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per amore del mondo numero 16 - 2019

Giù dallo scaffale, tra le mani. In dialogo con Giovanna Borrello: Filosofia in pratica e pratica in filosofia. Una autobiografia filosofica

La tessitura di un’avventura filosofica e politica intrecciata alla vita. Sull’ultimo libro di Giovanna Borrello

Per amore del mondo 16 (2019) ISSN 2384-8944 https://www.diotimafilosofe.it/

 

 

Molte volte ho scorto audacia e intemperanza nel carattere e nello stile di alcune filosofe che hanno fatto del pensiero della differenza lo strumento con cui stare nella filosofia. Metodo che attinge alle risorse preziose dell’ironia e della trasgressione e che, ricorda Marisa Forcina in un suo libro pubblicato nel 1998, rappresenta un “modo differente di vedere il mondo, un modo che non concepisce né realizza un assetto unico e definitivo, ma che rimette in questione il sapere costituito, lo cita, sovvertendone pregi e limiti. Così, in una totale contrapposizione con le convenzioni acquisite, è rilanciata la spontaneità del soggetto”[1]. È da questa rimessa in questione del sapere, dalla sua pretesa universalistica e neutra, e da questo rilancio di sé e della propria spontaneità che Giovanna Borrello, nel suo ultimo libro dal titolo Filosofia in pratica e pratica in filosofia. Un’autobiografia filosofica, edito dalla casa editrice Liguori, riannoda i fili della sua lunga avventura filosofica e politica. Un’avventura segnata sin da subito dall’ironia e dalla capacità di interrogare e interrogarsi sul senso delle cose e sul senso di sé in maniera irriverente e libera. Lo ricorda il suo antico e imperituro maestro Aldo Masullo nella prefazione al libro, quando rievoca l’incontro che ebbe con la sua giovane allieva. Nell’eccitazione ormai incombente del Sessantotto – scrive –, l’esuberante ragazza di allora che seguiva il suo corso universitario, irrompeva nel discorso filosofico ponendo domande spiazzanti, tanto che l’ingenua arroganza del suo interrogare sembrava piombare tra gli ordinati concetti della lezione come il classico elefante in un negozio di cristallerie.  Questa immagine mi ha fatto sorridere non poco, ma ha il suo fondo di verità. La cristalleria è lo spazio austero in cui il filosofo sistema i suoi concetti, distilla contenuti essenziali, lo spirito raggiunge la verità dei fini e dei valori mettendo da parte la soggettività personale a favore della solennità impersonale della ragione. L’elefante, al contrario, è l’irruzione irriverente di una corporeità non prevista in quello spazio rigorosamente delineato.  È metafora di una messa a soqquadro che provoca la rottura dei preziosi arredi dell’officina filosofica. Una gioiosa intemperanza che, nel suo procedere interrogante, riesce a sparigliare le carte sul tavolo da gioco dei concetti. Ciò che Masullo legge come ingenua arroganza legata alla “selvatica freschezza di una mente curiosa”, è di fatto la ricerca di un proprio posto nella filosofia, di una propria misura. Senza mai recidere il legame e l’affetto per lui, Giovanna ha, in parte, abbandonato la cristalleria del filosofo prendendo ciò che poteva essere utile per sé cercando uno spazio congruo al suo pensiero. Lo ha trovato nel pensiero della differenza sessuale, nello spazio aperto che offre.

