avevano condannato a carcere dello spirito, involucro materiale e indegno dell’anima. La fisicità allora viene esposta, vissuta, raccontata e celebrata. Nell’arte trionfa il culto della bellezza, della forma, fiorisce il neoclassicismo ma si consolida anche una sorta di violenza dello sguardo maschile sul corpo femminile che è reso così in termini decisamente erotici e sensuali di modo da compiacerlo. In questo senso, poiché esplorare un tema quale la pericolosità della lettura femminile significa anzitutto dimostrarne l’importanza e la necessità, sostenendo il diritto universale di istruirsi, leggere, scrivere, pensare, mi sembrava che tali “dipinti fallocentrici” poco si addicessero a tal proposito, senza per questo negarne l’importanza e la qualità estetica. Procediamo invece nell’analisi di due opere d’area francese che esprimono e sintetizzano al massimo i passi fatti dalle lettrici durante il XVII secolo.

 

Rèunion de dames [36]è opera seicentesca dell’incisore Abraham Bosse, uno dei maggiori esponenti dell’arte barocca francese, che ci racconta le origini della moda del salotto in maniera squisita e stilizzata. Le dame sono sedute attorno ad un lungo tavolo rettangolare perfettamente al centro della composizione, che risulta così simmetricamente partita. Il senso della profondità è reso massimamente grazie anche alle finestra aperta al fondo della sala che ci lascia intravedere un curatissimo giardino. Esse si dispongono ordinatamente attorno alla tavola conducendo diverse attività: alcune cuciono, altre maneggiano libri, altre probabilmente stanno gustando del cibo, alcune domestiche recano infatti delle pietanze, e tutte quante sembrano più o meno coinvolte nella conversazione, come gesti e movimenti lasciano intuire. Le pose risultano abbastanza naturali nonostante gli abiti pomposi e riccamente drappeggiati mentre i volti perdono di individualità ed espressione a causa della distanza dell’osservatore. L’artista era difatti più interessato al gioco delle linee, delle forme, dei particolari, piuttosto che alla resa naturalistica dei soggetti e dell’ambiente secondo alle tendenze artistiche dell’epoca. Si tratta comunque d’una riunione di dame e si può indovinare che quella di spalle, al centro della composizione, sia la padrona di casa ed ispiratrice, la salonniér appunto, il cui compito era originariamente intrattenere le dame raffinandone il gusto ed accrescerne le conoscenze per mezzo della conversazione piacevole. Non si tratta dunque di un vero e proprio salotto letterario con uomini e donne che leggono, discutono, pensano assieme, ma piuttosto di una delle prime manifestazioni di socialità elusivamente femminile con scopi educativi, che risulta pertanto assai interessante. Qui l’unica autorità è quella della padrona di casa, o comunque delle altre donne presenti e si crea così una sorta di spazio simbolico condiviso femminile, un mondo autonomo, che sarà alla base dei più illuminati circoli del secolo.

 

Ben diversa è la realtà raccontataci dal pittore Jean-Baptiste-Siméon Chardin cui furono commissionate, verso metà del XVIII secolo, due opere sul tema dell’educazione severa e di quella dolce ed insinuante. L’artista decise di realizzare due soggetti diversi: nell’Econome una donna redige il registro delle spese dopo aver fatto i quotidiani acquisti per la casa, l’altra è invece sorpresa in lettura, tanto che il libro è ancora aperto sulle ginocchia ed entrambe si trovano in un interno domestico. Il secondo dipinto, Les Amusements de la vie privée, [37]è particolarmente interessante poiché tematizza il tempo dello svago personale attraverso lettura privata, della distrazione intima, soggetto assai meno rigido e moralizzante rispetto alla scrittura dei conti e l’amministrazione familiare. Il titolo stesso è estremamente interessante in quanto amusements indica i piaceri, i divertimenti e persino l’ozio della vita privata, vale a dire tutto ciò che si oppone alla noia, alla monotonia e all’aridità delle quotidiane faccende domestiche.[38]

