diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 14 – 2016

Marguerite Duras

Il tessuto simbolico dell’eterosessualità in Marguerite Duras

Intervento al convegno Scrittura, pensiero, differenza sessuale a partire da Marguerite Duras,

Università di Verona 29 Aprile 2016

 

Trattare, prendendo le mosse dai testi di Marguerite Duras, del tessuto simbolico dell’eterosessualità, cioè della rappresentazione a livello simbolico della relazione con l’altro sesso, su cui la scrittrice francese offre molte indicazioni, è per me un’occasione preziosa. Infatti, nel pensiero della differenza sessuale, in cui mi radico, questo argomento, dopo gli anni settanta, è stato scarsamente tematizzato. Dopo le argomentazioni politiche di Carla Lonzi sulla donna clitoridea e sulla donna vaginale,[1] questo tema è andato piuttosto in ombra nel pensiero della differenza sessuale.[2] Ci sono state tuttavia delle significative eccezioni: mi riferisco soprattutto all’opera di Luce Irigaray. In quest’autrice l’elaborazione simbolica dell’eterosessualità è sempre stata presente, in particolare in Etica della differenza sessuale: il tema delle “nozze” fra uomo e donna – una volta che la donna sia stata messa in condizione di ritornare presso di sé, senza essere deportata nell’ordine patriarcale – e soprattutto la fenomenologia della carezza, ricostruita sulla scia del pensiero di Merleau-Ponty e di Lévinas, rendono conto bene dell’intervallo che dovrebbe esserci rispetto all’altro dell’altro sesso per un incontro autentico, sottratto sia alla subordinazione sia all’omologazione.[3]

Rispetto al prevalente silenzio sul tessuto simbolico dell’eterosessualità nel pensiero della differenza sessuale, fa inoltre eccezione, in tempi più vicini a noi, il testo di Ida Dominijanni, Il trucco, che riflette sul nesso fra sessualità e politica nell’epoca di Berlusconi.[4] Tuttavia, fatte salve queste poche ma significative eccezioni, nel pensiero della differenza il tessuto simbolico dell’eterosessualità, dopo gli anni settanta, è stato scarsamente interrogato. In questo contesto non è tanto importante chiedersi il perché di questo relativo silenzio, dovuto a mio parere sostanzialmente al fatto che ci si è occupate d’altro, cioè delle relazioni fra donne per dare mondo al desiderio femminile, quanto piuttosto cogliere l’occasione di questa riflessione su Marguerite Duras per mettere a fuoco il tessuto simbolico dell’eterosessualità in una scrittrice che, pur non essendo stata femminista, è stata tuttavia “adottata” dal femminismo degli anni settanta ed è stata ritenuta da quest’ultimo particolarmente significativa.

La riflessione di Duras sull’eterosessualità è presente in tutta la sua opera, sia nelle sue considerazioni di estetica e di poetica – nelle sue riflessioni sulla scrittura -, sia nella sua opera narrativa, nei suoi romanzi e racconti. Partirò dalle prime per poi concentrarmi, vista la vastità della produzione narrativa durassiana, solo su tre dei suoi testi narrativi che sono a mio parere particolarmente significativi in relazione a questo tema.