Nelle prime pagine di presentazione al libro, l’autrice dichiara che quel che l’ha sempre caratterizzata è la relazione tra pensiero e azione, tra contemplazione e pratica politica. La sua vita è stata guidata da una concezione della filosofia intesa come “cosa esclusivamente in atto e in pratica”. Questa felice espressione è tratta da Simone Weil che con questo intendeva un’unità indissolubile, una coerenza inflessibile, tra teoria e pratica filosofica, tra ciò che si pensa e ciò che si è, tra ciò che si dice e ciò che si fa. La filosofia è incarnazione dei propri pensieri nella propria vita, è assunzione di una responsabilità generosa verso se stessi e verso gli altri. La fedeltà di Giovanna a se stessa è in questa testimonianza di unità tra vita e conoscenza. Sa bene che proprio le fedeltà a sé non può essere insegnata, né tramandata, ma vissuta in prima persona. Ecco perché questo libro lo dedica alle nipoti del femminismo, quelle conosciute e quelle sconosciute. Una dedica che ci fa capire come nel riannodare i fili della propria vita filosofica e della propria militanza politica e femminista, attraverso una raccolta di saggi, articoli, documenti e interventi, l’autrice abbia a cuore la restituzione di un percorso che l’ha resa ciò che è. Una restituzione non è la stessa cosa di un indottrinamento. Il cammino che ciascuna e ciascuno di noi percorre per dare forma e senso alla propria vita non è percorribile da altre/i. La filosofia, fin dalle origini, ha perseguito questo cammino e ha sempre indicato nella conoscenza e nel divenire ciò che si è, il fulcro stesso del lavoro filosofico. Nel ripercorrere le fasi della sua riflessione filosofica intrecciata sapientemente alla sua esperienza di vita, a partire dalla sua militanza nel movimento studentesco del ’68, fino ad arrivare a quella nel sindacato e nel partito comunista, Giovanna Borrello rende conto di un cammino di trasformazione e di metamorfosi che le ha consentito di esplorare in maniera creativa le potenzialità del suo pensiero intrecciato alla sua vita.

Il libro è costituito da cinque sezioni, un intermezzo e un’appendice. Nella prima sezione sono raccolti alcuni saggi che affrontano il “fondamento” della differenza sessuale alla luce della libertà femminile. L’incontro con Clara Fiorillo con cui firma il suo primo libro, Il pensiero parallelo (Liguori, Napoli 1986), le relazioni che instaura con la comunità filosofica femminile di Diotima di Verona e con il centro di studi Virginia Woolf di Roma, la immettono nel pensiero della differenza sessuale aprendo una breccia nella città di Napoli. Un pensiero che non va mai inteso come qualcosa di rivendicativo e oppositivo, al contrario affermativo, un di più reso insignificante nelle maglie dei saperi costituiti. Il lavoro della differenza diventa l’affermazione di una misura altra del sapere, della possibilità di un altro ordine che legittima la fuoriuscita dallo schema classico del pensiero dicotomico. L’origine, scrive, non sta né in un bene perduto, né in qualcosa da recuperare, ma nel balzo, nella capacità di rottura delle sequenze temporali e della relazione causa-effetto che sovverte l’ordine dato. L’origine della differenza femminile non è essenzialista, ma incommensurabile e asimmetrica. Proprio dalla consapevolezza di questa incommensurabilità, Giovanna, con Simone De Beauvoir – autrice su cui si sofferma nel secondo saggio di questa sezione –, pensa che la differenza sessuale non sia riducibile né a una mera contraddizione di classe, né a una mera contraddizione biologica. Donne non si nasce, lo si diventa. Con queste parole inaugurali, la De Beauvoir apre nuove possibilità interpretative che fuoriescono dalle determinazioni naturali e storiche e libera la potenza progettuale insita nella differenza femminile. Andando oltre la presunta neutralità maschile che storicamente ha reso inessenziale il femminile, la pensatrice francese mostra la possibilità di una reale esistenza libera del soggetto femminile, sganciata dal metro di misura neutro-maschile e dagli stereotipi che l’hanno costretta in un ruolo. L’emergere di una tale libertà comporta la rifondazione di tutto l’assetto epistemico del sapere. Questo è il tema del terzo saggio che riguarda la sessuazione del soggetto epistemico femminile. Nelle parole di Giovanna il punto è che se l’episteme e l’intero sistema del sapere sono il risultato dell’inter-scambio omosessuale maschile costituito attraverso le varie epoche della storia stabilendo la continuità di una tradizione basata sulla relazione padre-figlio, tutto il sistema scientifico e filosofico va ripensato alla luce della relazionalità femminile. Appoggiandosi alle riflessioni di Evelyn Fox Keller sul piano scientifico e di Luce Irigaray sul piano filosofico, l’autrice critica e smaschera l’egocentrismo di un io onnicomprensivo e il mancato riconoscimento di una realtà/alterità indipendente da esso. Nella tradizione che conosciamo la differenza sessuale è stata sempre vista come una differenza tra natura/corpo, cultura/spirito. La sfera culturale sorge dalla dimensione spirituale e non da quella naturale. Tale dimensione incorporea e astratta dell’essere, come Giovanna nota in questo saggio, coincide con la nascita della filosofia che, come sappiamo, ha operato una sottile e profonda neutralizzazione della significazione sessuale. La dimensione spirituale si è intesa come asessuata. In realtà è stata centrata sulla sfera che inerisce la sessualità maschile. Ecco perché è necessario porre la questione, ancora oggi viva, dell’epistemologia femminile. Ora, la difficoltà sta nel fatto che una nuova fondazione epistemica non può appoggiarsi a generali “contenuti femminili”, deve affrontare la costituzione della soggettività femminile e della sua dimensione spirituale. Questo il punto cruciale: se la sessuazione della scienza fa tutt’uno con un’operazione teologica che fa astrazione del corpo perché separa natura e spirito, la fondazione epistemologica femminile non cancella il corpo, non si disincarna ma riunisce le due parti in un’unica sfera eliminando la dicotomia. Proprio per questo l’immagine femminile di dio è impensabile al sapere della tradizione maschile, al punto che la sua ricerca è definita come un’operazione di natura extra-scientifica, dove l’extra indica la non piena scientificità dell’operazione, dal momento che tutto ciò che fuoriesce all’interno delle sue griglie concettuali non ha diritto di esistenza. Ma le donne, si sa, hanno la vista acuta e non si arrendono agli anatemi e Giovanna ribalta la prospettiva offrendo un altro punto di vista. Nella sua analisi, infatti, la categoria di extra assume un valore insieme decostruttivo e costruttivo. Indica la possibilità di una negatività affermativa. Si confuta il mondo dato per affermare il proprio mondo. Questo è il primo atto di libertà dell’itinerario conoscitivo femminile. Da questa prospettiva, Giovanna riconosce giustamente nel libro di Clarice Lispector, La passione secondo GH, un’attività extra filosofica all’opera, un’attività non interpretabile dai canoni predeterminati della filosofia classica. L’extra indica la frattura e la discontinuità posta dall’emergere di un sapere altro.

