diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 10 – 2011

Taglio del presente

La realtà va guadagnata

Nel viaggio di ritorno da Bruxelles dove mi ero recata per partecipare ad una riunione sui cambiamenti climatici convocata dalla CES, Confederazione Europea dei Sindacati, han continuato a risuonare in me le parole di Anabella Rosemberg (1) quando all’inizio del suo discorso ha fatto suo questo giudizio: “Cancun ha significato un passo importante per i Governi,  ma è stato un piccolo passo per il Pianeta”. “In altri termini – ha proseguito – Cancun ha salvato il percorso e non il clima” i cui cambiamenti saranno la causa di ulteriori sofferenze per tanta parte della popolazione esposta a malattie e catastrofi.

Ripensandoci ora, mentre riceviamo le immagini della distruzione causata dal terremoto in Giappone, le sue parole mi arrivano come profetiche. Ciò nonostante non pensavo a questo quando ho deciso di proporle nell’avvio di questa riflessione che ha in mente la recente vicenda Fiat e vuole mettere in evidenza come sia possibile comprendere il verso che stanno prendendo le cose senza lasciarsi impressionare o disorientare dal dibattito mediatico, ma tenendo lo sguardo rivolto verso gli uomini e le donne che lì hanno saputo agire con coraggiosa libertà di giudizio.

Prenderli sul serio”: suggeriva un atteggiamento da assumere in prima persona verso gli uomini, nei diversi contesti lavorativi e sociali dove la vita ci porta, di non smettere di guardare l’umanità sempre in gioco, con noi dentro in prima persona, nei suoi imprevisti, aperture, azzardi, ma anche difficoltà,  senza lasciare che le rappresentazioni prevalenti, si sovrappongano a quel che sta capitando e che, mentre accade,  è ancora tutto da decifrare.

Questa indicazione di qualche anno fa, continua ad essere l’ago che mi orienta e in questa predisposizione ho potuto cogliere la forza orientante  delle parole di Anabella Rosemberg, notando anche come riuscivano a farsi ascoltare. Con il suo giudizio Rosemberg di fatto, aveva spostato la discussione tutta centrata sulla validità dell’accordo, dalla volontà apatica di ridurre l’emissione di gas serra, all’urgenza di cambiare la qualità dello sviluppo verso una direzione più eco-sostenibile, salvando in questo modo anche il lavoro di mediazione femminile che a Cancun si era reso evidente e grazie al quale, con l’accordo, era stata possibile la sottoscrizione di un Pacchetto di decisioni bilanciate impegnative per i paesi firmatari. A donne come Patricia Espinosa (2),  Christiana Figueras (3) e Martgaret Mukahanana (4) va il merito di quelle decisioni.

Agli impegni sottoscritti dai 193 Paesi si rivolgeva ora Rosemberg, richiamando l’urgenza della loro realizzazione, spostando di fatto la discussione fra i presenti sui passi da fare subito. Il suo giudizio mi ha permesso di cogliere non solo come anche a livello dei grandi accordi sia possibile un gioco di rimandi che aiutano a stare radicati su posizioni più sensate per il tempo che stiamo vivendo, ma anche la distanza e l’insensatezza di tanta discussione che sta animando il dibattito in atto nel nostro Paese. Esponenti dell’attuale governo, a dire il vero in buona e vasta compagnia, alimentano nel dibattito europeo una posizione che impone la necessità di affrontare la crisi finanziaria-economica, anteponendola a quella climatica, come se fra l’una e l’altra non ci fosse una strettissima relazione. Questa separazione astratta impedisce scelte politiche radicali capaci di sviluppare una economia più sensata e più rispettosa dell’ambiente in cui viviamo. Prevalgono incapacità e indeterminatezza mentre i problemi si aggravano. Questo stato di cose mortifica anche quell’inedita sensibilità verso l’ambiente che si è andata affermando e incontra un cambio radicale nei comportamenti dei singoli, uomini e donne, di gruppi e di imprese. Uomini e donne in prima persona cambiano il loro stile di vita, i loro consumi, ricorrono a nuove invenzioni come i gruppi solidali di acquisto, nascono associazioni e si sviluppano nuove relazioni con imprenditori che a loro volta hanno modificato le loro pratiche produttive e hanno cambiato la gestione delle loro imprese. E’ una nuova economia che si va estendendo, più vicina ai bisogni essenziali dei singoli e al loro amore per questa terra che ci nutre e ci ospita.

