diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 6 - 2007

Insegnare Filosofia Forum

La camicia di forza della trasmissione manualistica

Ho scelto di insegnare filosofia in un liceo sperimentale agli inizi degli anni Ottanta  e l’ho fatto per diciassette anni. Qualche anno prima avevo detto no alla cattedra di filosofia e storia in un liceo classico tradizionale perché preferivo rimanere dov’ero, in una media sperimentale.

Parto da questo dato biografico per dire una cosa non strettamente personale, di cui sono sempre stata consapevole: l’amore per la filosofia ha bisogno di libertà. Una donna non può amare la filosofia se non si sente libera rispetto alla filosofia, come istituzione (la filosofia scolastica) e come tradizione. Senza questa libertà l’insegnamento della filosofia imprigiona una donna dentro la stessa camicia di forza in cui la filosofia scolastica si è trovata imprigionata e che impedisce di percepire le voci che costituiscono la ricchezza di una tradizione che ha senso leggere, interrogare, conoscere nel presente. Negli anni in cui ho cominciato ad insegnare c’era una   consuetudine didattica nei licei insopportabilmente soffocante, sembrava che il Sessantotto non fosse mai passato di lì: la centralità del manuale impediva di avvicinare i “testi” della filosofia se non in modo estemporaneo. Le “parole” perdevano il loro carattere di materia prima della ricerca filosofica e non potevano produrre alcuna risonanza, per il peso che nella trasmissione manualistica assumeva la teorizzazione del curatore. La sua (quella del curatore) era l’unica voce che in realtà uno studente, una studentessa percepiva e assumeva come fonte autorevole di conoscenza. Con quella voce doveva sintonizzarsi e imparare a “parlare”, a pensare filosoficamente, come un acrobata sul filo di astrazioni che raramente aprivano le giovani menti a qualche intuizione.

Mi sono detta che lì, in quel sistema di trasmissione non c’era posto per me insegnante, se non quello di rendere digeribile per i miei studenti e studentesse  il linguaggio indigeribile del manuale.  Premasticandolo. Chiedo scusa per questa immagine, ma non riesco a trovarne un’altra più appropriata per dire del pesante malessere che dà lo stare in quella posizione.

Mi piace preparare il cibo con le mie mani e soprattutto offrirlo come si deve.

Venivo da un lavoro di ricerca didattica straordinario che si faceva nella scuola media negli anni Settanta e  sentivo che potevo anche in un liceo trovare una pratica pedagogica adatta a far incontrare e conoscere gli aspetti essenziali della cultura filosofica occidentale mettendomi nella posizione della mediatrice. Questo mi veniva chiesto in quanto insegnante: essere mediatrice di una tradizione di pensiero. Il pensiero dell’Altro. In quanto donna sentivo il vantaggio dato dalla libertà di uno sguardo che percepisce con chiarezza questa alterità, e la patisce. Lo sguardo della “straniera”, che vede nella cultura dell’Altro qualcosa che non  riescono a vedere coloro che coincidono con essa o vi si lasciano assimilare.

E la cosa essenziale che ho visto era appunto la camicia di forza in cui il pensiero d’Occidente si trovava imprigionato nell’istituzione scolastica. La mossa da fare era  perciò quella di liberarlo da una pratica discorsiva, propria della trasmissione manualistica, dove una sola voce parla, inconfutabile e sempre identica a se stessa.

Sapevo che senza quella mossa non sarei mai riuscita a provocare niente, se non una erudizione più o meno ampia. L’incontro che fa nascere pensiero non sarebbe avvenuto: l’incontro che insegna a pensare restando in ascolto,  presso la parola dell’Altro, dell’Altra, presso quel corpo di parole che chiamiamo “testo”. Questo corpo, che  nasce nella materialità di un contesto storico, relazionale diverso dal presente, tuttavia mi raggiunge qui, adesso. Perché parla di qualcosa che qui e adesso mi riguarda.

In quegli anni (anni Ottanta) anche l’insegnamento delle letterature andava nella stessa direzione: alla storia della letteratura, dell’arte si andava sostituendo lo studio dei “testi” e delle opere. (Con approcci diversi.)  Nello stesso tempo, la ricerca femminista stava portando alla luce il patrimonio nascosto della soggettività femminile, nella storia e nelle scienze, come nella letteratura, nelle arti e nella filosofia. Scoprivamo che nella creazione culturale le donne erano presenti con un’originalità che scardinava confini disciplinari e apriva prospettive insolite: i materiali scoperti dalle ricercatrici cominciavano a rendere disponibile, questa ricchezza che era caduta nell’oblio. Sentivo che non ero sola, che il mio lavoro si nutriva del lavoro che si faceva in tante, insegnanti e studiose. In modo diverso ricercatrici.

Liberata la filosofia dalla camicia di forza della trasmissione manualistica, (mossa che si sarebbe rivelata in sintonia anche con i nuovi orientamenti per l’insegnamento della filosofia – la Commissione Brocca), non è stato difficile fare spazio, riconoscere e accogliere l’originalità femminile nel lavoro del pensiero e nelle pratiche filosofiche.

Mi limito a dire che si potrebbero fare molti esempi.

Mentre voglio finire queste note con un problema, quello che genera più ansia, anche se è solo uno fra i tanti che ogni atto di libertà genera: il problema di trovare un ordine.

Il manuale offre un ordine. E’ la garanzia di un ordine condiviso. E di un ordine riconosciuto e  riconoscibile dalla comunità formativa c’è bisogno. Per questo è difficile pensare l’insegnamento di una disciplina rinunciando al manuale o anche solo togliendolo da una posizione di centralità (e di autorità).  Personalmente, all’inizio, mi sono fatta aiutare da una buona antologia, che è l’embrione di una biblioteca in fieri, che nel corso degli anni ho visto crescere, articolarsi, accogliere la pluralità delle voci e le differenze senza opporre troppa resistenza.

Mi sono accorta poi che più la si frequenta e la si organizza, questa biblioteca  rivela legami solidi e interessanti, trame imprevedibili che ci aiutano a trovare un altro ordine, capace di rendere chiaro il bisogno reale di filosofia dei giovani, allievi e allieve, nel presente.