La seconda sezione del libro è interamente dedicata agli scritti su Simone Weil e alla mediazione operata dalla sua amica filosofa Angela Putino che la introdusse nella complessità del pensiero weiliano. Seppur in modi diversi, Angela e Giovanna hanno coltivato la loro natura inaddomesticata, profondamente ironica perseguendo un metodo indiziario e sperimentante. Insieme hanno attraversato molte fasi del femminismo italiano e di quello napoletano contribuendo attivamente al profilarsi di un movimento politico femminista. Le tante relazioni tessute nel corso degli anni, non solo a Napoli, testimoniano di questa loro necessità di pensare in relazione politica ad altre, di fare del pensiero una cosa viva in perenne divenire. Il leitmotiv di fondo lo troviamo nel desiderio d’infinito che attraversa la politica delle donne. Tale desiderio riguarda e attraversa tutte gli ambiti della vita, anche quelli considerati più infimi che non accedono alla politica ufficiale. La capacità d’infinito, che riguarda ogni vita umana, è essenziale per il processo di trascendimento e di perfezionamento di sé. Simone Weil è stata ispiratrice di molte riflessioni che fanno parte del pensiero della differenza, convinta che solo nella dimensione simbolica è possibile operare una trasformazione del mondo e dei valori. Uno degli aspetti su cui Giovanna si è soffermata, riguarda la visione del lavoro così come si da’ nella pensatrice francese rispetto a quella di Marx. Il punto massimo di divergenza che riassumo brevemente, riguarda il fatto che Simone Weil si libera totalmente dallo schema dialettico marxista per rivolgersi a uno schema circolare che accoglie in sé la contraddizione, l’unione dei contrari, non la cancellazione di uno dei due stati. L’altro aspetto di divergenza che Giovanna mette in luce è che se in Marx resta uno spazio positivo di fiducia per una trasformazione del sociale, in Simone Weil il sociale è sempre permeato di irrealtà e sempre irriscattabile, dal momento che è il luogo in cui si esprime la forza opprimente servi e padroni. In più, se per Marx la coscienza della propria oppressione è la leva che spinge alla liberazione, per Simone Weil la dura realtà dell’oppressione inibisce la comprensione del proprio sfruttamento. La sua esperienza nelle fabbriche le aveva fatto capire bene la portata dei meccanismi consci e inconsci che governano il lavoro. Ciò che può spezzare questo meccanismo sta nell’azione indiretta, nell’azione non agente, nell’azione riflessiva che sottende i processi.