Si può leggere un effetto di questa posizione separante nell’assenza quasi totale dei problemi dell’ambiente dal dibattito che si è sviluppato nel nostro Paese, nonostante l’Italia avesse firmato da tempo gli impegni europei in materia di clima, imposti dalla gravità delle catastrofi che si stavano verificando.

Contrariamente a questo stato di cose, operai e operaie, sindacaliste e sindacalisti che con loro hanno fatto vivere uno scambio vivo nella recente vicenda Fiat,  hanno saputo tenere insieme economia e ambiente facendo emergere le reali questioni in gioco sugli ipotetici scenari futuri,  richiamati dalla proposta Marchionne e dai commenti dei suoi molteplici e diversi sostenitori. La maggioranza degli operai e delle operaie seppure nella difficoltà di una discussione tutta caricata sulle loro spalle e peggiorativa delle loro condizioni,   hanno smascherato i limiti di una proposta  incapace di affrontare questioni pertinenti con la produzione di auto, come quelle dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento che ci avvelena, della responsabilità che assume il traffico fra le fonti inquinanti, ecc. Grazie a loro abbiamo considerato argomenti come: mercato dell’auto saturo, sovra produzione di automobili, crisi sociale che non ne favorisce certo il ricambio e l’acquisto, la saturazione del traffico, la mancata progettazione da parte della Fiat di auto meno inquinanti capaci di andare incontro ad un inedito interesse per modelli più ecologici, costi complessivi elevati e mancanza di economie di scala del sistema Fiat che continua a registrare perdite nei suoi bilanci. Sono questi argomenti che hanno prevalso rispetto alle ragioni che miravano ad imporre l’aumento dell’orario di lavoro, la riduzione delle pause, la limitazione di garanzie e di spazi di libertà negli stabilimenti Fiat,  su cui si centrava la volontà del suo amministratore delegato, evitando che si affermasse una “visione più moderna”, quand’anche incapace di affrontare i nodi dell’economia e dell’ambiente se non di alimentarli. Dire “no” per i favorevoli alla sua accettazione, posizione quest’ultima ritenuta all’altezza dei tempi, sarebbe stato anacronistico, quando invece i racconti di operai e operaie alimentavano la consapevolezza dell’insostenibilità di una “visione” che consegnava alla sola realtà del lavoro, il 7% del costo complessivo per la produzione dell’auto, il futuro della Fiat, di tutto il settore e dell’intero Paese.

L’indisponibilità da parte di sindacalisti e sindacaliste a porre una firma su un accordo imposto in maniera inaccettabile per i normali rapporti che si erano fin lì sviluppati con la direzione di Marchionne, e dai contenuti sentiti come ingiusti,  peggiorativi di condizioni lavorative precedentemente contrattate e palesemente lesivi di libertà costituzionali riconosciute, e soprattutto la loro irriducibilità a considerare superfluo il rapporto di scambio con i dipendenti degli stabilimenti Fiat destinatari di quell’accordo,  ha permesso l’aprirsi di un varco dove hanno potuto esprimersi le voci dei diretti interessati e interessate e la realtà man mano ha preso corpo.

Stare a quel rapporto di scambio, anche pagando il prezzo delle pesanti ripercussioni minacciate dalla Fiat per la mancata firma, come l’esclusione, per il tempo a venire,  della loro organizzazione sindacale dalla possibilità di accesso agli stabilimenti, dai tavoli di confronto e trattativa fra sindacati e azienda, dall’automatismo del prelievo mensile sulle buste paga delle  quote volontarie di iscrizione, direttamente versate sui conti correnti sindacali, che avrebbe obbligato ad un cambio radicale, più complicato e faticoso, del lavoro sindacale, mettendo a rischio con la limitazione dei contatti il suo stesso radicamento, ha alimentato la fiducia che si poteva reggere la pressione di quei giorni e stare al senso e ai saperi guadagnati nel quotidiano delle proprie vite, singole e collettive, di farle parlare fino a imporle nel dibattito mediatico.

La loro presenza continua davanti ai cancelli, gli incontri promossi per far favorire la presa di parola su quanto stava succedendo, la distribuzione dell’accordo non firmato, che i firmatari non si erano preoccupati di far pervenire ai dipendenti Fiat, per favorire una espressione più consapevole nel referendum, senza offrire indicazioni di voto, ha favorito la crescita di un clima che ha messo al riparo dalle pressioni esercitate in quei giorni dai sostenitori dell’accettazione incondizionata dell’accordo, e permesso che la realtà di quanto stava succedendo si presentasse in tutte le sue articolazioni e contraddizioni.