Nelle sue considerazioni sulla scrittura, Duras attribuisce un’importanza fondamentale all’apertura verso l’altro dell’altro sesso, perché questa è una figura dello spalancamento sull’ignoto a cui tutta la sua opera tende. Essere aperte/aperti all’altro dell’altro sesso vuol dire essere capaci di non rassicurarsi nella somiglianza col medesimo, ma aprirsi all’alterità, vista l’inconciliabilità e la differenza radicale fra i sessi che l’autrice sostiene. Vedremo fra poco a questo proposito alcune dichiarazioni di poetica della scrittrice: Duras esprime più volte la convinzione di un’asimmetria totale fra i due sessi e si pronuncia contro la logica dell’omogeneo, a favore dell’eterogeneità assoluta. Di quest’apertura verso l’eterogeneo, verso l’ignoto, si fa portatrice  a suo parere soprattutto la donna, complice di una passione della differenza che la pone in posizione privilegiata: “C’è un rapporto intimo e naturale che da sempre lega la donna al silenzio (…). Questo porta la sua scrittura a quella autenticità che invece manca allo scrivere maschile, la cui struttura rimanda troppo a saperi ideologici, teorici”.[5] “Per scrittura maschile intendo quella troppo appesantita dall’idea”.[6] Non tutti gli uomini però scrivono con una “scrittura maschile”: quelli che Duras reputa grandi scrittori – non Roland Barthes, a suo avviso troppo meticoloso, appesantito dall’idea, ma per esempio Marcel Proust – sono approdati non a una “scrittura maschile”, ma a una scrittura “senza sesso”, al di là della differenza sessuale. Nel sottolineare che gli uomini “sono tutti omosessuali” in potenza,[7] lo sono cioè sul piano socio-simbolico, perché per loro la compagnia privilegiata, lo scambio più significativo è solo quello con altri del proprio stesso sesso, Duras diffida di quegli scrittori a cui è mancata “l’esperienza più antica della vita, la conoscenza sessuale di una donna”:[8] questo non va inteso alla lettera, in realtà, ma va interpretato come un difendersi di alcuni scrittori dall’eterogeneità assoluta, dell’ignoto di sé e del mondo di cui soprattutto la donna sarebbe portatrice.

Sul versante femminile, Duras non ignora l’omosessualità, che, come vedremo in seguito, è adombrata, ma in modo sempre indiretto e allusivo, anche in alcuni suoi romanzi, ma attribuisce un deciso privilegio all’eterosessualità: “Il piacere dato da un’altra donna è qualcosa di molto intimo, (ma) (…) la vera folgorazione, quella che può farci soccombere, è l’incontro con un uomo”.[9] Per Duras simbolicamente eterosessualità vuole dire apertura all’ignoto, visto l’abisso che separa fra loro i due sessi: “L’eterosessualità è pericolosa perché in essa si è tentati di raggiungere la dualità perfetta del desiderio. Nell’eterosessualità non vi è soluzione. L’uomo e la donna sono inconciliabili ed è questo tentativo impossibile e rinnovato a ogni amore che ne fa la grandezza”.[10]

Il privilegio femminile nell’apertura all’ignoto è dovuto anche alla storia di oppressione delle donne, all’inferiorità e al silenzio in cui per secoli sono state murate; da quel silenzio la loro parola risuona più libera, più aperta sulla materialità dell’esistenza: “In questa posizione emarginata, di oppresse, la parola è molto più libera, più generale, perché resta nella materialità della vita. E’ una parola più antica. (…) E’ la donna a essere giovane, fresca. E non lo sapeva”.[11]

Ho dedicato un certo spazio a queste dichiarazioni di poetica di Duras perché esse costituiscono a mio parere lo sfondo necessario su cui collocare le sue storie d’amore: in realtà, va precisato che le sue non sono propriamente storie d’amore, perché in Duras l’amore non è tanto un tema, quanto piuttosto una passione che alimenta la scrittura e la vita. Le eroine di Duras sono caratterizzate da un’eccellenza femminile: sono figure che giungono fino quasi all’autodistruzione, ma che si salvano per un nocciolo di consapevolezza; la loro eccellenza non nasce né dalla dignità né dalla rinuncia, ma da qualcosa che viene tratto dal fango e dal disdicevole e che tuttavia brilla come una perla.[12]