La terza sezione raccoglie gli scritti nati dallo scambio con Teresa Boccia e con Marisa Forcina. Con la prima, che si occupa di urbanistica, Giovanna ha avuto modo di riflettere sullo spazio urbano come una dilatazione del proprio spazio interiore. Da qui l’idea di Urbanima, che s’interessa della cura della città e delle problematiche culturali e territoriali inerenti alle donne e alla loro relazione con la città in termini di sicurezza, di vita quotidiana, di praticità per superare i problemi che maturano tra vita familiare e vita lavorativa. Con Marisa Forcina, fondatrice della scuola estiva della differenza di Lecce, Giovanna s’interroga sullo scarto esistente tra la politica delle donne e la politica tradizionale, sulle difficoltà di trasformare il pensiero della differenza sessuale in un vero e proprio ordine sociale. Il punto di attrito è nella differenza tra autorità e potere. Mentre nella politica delle donne il riferimento all’autorità si basa sulla potenza trasformativa del simbolico, nella politica tradizionale e istituzionale la gestione del potere diventa privilegio dei pochi sui molti. Il riferimento a Ipazia di Alessandria, testimonia del come si possa essere autorevoli senza essere protetti dal potere e dal prestigio personale. Certo, Giovanna sa bene che il potere è sempre pervasivo e subdolo, ma con Angela Putino e Spinoza sa che se una forza tende ad essere solo ciò che può nella relazione con l’altro da sé compie fino in fondo ciò per cui è indirizzata. La conoscenza del limite fa da argine alla tracotanza del potere. L’accettazione della parzialità implica la visione piena della nostra finitezza. Il punto su cui l’autrice lavora è non solo di ordine culturale ma anche sessuale. Sulla scia di Luce Irigaray, Giovanna riflette sul modello energetico che fa da sfondo alla nostra civiltà. Questo è totalmente piegato sul meccanismo della sessualità maschile. Fare riferimento a un modello energetico sessuale di matrice femminile, significa praticare un desiderio non appropriativo, distinto nel diverso porsi dei corpi, nella loro creaturalità fisica e spirituale.

La quarta sezione si occupa del posto dell’amore nella conoscenza e nella vita umana. Qui l’insegnamento di Aldo Masullo e della sua ragione erotica è stato centrale nel percorso dell’autrice. Il profondo legame della filosofia con l’amore e più in generale con i sentimenti umani, la sfera emozionale, ha sempre reso questo sapere un sapere problematico di fronte al sapere inteso nella sua tecnicità. In filosofia l’oggettività è sempre mediata dall’amore. Ecco perché per il filosofo napoletano è necessario pensare l’eros come un volto dello stesso logos. La sfera emozionale va di pari passo a quella epistemica. In tutti i saggi di questa sezione, Giovanna mette l’accento sulla differenza abissale che c’è tra l’amore come possesso dell’oggetto amato e l’amore come dono di sé incondizionato, senza ritorno su di sé. La filosofia d’impronta maschile, sin dalle sue antiche origini greche, ha fatto riferimento all’amore nel suo corpo a corpo con la morte e ha veicolato un immaginario costruito sulla mortalità, sulla finitezza tragica dell’essere, sull’assenza. Solo con Hannah Arendt nel XX secolo la filosofia si appropria della sua origina positiva riferendosi alla nascita e al “miracolo” che ciascuna/o di noi rappresenta venendo al mondo. Dalla riflessione della Arendt e da questa sua straordinaria intuizione, molte donne si sono interrogate sulla rimozione della relazione materna e del significato che diamo alla nostra nascita. Poiché, scrive Giovanna, ritornare su questa rimozione e sciogliere i nodi di questa impasse è essenziale ad un pensiero che senta gratitudine per la vita. L’amore non può essere mai confuso con il possesso, è desiderio d’infinito che non può risolversi nell’acquisizione di qualcosa. Il superamento della concezione egoistica dell’amore comporta la comprensione piena del fatto che amare, in fondo, non significa altro che volere il bene della persona che si ama, anche se questa non ci sceglierà.