In definitiva e in grande sintesi, operai ed operaie senza sottrarsi all’obbligo di scegliere hanno saputo stare ai significati guadagnati nelle loro vite e da qui, con i  loro racconti hanno rilanciato i termini della vera discussione nella sede ben più ampia che le competeva, consegnando a tutte e tutti noi domande grandi: cosa e come produrre, quale economia per quale qualità del lavoro e del vivere, come si può uscire da una crisi senza precedenti senza ignorare i problemi dell’inquinamento che ci avvelena, se sia possibile continuare a sostenere pratiche produttive ridotte a puro alimento di un consumismo sfrenato e sconsiderato. Lo hanno fatto raccontando la loro vita, le loro difficoltà in una realtà quotidiana concreta e vicina rispetto ai grandi scenari descritti da Marchionne; nelle loro parole hanno risuonato le grandi sfide sostenute dal paziente lavoro di mediazione ricercato dalle amiche di Cancun. Loro sapevano l’insensatezza del sistema produttivo della Fiat, sapevano l’improponibilità di un allungamento dei tempi di lavoro che già prima, per i ritmi imposti dalla catena di montaggio produceva più scioperi di quanto il sindacato riuscisse a programmarne. Loro sanno la necessità di lavorare bene e di accompagnare il prodotto della loro sapienza, abilità e fatica; la necessità che si sappia cosa comporta realizzarlo e di conoscere dove va a finire. “Per non essere spezzati”, hanno detto. “Per non farti spezzare”, come ha chiesto una figlia al padre invitandolo a votare “no” nel referendum imposto. E anche quelli che han votato “sì” hanno portato le loro motivazioni senza negare la loro paura verso il ricatto fatto gravare sulle loro spalle.  Raccontando i loro sentimenti, le preoccupazioni, le passioni, le difficoltà, le convinzioni hanno riconosciuto e offerto la possibilità di stare vicini alla fragilità umana, quella che si patisce in prima persona, che ha bisogno di condizioni lavorative dignitose per produzioni sensate, per vivere. Han fatto valere la consapevolezza guadagnata facendo saltare la voluta ignoranza su un sistema che produce migliaia di macchine, ben oltre la domanda e tanto da lasciarne una enorme quantità invenduta, mentre quella che arriva sul mercato ci avvelena.

“Primum vivere” (5), “Riportare la vita alla radice dell’economia”(6) continuano a restare indicazioni fondamentali per un cambio di direzione: per la vicenda Fiat che non è finita, per amore della terra e per amore della vita che respira in noi.

Detta in altri termini, l’economia può prendere una direzione sensata se gli esseri umani, donne e uomini, traggono indicazioni dai loro bisogni vitali. Imparano a riconoscere cosa ci è essenziale per vivere, cosa è superfluo, intorno a noi e per via di noi; quali i rimedi, cosa è possibile attivare in prima persona per riconoscere l’essenziale di cui la vita ha bisogno; per me,  per chi mi vive accanto, per la qualità dei rapporti che siamo chiamati a condividere su questa terra.

Siamo esseri umani fragili che fanno fatica, che vogliono vivere; questo l’insegnamento degli operai e delle operaie della Fiat, questo oggi ci consegna la catastrofe  Giapponese, altro che riattualizzare la necessità di un nucleare più sicuro come alcuni esponenti istituzionali, del mondo scientifico e imprenditoriale continuano a proporre.  Possiamo radicarci in questa consapevolezza e provare a dire la nostra in prima persona, ricercando la condivisione con altre, con altri, sul senso e la direzione da intraprendere, aprendoci al gioco di rimandi già attivo a tutti i livelli, nessuno escluso. La prossima Conferenza sul Clima sarà a Durban nel dicembre di quest’anno e il suo esito, come ha ricordato Rosemberg,  dipende dal senso che riusciamo a far vivere nella vicinanza alla vita, nei suoi bisogni e desideri, con scelte e gesti che ci fanno guadagnare la realtà oltre il chiasso che invade la quotidianità.

 

NOTE

 

  1. Anabella Rosemberg, responsabile del dipartimento Sustainable Development di E.T.U.C (International Trade Union Confederation)
  2. Patricia Espinosa, Presidente messicana di COP16 (United Nations Change Conference)
  3. Christiana Figueras, Segretaria Esecutiva di UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change)
  4. Martgaret Mukahanana di AWG-LCA (Ad Hoc Working Group on Long term Cooperative Actionunder the UNFCCC)
  5. Da Immagina che il lavoro, Libreria delle Donne di Milano 2009, punto 1. primum vivere.