Mi soffermerò dapprima molto sinteticamente sulla figura di Lol, protagonista del Rapimento di Lol V. Stein.[13] Faccio riferimento a Lol perché lei è, secondo Duras, il prototipo di tutte le sue figure femminili, l’archetipo delle sue donne estatiche, incaute, responsabili della propria stessa autodistruzione, rapite altrove, assenti, divise. Lol più di ogni altra protagonista durassiana fa esperienza del rapimento, dell’assenza e del vuoto – e questo costituisce il suo fascino, che a sua volta rapisce chi la incontra. Lol è divisa: è altrove, dove domina il silenzio, e al tempo stesso è in posizione di oggetto per il desiderio dell’uomo. Con Lol e con altre figure femminili che vedremo in seguito, Duras dà voce alla possibilità femminile di sperimentare e di godere un mondo che non c’è: offre mondo a un desiderio femminile che si sporgeva su niente. Tuttavia, come si afferma nel libro di Diotima Mettere al mondo il mondo,[14] l’altro mondo su cui si sporge il desiderio femminile è questo mondo, in un soggettivismo femminile che non tende tanto all’affermazione di sé quanto piuttosto a uscire da sé, a dimenticarsi, per essere rapite altrove come in un interstizio, in un vuoto in questo mondo qui.

Lol dà voce al patetico dell’amore, che però rimane indicibile, inafferrabile, invisibile, come lo è il ballo di S. Thala, che inchioda per sempre Lol alla reiterazione della stessa scena che le è stata sottratta, che è stata bruscamente interrotta. L’attimo dell’amore assoluto fra gli amanti rimane imprendibile, ineffabile anche per la scrittura, che cerca nostalgicamente di afferrarlo; altrettanto ineffabile è quella parola-buco, quella parola-assenza che Lol vorrebbe far risuonare ma che, essendo costitutivamente mancante, contamina tutto il linguaggio e lo costringe a farsi celebrazione del vuoto.[15]

Lol stessa rappresenta l’apertura sul vuoto, sull’ignoto, sull’assenza, su una fissazione amorosa tragicamente eterosessuale (l’amore per Michael Richardson), ma non priva di implicazioni omoerotiche grazie al proprio rispecchiamento nell’amica Tatiana Karl. La tragicità dell’attrazione eterosessuale è data dal fatto che nel romanzo donna e uomo, innanzitutto per l’assenza di Lol ma in fondo costitutivamente, sono slegati, inconciliabili, destinati a non incontrarsi mai se non nell’attimo della fascinazione amorosa, un attimo però che, come si è detto, rimane inafferrabile, indicibile.

Da Lol, si dipartono altre caratteristiche essenziali che segnano sempre in Duras l’erotismo femminile: innanzitutto la figura del triangolo amoroso – Duras afferma di aver sempre creduto che l’amore si faccia in tre, due che sono insieme e un occhio che vede. La figura del triangolo – in questo caso, lui, lei e un’altra lei – è al centro di questo romanzo, è il motivo del “rapimento” di Lol, attratta fino all’estremo dal desiderio di vedere l’abbraccio degli amanti che la esclude e poi votata a reiterare questa scena spiando gli amplessi fra l’amica Tatiana e Jacques Hold, innamorato di Lol ma che lei vuole che conservi anche la relazione con Tatiana.

Il triangolo amoroso in Duras ha a che fare più in profondità con la posizione di lei come scrittrice, come occhio che cerca di catturare, senza riuscirvi, il momento fatale dell’abbraccio fra gli amanti. Il triangolo è la figura che governa l’erotismo in tutta l’opera di Duras e in parte anche nella sua vita, se si pensa ad esempio al triangolo che a lungo è stato disegnato dalla relazione fra Marguerite stessa, il marito Robert Antelme e Dionys Mascolo, padre di suo figlio. Tuttavia, poiché non c’è quasi opera durassiana in cui un triangolo non compaia, anche là dove non c’è un terzo uomo o una terza donna a occuparne uno degli angoli, è lecito supporre che in ogni caso il vertice del triangolo rinvii allo sguardo di Duras scrittrice.