La quinta e ultima sezione riguarda il risvolto pratico del lavoro filosofico di Giovanna nel counseling filosofico attraverso la fondazione della sua scuola Metis. Nell’impostazione della sua scuola grande spazio è dato a tutte quelle pratiche che risvegliano la nostra mente alla bellezza naturale e artistica. Così come la spingono a fare esercizi filosofici di perdita, caduta, distacco, separazione o, direbbe Angela Putino, di lacerazione. L’insegnamento di vita più importante che traiamo dalla filosofia è l’accettazione della nostra parzialità e dei fallimenti. Fare i conti con ciò che non dipende da noi, comprendere l’intreccio tra necessità e libertà, è uno dei primi passi per ridurre le aspirazioni egocentriche dell’io. Non è un caso, allora, la scelta di riferirsi anche a pratiche legate alla tradizione del misticismo orientale che insegna innanzitutto la rinuncia come valore positivo. Ora, spiega l’autrice, non si tratta della rinuncia al mondo, ma di rinuncia al vecchio per un nuovo modo di agire il mondo. Agire comporta la liberazione dai falsi attaccamenti, dagli impulsi emotivi, dalla potenza distruttiva di una volontà di potenza coercitiva e possessiva. Imparare il distacco da sé e dalle cose del mondo fa assumere una vista più ampia al nostro essere al mondo. Coltivare l’intelligenza intuitiva e creativa fa parte dell’insegnamento della filosofia come stile di vita. Del resto, il nome scelto per la scuola, riprende quello dell’antica dea Metis, divinità greca che simboleggiava l’intelligenza intuitiva di contro a quella scientifico-analitica. La pratica dello yoga, gli esercizi di meditazione, l’apprendimento dell’arte maieutica, il pensiero della differenza sessuale, sono tutte pratiche che ci indicano la strada percorribile della saggezza. Strada da non perdere a maggior ragione se si considera che l’idea di formazione accademica tende sempre di più alla separazione tra vita e pensiero, alla riduzione della conoscenza in competenze da acquisire per essere funzionali a un mondo del lavoro inteso come sfruttamento. La Metis insegna la felicità, il benessere, la gioia del libero pensiero e l’importanza del pensiero critico. Insegna ad inclinarsi sugli altri, ad essere attenti ai dettagli. Non stupisce allora la centralità di un pensatore come Karl Jaspers nel pensiero di Giovanna. Medico prima di essere filosofo, indagatore dei meccanismi psichici e sociali, Jaspers ha saputo inclinarsi sulle persone e ha cambiato il modo stesso di intendere la delicata relazione tra medico e paziente.

In conclusione questo libro ci restituisce il senso più significativo che il pensiero della differenza veicola nel mondo. Non solo una differente concezione filosofica basata su un’unità di conoscenza, connessione profonda delle varie sfere della vita umana, ma un nuovo metodo di interpretazione del mondo. Dobbiamo ringraziare Giovanna Borrello per questa sua autobiografia politica che ci riporta al nostro arduo cammino di donne in un mondo sempre più violento e feroce, ma dove il femminismo ha prodotto una nostra presenza coraggiosa e stabile. Soprattutto tra le ragazze, quelle nipoti cui questo libro è dedicato – anche inconsapevoli – alle quali Giovanna riconosce una radicalità di pensiero e di vita inedite. Penso, ad esempio, al viso severo e sereno di Greta Thunberg che nella sua parola austera sa dire alla forza la disperazione che lacera il mondo delle nature indifese e riesce così a “rimettere al mondo il mondo”.

 

[1] Marina Forcina, Ironia e saperi femminili, FrancoAngeli, Milano 2008, p. 35.