Va da sé che a metà Settecento l’equivalenza tra lettura e privato era ormai stata stabilita.[39] La protagonista è adagiata in una soffice poltrona rossa dai braccioli avvolgenti, veste secondo la moda del tempo e regge il libro, di cui mantiene il segno, con estrema ed inusitata nonchalance. Sullo sfondo notiamo un tavolino con appoggiato il fuso da lavoro ed un cassettone con un’anta semiaperta che ci lascia intuire altri libri. Gli oggetti della vita domestica, monito dei doveri di moglie, madre e angelo del focolare, sono significativamente in secondo piano rispetto alla figura colorata e luminosa della lettrice, quasi a dire che la lettura fosse ormai parte della realtà quotidiana femminile, che non doveva tuttavia implicare la negligenza dei lavori domestici. Colpisce inoltre che la lettrice sembri essersi interrotta per riflettere, per meditare le parole lette, non per riprendere il lavoro o perché disturbata. Essa è rilassata, a suo agio col libro, il suo sguardo non si fissa su nulla suggerendoci un’interiorità riflessiva. Non si creda tuttavia che il soggetto sia passato inosservato: molti commentatori del tempo ne criticarono la postura “negligente” , “ noncurante” oltreché lo sguardo “languido”.[40] Tutti i segni sembravano infatti loro alludere alla più pericolosa ed incontrollabile delle lettrici, vale a dire quella di romanzi, strumenti pericolosissimi che potevano, come abbiamo detto, alimentare sogni conturbanti, attese sentimentali, eccitare i sensi.

 

Ho tuttavia qualche difficoltà a ritrovarmi in tali descrizioni del quadro, Chardin dipinge infatti un corpo che non si illanguidisce, uno sguardo per nulla sconvolto, un interno confortevole ma austero. Altre tele più tarde potrebbero corrispondere a tali commenti, qui regna invece un’atmosfera di serena meditazione, la donna sembra pensare silenziosamente ma non se ne avverte il pericolo, la negatività, forse perché la lettura, il pensiero, l’armonia corporea e spirituale, sono insiti tanto nella natura femminile quanto in quella maschile e si manifestano qui in tutta la loro positività e verità. Chardin ha reso l’intensità e la bellezza dell’incontro della lettrice e del libro in modo così naturale e pacato che oggi non si può fare a meno di apprezzarlo e approvarlo.

 

Siamo giunti al termine del nostro viaggio attraverso la galleria delle lettrici che, malgrado il limitato repertorio e le rapide analisi dei dipinti, ci ha permesso di guardare a tali opere come ad una sorta di finestre aperte sulla storia e sulla vita della donne. La prima volta che mi sono soffermata ad osservare questi dipinti mi è sembrato quasi di aprire silenziosamente delle porte nei vari secoli scoprendovi le donne in lettura e la forza di alcuni dipinti, l’intensità di alcune atmosfere, mi hanno talmente coinvolta da temere quasi di rovinare l’incanto provando a raccontarle, quasi le disturbassi sottraendole all’eternità, è vero invece esattamente il contrario. Dare parola alla loro storia, ai loro corpi, ai loro spiriti, restituire la grandezza, l’importanza e la dignità della lettura femminile è oggi più che mai importante. In un’epoca che lamenta quotidianamente la crisi del libro e la mancanza di lettori c’è da chiedersi perché alle donne, a moltissime donne, esso ancor oggi continui ad essere negato.

 

[1] Xenia von Tippelskirch, tesi presentata al fine del conseguimento del dottorato di ricerca in Storia della civiltà – European University Institute, Florence, Sotto controllo. Letture femminli all’inizio dell’Epoca moderna in Italia, pp.5-10.

[2] Lodovica Braida, Mario Infelise (a cura di) Libri per tutti. Generi editoriali di larga circolazione tra antico regime ed età contemporanea, UTET, Torino 2012, pp. 3-19

[3] Guglielmo Cavallo, Roger Chartier (a cura di) Storia della lettura nel mondo occidentale, Laterza, Roma-Bari 2009, cit. pp. V-XVIII.

[4] Marina Roggero, Le carte piene di sogni. Testi e lettori in età moderna, il Mulino, Bologna 2006, pp.125- 146.

[5] Guglielmo Cavallo, Roger Chartier (a cura di) Storia della lettura nel mondo occidentale, Laterza, Roma-Bari 2009, p.319.

[6] Tiziana Plebani, Voci tra le carte. Libri di canzoni, leggere per cantare, in Libri per tutti, a cura di L.Braida, M.Infelise, cit. pp.23-36.

[7] B.Blasselle, Il Libro. Dal papiro a Gutenberg, cit. pp.73-74.

[8] D.F.Noble, Un mondo senza donne: la cultura maschile della Chiesa e la scienza occidentale, Torino, Bollati Boringhieri, 1994.

[9] Xenia von Tippelskirch, Sotto controllo, cit. pp.171-174.

[10] Maria Pia Donato, Xenia von Tippelskirch “Il tanto legger mi fa doler la testa”. Appunti sulle lettrici alla soglia del pubblico, in Pubblico e pubblici di Antico Regime, Pisa, Pacini Editore, 2010, pp.1-20.

