diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 3 - 2004

Tesi di Laurea

La seduzione nei film di Jane Campion

* Università degli studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea D.A.M.S., Tesi di laurea in Semiologia del cinema e degli audiovisivi . Relatore: G. Pescatore

 

                                                                                                  “Le pagine più belle di ogni persona che riesce ad                                                                                                                      la propria creatività derivano sempre da                                                                                                               un’esperienza di seduzione.”
                                                                                                                                                                Aldo Carotenuto

 

La seduzione affascina.
Solo il concetto di “seduzione” in sé è seducente e parlare della seduzione ha effetti sempre accattivanti.
Il mio studio si propone di “sedurre” per mezzo di questo concetto e del cinema di Jane Campion.
Un pianoforte abbandonato su una spiaggia deserta, con il mare in tempesta, è una delle immagini più affascinanti che io abbia visto al cinema negli ultimi anni.
Ma il tema della seduzione permea tutto il cinema di Jane Campion, non solo grazie alle immagini, ma anche, e soprattutto, grazie alle tematiche che la regista ha affrontato nei suoi film, allo studio dei rapporti tra uomo e donna, e tra esseri umani in generale.
Il mio lavoro si divide in due parti.
La prima parte è essenzialmente teorica: pur mantenendo una stretta relazione con i film ho parlato del concetto di seduzione, così come si è venuto a formare nell’arco dei secoli, dai primi miti ai giorni nostri.
Penso che la seduzione possa essere analizzata partendo da tre blocchi di significato principali: la seduzione dal punto di vista arcaico-numinoso, la seduzione dal punto di vista letterale-etimologico, e la seduzione dal punto di vista post-moderno.
Per comprendere meglio il modo in cui ho operato queste classificazioni sono partita da Holy Smoke, film in cui sono facilmente ritrovabili i tre aspetti della seduzione.
La relazione di cui si parla è quella tra Ruth, una ragazzina “invasata” da un amore mistico per il Baba, (illuminazione avuta durante un viaggio in India) e P.J., il “deprogrammatore” chiamato dai genitori di Ruth per farla rinsavire.
Ruth seduce P.J. per limitare il suo potere, lo seduce con una sorta di “rito iniziatico” apparendo davanti a lui come una dea, nuda, di notte, nel deserto, e alla luce del fuoco (significato arcaico-numinoso).
Ruth seduce P.J. e in questo modo lo “conduce altrove…”, lo “fa deviare dalla sua verità” (significato letterale-etimologico).
Ruth seduce P.J. e lo fa provocandolo in continuazione, con insulti e parolacce: nel senso più particolare della seduzione (significato post-moderno).
Ruth seduce anche con il sesso, ma tra seduzione ed erotismo c’è un’importante differenza.
Il fine della seduzione non è esclusivamente erotico: la seduzione è una serie di pratiche finalizzate alla persuasione, che non è necessariamente di natura erotica. Non è un caso che Satana sia considerato il primo seduttore. Tra seduzione, inganno e forze oscure si viene a creare un legame indissolubile.
Nel prologo di Ritratto di signora Jane Campion mette in bocca a delle voci fuori campo quella che ho chiamato una sorta di “dichiarazione di poetica”:
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Il bacio è l’erotismo, l’attimo prima del bacio è la seduzione.
Il film ci mostra anche, chiaramente, come possa esserci la seduzione senza l’erotismo, e il rapporto tra Isabel e Osmond ne è un esempio. La relazione tra i due protagonisti del film ci illustra molto bene l’aspetto subdolo, diabolico e negativo della seduzione.
La seduzione, infatti, porta con sé sempre un lato oscuro, misterioso e obliquo, ma forse gran parte del suo fascino risiede proprio nel suo essere doppia.
Analizzare il lato diabolico della seduzione è stato il mio intento nel capitolo dedicato alla figura della femme fatale. La donna fatale è un personaggio che ha incantato da secoli poeti e scrittori. Il suo potere deriva dalle capacità seduttive di una femminilità esagerata, mista a un alone di distruttività che indirettamente la avvolge. Il cinema fin dai primordi ha sfruttato il fascino di questa figura, regalando alla letteratura le potenzialità stranianti dell’immagine. Partendo da esempi di film che parlano di donne fatali sono emersi due aspetti fondamentali, che si legano indissolubilmente con la seduzione, e che contraddistinguono queste figure: l’assenza e la catastrofe. Sebbene le figure femminili dei film della Campion non appartengano alla classificazione delle donne fatali, hanno in comune con esse queste due categorie.
