diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 3 - 2004

Visioni

Las ventanas del alma / Le finestre dell’anima

 “Nei suoi quadri rappresenta il mondo delle donne con uno sguardo marcatamente di genere: sogni e realtà, luoghi affollati da affetti e sentimenti, dove lo spazio, in cui si muovono le donne e gli uomini che dipinge, è sempre uno spazio interiore”

                                                                                                 Morena Piccoli del Circolo della Rosa

 

 

Morena con le sue poesie, Odilia con le sue tele, un luogo, La Habana, e un insieme di coincidenze permettono l’incontro che porterà Odilia Mezqía ad esporre a Verona al Circolo della Rosa, e me a poterla conoscere ed intervistarla per questo articolo nel tentativo di avvicinarmi alla fisicità della sua pittura e al calore dei suoi colori.

Non smette mai di stupirmi come l’amicizia e la relazione fra donne costituiscano una fonte inesauribile di forza che libera le energie e genera cambiamento (e sa attraversare persino gli oceani…).

In questo articolo vorrei ripercorrere con voi il cammino di Odilia perché lo trovo molto significativo ed interessante, nonché in continua relazione con il senso delle sue opere.

La sua arte cresce secondo i dettami dell’Accademia(si diploma nel 1988 all’Accademia di Belle Arti “San Alejandro”) e dei “grandi maestri”. Solo nel 2000 grazie all’esperienza canadese la sua pittura inizierà a smettere di essere “neutra” e di occuparsi dei corpi in modo asessuato.

Nel 2000 infatti viene invitata in Canada per gestire un taller(laboratorio) per le donne vittime di violenze all’interno della famiglia.

Odilia stessa definisce questa esperienza come un vero e proprio shock emozionale che la portò ad interessarsi al mondo interiore della donna e a vedere la pittura come un mezzo per far circolare la creatività e le emozioni delle altre.

Ancora una volta è nell’incontro con le altre che può iniziare la coscienza della propria differenza sessuale.

Il laboratorio e il gruppo si trasformano quindi da una classe di pittura a una pratica di liberazione dalla sofferenza, e di ritrovamento pezzetto dopo pezzetto di se stesse e dei propri desideri.

L’arte come terapia di guarigione, come da sempre sottolinea Louise Borgeois.

Il lavoro dell’arte infatti per la Borgeois è quello di dare una forma esterna ad un’interiorità aggrovigliata tra i ricordi ed il presente, spesso in una dimensione fantasmatica, per poi riuscire a modificarla, spezzarla o ricostruirla.

E Odilia aiuta queste donne a dipingere la brutalità e l’insensatezza dei mariti per farne dei quadri da distruggere e bruciare; contemporaneamente le stimola a creare delle tele che possano raffigurare tutto quello che di positivo la violenza non avesse annientato, per poi appenderle in casa e poterle avere di fronte agli occhi ogni giorno.

Terminata questa esperienza Odilia torna a Cuba e qui realizza un progetto dal titolo “Arte e Genere” a cui potessero partecipare non solo le artiste ma anche le donne del barrio(quartiere), quelle che più di ogni altra avevano ed hanno bisogno di uscire dal circolo vizioso della casa, un progetto che si pone sin dal suo inizio come una terapia che Odilia definisce di descarga emocional(sfogo emozionale).

Queste esperienze segnano un cambiamento e una consapevolezza nella pittura di questa artista che si rendono definitivamente palpabili durante la sua seconda gravidanza.

Sua figlia nasce lo stesso giorno del suo compleanno e la pittrice sente di essere rinata con la figlia e così come lei la sua pittura cambia per sempre nata alla consapevolezza della differenza femminile, del fatto che ogni donna è madre perché ogni donna è vita, portatrice e protettrice della vita.

 

Il titolo di questo articolo nasce da un’espressione usata da Odilia per spiegarmi la sua visione artistica.

Ho capito alla fine del nostro incontro quanto la finestra sia veramente la chiave, la lente per poter leggere le sue opere.

Da piccola passava ore davanti alla finestra con la nonna scrutando l’orizzonte e la strada nell’attesa impaziente di veder arrivare la madre che faceva ritorno dal lavoro.

E da quella finestra, da quel punto di osservazione “magico”, poteva assaporare il palpitare della vita che scorreva come un fiume sotto di lei.

Ed è proprio di fronte a quella stessa finestra, così fortemente legata alla presenza-assenza della madre, che Odilia inizia a dipingere le sue prime tele.

Questo avviene per una coincidenza, la finestra infatti era l’unico punto della casa che non si bagnasse quando pioveva, anche se Odilia è la prima a dirmi che non crede nelle coincidenze,non crede che le cose possano accadere per caso, per lei il destino è presente in ogni aspetto della vita, quel destino che sin da bambina le faceva dire che lei da grande avrebbe fatto la pittrice.

E dipingendo da quella finestra comprese come da quella posizione fosse possibile vedere quello che i passanti non potevano vedere e si potessero così dire davvero molte cose.

Lei scrive:“Nel quadro posso mettere in rilievo con la tessitura alcune zone che mi interessano particolarmente sfruttando al massimo i materiali che uso, creo trasparenze, utilizzo la spatola, il manico del pennello, le mie mani e qualsiasi cosa possa creare l’effetto che desidero.”

Odilia continua a dipingere a La Habana dalla finestra della sua anima.