diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 1 - 2003

Taglio del presente

Indicibile alla legge

 Brevi note al documento/appello di un gruppo di giuriste contro la legge sulla procreazione medicalmente assistita

 

Molte contrarie autorevoli opinioni hanno accompagnato l’iter parlamentare di approvazione della legge sulla fecondazione medicalmente assistita. Ad esempio quelle espresse nell’appello di un numero rilevante di giuriste (accademiche, giudici, avvocate) – me inclusa – e interamente pubblicato da l’Unità il 10 febbraio scorso.

Proprio di questo appello vorrei parlare. Per tutto quello che di importante in esso si dice, ben oltre il piano dell’analisi giuridica, che pure contiene, in funzione di critica alla legge.

Perno della riflessione contenuta nel documento (almeno per come io l’ho inteso, avendolo solo sottoscritto e non redatto) è che in merito a scelte che attengono il corpo, la sessualità dei singoli e delle singole, sia da escludere un intervento statuale. Il documento, in proposito, parla di una ‘indicibilità sul piano giuridico’ e, in particolare, di una indicibilità sul piano della speciale relazione tra l’embrione e la madre, nel cui grembo, anche l’embrione fecondato artificialmente, deve comunque tornare. La legge sulla procreazione medicalmente assistita è, infatti, fortemente criticabile non solo per alcuni particolari contenuti – ad esempio, perché vieta la fecondazione eterologa – ma anche perché essa vuole disporre di una sfera ritenuta intangibile alla legge. Con ciò intendo dire che – stando ancora all’esempio fatto – anche un provvedimento legislativo meno restrittivo, meno conformista in merito ai modelli genitoriali non sarebbe valso a garantire la libertà dei soggetti.  La libertà non è un diritto, ne tanto meno è progressiva. Per questo credo il legislatore avrebbe fatto meglio, semmai, a realizzare un intervento rivolto ai soli profili sanitari in funzione di un sostegno alla maternità.

Ad un approccio, in punto di regolamentazione, leggero o mite sui temi dei quali stiamo discutendo, il legislatore ha, invece, preferito una legislazione basata su un sistema di complessi e, ciò che è peggio, illegittimi, già sul piano costituzionale, divieti.

Perché questo è accaduto? Perché il legislatore ha potuto disconoscere così elementari principi e diritti, ad esempio quello – come viene giustamente ricordato dalle giuriste – all’autodeterminazione di donne e uomini in materia di vita, approvando una legge da molti e molte definita “orribile”?

Il documento, come già in altre sedi e da altre è stato detto, individua una precisa responsabilità da parte maschile laddove esso richiama, nell’incipit, la composizione numerica del Parlamento, che, come si sa, risulta formato da un’esigua minoranza di donne.

Essa quindi rifletterebbe un conflitto tra i sessi tutto giocato nel tentativo di una riaffermazione da parte maschile di un controllo sulla sessualità e sulla procreazione. Controllo che è evidentemente sfuggito agli uomini. Questa legge, sembrerebbe, in altri termini, espressione di quello che le femministe americane chiamerebbero backlash  (contrattacco degli uomini, in questo caso, alla legittimazione che le donne si sono date di tenere disgiunte sessualità e procreazione).

A fianco a questa spiegazione ve ne sono però altre e, innanzitutto quella che vede in questa nuova legge uno specchio – si potrebbe dire – di una “mania legislativa”: lo specchio dell’affermazione del principio del primato della legge quale strumento necessario alla mediazione sociale degli interessi contrapposti. Questo è un aspetto del problema che, tuttavia, non coinvolge solo gli uomini. Ed, infatti, per alcune donne, in particolare quelle che fanno politica nei luoghi istituzionali (non solo, quindi, in Parlamento, ma nei partiti, nel sindacato, etc.), la legge assume il valore di un irrinunciabile dispositivo simbolico. Così si spiega il perché questa legge è stata votata (anche) da alcune donne, nonché si spiega il perché, sempre per iniziativa di alcune donne, nel precedente governo di centro sinistra, si voleva porre mano ad una regolamentazione sul tema della procreazione assistita.

L’approvazione di questa legge sembrerebbe allora far supporre che per il nostro Parlamento il movimento delle donne, il femminismo, non sia mai esistito o che di esso, in chi è venuto dopo, non vi sia più traccia. E, invece, c’è stato, e quello che è più rilevante, è che esso ha impresso nella società – non solo italiana – svolte e cambiamenti rilevantissimi e irreversibili, coinvolgendo anche il modo stesso di teorizzare il diritto, o meglio, il modo cui ad esso si guarda – nel momento in cui lo si studia – quando è in gioco la differenza sessuale.

Questo, infatti, dice il documento, innervato, come è, dagli importanti risultati teorici collegati all’esperienza del femminismo e sulla quale si sono ritrovate in molte giuriste, di diversa provenienza politica, di diverse età. Basti pensare a quanto è stato elaborato in Italia dal femminismo della “differenza sessuale”: la critica alla pretesa universalità del diritto, la creazione di una prospettiva teorica che porta in primo piano la centralità delle pratiche politiche tra donne. Si è suggerita, a tal proposito, l’espressione “sopra la legge”, appunto per significare un “luogo” di rapporti e di pratiche che precede e supera l’ordine della norma. E si è anche detto “una politica delle donne che faccia primario riferimento a questo luogo sopra la legge non si preoccupa di varare nuove leggi o di modificare quelle esistenti per includervi la differenza femminile: essa si concentra sulla produzione di senso, di simbolico, più che sulle regole, e cerca non di riempire ancora di più il diritto ma, al contrario, di aprire dei vuoti, dei varchi in cui possa farsi spazio il senso libero della differenza femminile con la sua forza, affermata fuori e prima del riconoscimento della legge” (cfr. Lia Cigarini). Una posizione, questa, che demistifica la tradizionale aura di sacralità della legge e delle sue funzioni, che sottrae importanza alla potenza mediatrice della regola giuridica, a tutto vantaggio del primato delle relazioni, e, in primis, quella con la madre.

 

Questa legge apre oggi un’altra domanda: ora che essa è stata approvata, che fare?

Le strade su cui si sta orientando il dibattito vedono due possibili soluzioni: promuovere un referendum abrogativo; oppure operare sul fronte dell’eccezione di incostituzionalità. Numerosi sono infatti i profili di illegittimità costituzionale contenuti nella legge, in particolare rispetto agli artt. 2-3-32 Cost. come spiega il documento.

Ma mentre su questa seconda proposta mi trovo d’accordo, la strada del referendum, suscita, in me come in molte altre, forti perplessità. Ciò perché credo, oltre alle considerazioni critiche che sono già state fatte (cfr. Milli Virgilio), che sia ormai del tutto riscontrabile una diffusa irritazione circa l’uso dello strumento referendario. Per non dire, poi, di un’opinione pubblica che, non solo su questo rilevante tema, pare del tutto frastornata dal disordine informativo dei media.

Ma c’è un punto più sostanziale che mi spinge a guardare con disfavore alla proposta referendaria: essa è un altro modo per ribadire il primato della legge, la sua centralità rispetto ad aspetti che, invece, rinviano alla competenza materna. E, infatti, ben dice il documento quando ricorda l’esperienza degli anni in cui l’aborto era ancora reato: essa “dimostra che se la regola posta dallo stato non corrisponde alla speciale competenza femminile, quella regola sarà disattesa”. Ed è proprio così, semplicemente.

 

 

Bibliografia essenziale

 

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