Ada e Sweetie sono esseri “assenti”. Ada è muta, il suo mezzo di comunicazione è la musica; la donna vive in un mondo esclusivo dominato da suoni bellissimi e inquietanti al tempo stesso. La mancanza, l’assenza, sono i presupposti necessari al desiderio: si desidera ciò che non si ha. La seduzione esercitata da Ada nasce essenzialmente dalla sua “assenza”.
Sweetie è assente per un motivo completamente diverso: è assente dal film fino quasi a metà del primo tempo. L’assenza fisica non basta però a nascondere la sua influenza diabolica e seduttrice: di lei si parla fin dalla presentazione che la sorella Kay fa nella prima scena. Sweetie non è la protagonista del film, ma ne diventa l’eroina, e il titolo, del resto, prende il suo nome. La donna provoca, inoltre, con la sua irruzione nel film, esiti catastrofici, sugli altri personaggi e verso se stessa in particolare.
Il personaggio di Sweetie mi ha permesso di introdurre una delle caratteristiche più interessanti del cinema della Campion, sul quale mi sono soffermata a lungo nel capitolo dedicato all’estetica del brutto.
Sedurre con l’orrore, con il disgusto, con la provocazione vuol dire sedurre in modo moderno, così come hanno fatto le avanguardie all’inizio del secolo scorso. Ciò che nella vita ci ripugna in un’opera d’arte può invece attrarci moltissimo. Affascinare ed inquietare al tempo stesso è ciò che la seduzione ha sempre fatto. Pan, il dio greco dell’istinto e della seduzione, era un essere mostruoso, metà uomo, metà capra, eppure vagava nei boschi e seduceva le ninfe. Sweetie è per me una Pan al femminile, anch’essa figura che rappresenta la fertilità, la dismisura e la follia. Come Pan, e come il diavolo del resto, è per metà umana metà animale: avida di sesso e di cibo irrompe nelle inquadrature saltandoci dentro e va a caccia di uomini come se fossero prede. Quando poi si sente presa in giro dagli uomini “normali” diventa addirittura un cane rabbioso, ringhia, morde e sbraita parolacce e insulti.
Come la donna fatale però la sua seduzione, e la sua eccessiva esuberanza, le si ritorcono contro: la donna muore precipitando dalla casa sull’albero che si era fatta costruire da bambina.
Il gusto per una “poesia della bruttezza” è però presente in tutti i film della Campion, e si avvale di modalità di seduzione che ho chiamato “surrealiste”.
La scena dell’amputazione del dito di Ada, la sua commistione con il paesaggio e la natura richiamano tematiche affrontate dal movimento surrealista, e creano quell’unione tra l’orrido e il sublime che più di tutte mi affascina nei suoi film.
I tratti più interessanti della “poetica” di Jane Campion sono riscontrabili anche nei suoi film più “classici” e “hollywoodiani”. Ritratto di signora contiene al suo interno una piccola scena “surrealista” che rappresenta l’animo turbato e sedotto di Isabel dopo l’incontro con Osmond. Le immagini in bianco e nero ci mostrano un metaforico viaggio nel deserto in groppa ai cammelli, un piatto dove i fagioli diventano piccole bocche che si agitano ripetendo le parole di Osmond, e infine una spirale formata da cerchi concentrici che attrae Isabel come una calamita verso il volto del suo seduttore.
Ma non è solo la provocazione a sedurre: le strategie di seduzione sono anche quelle dell’arte e della parola.
Ai due poli opposti stanno due diverse modalità di seduzione: le donne seducono con l’arte e con il corpo, gli uomini con il linguaggio e la cultura.
Una fisicità imponente contraddistingue le protagoniste dei film della Campion: corpi grassi e prosperosi, masse arruffate di capelli rossi, sporchi o punk, denti marci e unghie nere. Sembra strano che esseri del genere possano sedurre. Ma all’istinto primordiale si associano le doti artistiche, che nelle donne sostituiscono il linguaggio comune. Il suono del pianoforte è l’arte seduttiva non solo in Lezioni di piano, ma anche in Ritratto di signora. Janet Frame in Un angelo alla mia tavola è la poetessa, internata per schizofrenia, che scrive splendidi versi sulle bellezze della natura. Con la sua poesia riesce ad evitare la lobotomia e a sedurre un giovane scrittore.
Gli uomini affascinano invece con i loro i lunghi discorsi: parla Baines nella capanna mentre Ada siede silenziosa al piano. Osmond, il grande seduttore, porta avanti la sua strategia con frasi calibrate al momento giusto, con pause e picchi di passione infuocata; si concede e si ritrae. Anche P.J. parla nella capanna: vuole sedurre Ruth con la sua conoscenza e con l’infallibile razionalità che lo contraddistingue.
Ma la parola cela l’inganno; gli uomini sono pericolosi come lo è la loro seduzione: Grame, il bambino-seduttore di A Girl’s Own Story, uno dei primi cortometraggi della Campion, seduce la sorellina e la mette incinta. Osmond conduce Isabel in un baratro, la rinchiude nel suo palazzo dal “gusto squisito”. Il professore di Janet la manda in ospedale psichiatrico, facendo leva sul debole che la ragazza prova per lui.