[11] M.E.Wiesner ,Istruzione e cultura, in Le donne nell’Europa moderna. 1500-1750, cit. pp. 163-164.

[12] V.Woolf, Quando si è malati, in Ore in Biblioteca e altri saggi, a cura di P.Splendore, Milano, La Tartaruga, 1991, p.119.

[13] T.Plebani Il genere dei libri, cit. pp. 7-12.

[14] Contaminazioni: il pensiero della differenza in Francia, a cura di A.Pantano, Padova, Il poligrafo, 2008.

[15] C.Zamboni, Pensare in presenza: conversazioni, luoghi, improvvisazioni, Napoli, Liguori, 2009.

[16] T.Plebani Il genere dei libri, cit. pp.57-60.

[17] E.Heidenreich, Piccole mosche, in S.Bollmann, E.Heidenreich, Le donne che leggono sono pericolose, cit. p.18.

[18] M.E.Wiesner , Il pensiero maschile sulla donna e leggi, in Le donne nell’Europa moderna. 1500-1750, cit. pp. 13-16.

[19] T.Plebani, Il genere dei libri, cit. p.136.

[20] Si veda Tav.1, p.13.

[21] C.Inmann, Forbidden Fruit. A History of women and Books in Art, London, Prestel, 2009, cit. p. 59.

[22] Si veda Tav.2, p.13.

[23] Si veda Tav.3, p.14.

[24] S.Bollmann, E.Heidenreich, Le donne che leggono sono pericolose, cit. p.50.

[25] Ivi, cit. p. 45

[26] Cit. P.Aretino, Dell’umanità del Figliuol di Dio in T.Plebani Il genere dei libri, cit. p.140.

[27]Ivi, cit. pp. 138-140.

[28] Si veda Tav.4, p.14.

[29] Si veda Tav.5, p.15.

[30] S.Bollmann, E.Heidenreich, Le donne che leggono sono pericolose, cit. p.52.

[31] Si veda Tav.6, p.15.

[32] S.Bollmann, E.Heidenreich, Le donne che leggono sono pericolose, cit. p.56.

[33] Si veda Tav.7, p.16.

[34] C.Inmann, Forbidden Fruit, cit. p.62.

[35] M.E.Weisner, Istruzione e cultura in Le donne nell’Europa Moderna 1500-1750, cit. pp.186-191.

[36] Si veda Tav.8, p.16.

[37] Si veda Tav.9, p.17.

[38] S.Bollmann, E.Heidenreich, Le donne che leggono sono pericolose, cit. p.23.

[39] R.Chartier, Le pratiche della scrittura in La vita privata, cit. pp.104-105.

[40] M.E.Weisner, Istruzione e cultura in Le donne nell’Europa Moderna 1500-1750, cit. p.106.

 

TAVOLA DELLE IMMAGINI

Sofonisba Anguissola *oil on wood *19,5 x 14,5 cm *signed b.l.: Sophonisba Angussola Virgo seipsam fecit 1554

Tavola 1. Sofonisba Anguissola (c.1535-1625), Autoritratto, 1554, Kunsthisorisches Museum, Vienna.

2Vecchia che studia

Tavola 2. Sofonisba Anguissola (c.1535-1625), Vecchia che studia l’alfabeto ed è derisa da una bambina, c.1555, Uffizi, Firenze.

3Domenico Fetti-329244

Tavola 3. Domenico Fetti (1589-1624), Fanciulla che legge, c.1620, Gallerie dell’Accademia, Venezia.

4Allori_C_Maddalena_leggente

Tavola 4. Cristofano Allori (1577-1621), Maddalena leggente, inizio XVII secolo, Galleria palatina, Firenze.

5Rembrandt_Anziana donna che legge

Tavola 5. Rembrandt van Rijn (1606-1669), Anziana donna che legge, 1631, Rijksmuseum, Amsterdam.

6Pieter Janssens Elinga_Donna che leggejpg

Tavola 6. Pieter Janssens Elinga (1623-1682), Donna che legge, c.1668-1670, Alte Pinakothek, Monaco.

7Lavinia Fontana_La vedova e sua figlia

Tavola 7. Lavinia Fontana (1552-1614), La vedova e sua figlia, c.1592-1595, Pinacoteca Nazionale, Bologna

8Abraham Bosse_Rèunion de dames

Tavola 8. Abraham Bosse (1604-1676), Rèunion de dames, fine XVII secolo

9Jean Baptiste Chardin_Les amusements de la vie privée

Tavola 9. Jean Baptiste Chardin (1669-1779), Les amusements de la vie privée, 1746, Nationalmuseum, Stocolma.