Queste sono le principali linee tematiche del mio studio. Ma in che modo vengono rese sullo schermo le scene di seduzione? La seconda parte della mia tesi risponde a questa domanda: partendo da un approccio estetico-semiotico, ho studiato gli effetti di senso che scaturiscono dall’uso particolare di determinate tecniche cinematografiche. In questo secondo blocco ho analizzato le principali scene di seduzione in modo analitico, inquadratura per inquadratura, soffermandomi sui movimenti di macchina, sull’illuminazione e sul montaggio. Dall’analisi emergono alcune tecniche di ripresa che vengono a creare una sorta di seduzione “aggiunta”. Al senso della scena si somma un senso ulteriore dato dalla messa in scena e dalle scelte di regia. La modalità registica usata dalla Campion che più mi ha colpito è quella che ho chiamato della frammentazione che può essere, a seconda dei casi, visiva o sonora. Questa frammentazione “disturba” l’immagine e interrompe la continuità filmica. Un insieme di presenze e assenze crea l’intermittenza. L’intermittenza provoca desiderio e aumenta l’interesse e la tensione nello spettatore.
Così le lezioni di piano sono contraddistinte da continue interruzioni sonore, che avvengono in concomitanza con le richieste di Baines. Durante le scene più erotiche e seduttive assistiamo inoltre all’interruzione della continuità filmica con l’uso del montaggio alternato: Ada e Baines si stanno spogliando e stanno per avere il loro primo rapporto sessuale; questa scena viene inframezzata con ciò che sta avvenendo fuori dalla capanna (Flora che gioca col cane, Stewart che spia da una fessura…).
Ma la frammentazione può avvenire anche all’interno della singola immagine: in Holy Smoke la soggettiva di P.J. che guarda Ruth, mentre balla e si bacia con una donna, è continuamente disturbata dalle persone che affollano il pub e passano ripetutamente davanti alla macchina da presa.
Il lato oscuro e pericoloso della seduzione viene rappresentato cinematograficamente con la seconda figura da me presa in considerazione: il cerchio.
Questa figura è presente, in alcune immagini come simbolo archetipico di seduzione; in questo caso è sottolineata la sua valenza “magica”.
A livello registico però la figura del cerchio rappresenta l’assedio e l’ingabbiamento. Il rituale di seduzione operato da Osmond nei confronti di Isabel si svolge nei sotterranei di un palazzo, tra fasci luminosi che si riflettono a terra in modo circolare. L’uomo si muove in continuazione attorno alla donna, anticipando i suoi movimenti e impedendole di uscire dal “suo cerchio”.
Procedendo nella mia analisi delle scene di seduzione ho riscontrato un ricorrente e particolare uso che la Campion fa del tempo e dello spazio.
I luoghi di seduzione possono essere degli immensi scenari naturali: la spiaggia, la giungla, il deserto, o raccolte e intime capanne. La contrapposizione tra dentro e fuori, tra sconfinato e chiuso crea un’intensa dialettica che sottolinea ancora una volta le diverse modalità di seduzione tra uomo e donna. Le donne seducono immerse nella natura e le loro capacità incantatrici si legano ai quattro elementi naturali. L’arte e la natura si confondono, e la donna può essere una creatura del fuoco, della terra, dell’acqua o dell’aria.
Gli uomini seducono nelle capanne, luoghi raccolti dove possono esercitare la loro capacità oratoria, ma rimangono sedotti all’esterno dove le donne, e la natura, li lasciano attoniti e senza parole.
L’incantamento che la donna provoca nell’uomo è rappresentato anche con un’alterazione del tempo filmico: la visione della donna rallenta il tempo.
Il ralenti è usato dalla Campion anche per esprimere il mistero che un attimo di seduzione ha lasciato nell’anima. Così Isabel correrà lentamente nella neve, non sapendo se cedere al fascino di Warburton o se tornare nel palazzo di ghiaccio del marito.
Alla solennità creata dal rallentamento del tempo si contrappone l’uso dell’accelerato, tecnica utilizzata dalla Campion per ironizzare su alcuni stereotipi di seduzione o per sminuire un sentimento.
Alla fine del mio studio sono rimasta soprattutto colpita da alcune caratteristiche ricorrenti nei film di Jane Campion, modalità che secondo me ci consentono di parlare del suo come di un “cinema d’autore”. Non sono solo le scene di seduzione, ma un particolare sguardo sul mondo, un modo di rivolgersi allo spettatore coinvolgendolo direttamente nelle vicende, una grande capacità di emozionare con le immagini, a conferire un “tocco stilistico” alla regista neozelandese.
Interpretare un’opera significa scoprire in essa universi di senso sempre nuovi, farla in un certo senso rivivere; il mio tentativo è stato soprattutto quello di capire che cosa nel cinema della Campion mi affascinava e mi seduceva tanto….a questo punto spero di esserci riuscita.