La passività femminile è un altro tema ricorrente dell’erotismo durassiano: in Lol, essa coincide con il suo essere altrove, rapita da una scena che l’ha affascinata e la cui ineffabilità costituisce il motivo del suo stesso fascino. In altri romanzi e racconti, come in Moderato cantabile o nell’Uomo seduto nel corridoio,[16] questa passività si traduce in un masochismo femminile, nel desiderio di essere picchiata o addirittura uccisa dal proprio amante. Nella ricorrenza di questo tema come componente del desiderio femminile, Duras erotizza la posizione di inferiorità della donna, la sua oppressione e la sua riduzione al silenzio, e al tempo stesso fa riecheggiare qualcosa della disperata violenza materna nei confronti della ragazzina protagonista dell’Amante.

Passo quindi al secondo testo su cui vorrei concentrare la mia attenzione per trattare del tessuto simbolico dell’eterosessualità in Duras: si tratta appunto dell’Amante.[17] Qui, l’inconciliabilità fra i sessi, l’eterogeneità assoluta che le separa, è amplificata al massimo dalla condizione stessa degli amanti: separati dell’età – lei ragazzina quindicenne, lui un uomo di trent’anni –, dalla razza – lei bianca, lui cinese –, dalla condizione sociale – lei povera, lui ricco –, non potrebbero essere più distanti fra loro. Il patetico di questo amore, che solo a distanza di molto tempo da quando era stato vissuto – con Duras ormai vecchia che ricorda la prima avventura di sé adolescente – viene riconosciuto come tale (mentre da lei ragazzina era stato vissuto nell’inconsapevolezza, come un concedersi all’uomo cinese in cambio di denaro), sta proprio nell’incolmabilità della distanza fra i due amanti: votato allo scacco fin dal suo nascere, quest’amore, benché mostrato ed esibito con insistenza in scene di sesso piuttosto esplicite, rimane imprendibile, inafferrabile nella sua essenza, enigmatico e patetico, perché cerca di colmare non uno ma molti abissi – quello della differenza sessuale, della razza e dell’età -, e perché solo a posteriori, dopo molto tempo, viene riconosciuto come un amore quello che in origine poteva sembrare solo uno scambio fra sesso e denaro.

La figura del triangolo è insistentemente presente nell’Amante: vi è innanzitutto quello fra l’amante cinese, la ragazzina e l’amica di collegio di lei, Hélène Lagonelle, che l’adolescente vorrebbe offrire all’amante cinese, vedendo fare su di lei ciò che viene fatto a lei stessa; fra loro, le due adolescenti sono a propria volta in un’intimità che sfiora l’omoerotismo, ad esempio quando ballano fra loro nel collegio deserto. Tuttavia nel romanzo vi sono anche altri triangoli: quello fra il fratello minore della protagonista, l’amante cinese e la ragazzina, e quello con il fratello maggiore, violento e brutale, l’esatto contrario sia dell’amante cinese sia del fratellino più piccolo. E infine, in uno dei numerosi triangoli che si possono tracciare nell’Amante, al vertice c’è la madre: la madre, la figlia adolescente e l’amante cinese stanno in un triangolo di oscura violenza – quella della madre quando si avventa sulla ragazzina picchiandola, sospettando la sua relazione con il cinese, quella dell’amante che si getta furiosamente sulla ragazzina adolescente, disperato per la mancanza d’amore di lei – e al tempo stesso di toccante intimità. Il padre è assente, non solo per il dato biografico della sua morte precoce quando Marguerite era ancora bambina, ma è assente dall’ordine simbolico nell’intera opera di Duras: un simbolico non strutturato intorno al nome del padre fa sì che, sotto il segno della madre, ogni congiunzione, ogni contaminazione sia possibile, rompendo tutti i confini e rendendo legittima ogni sorta di unione, al di là dei confini della convenienza, della razza e dell’età.

Alla passività femminile nell’Amante ho già accennato: qui, come in altri testi durassiani, come Moderato cantabile, essa si traduce nel ricevere violenza e nel ricavarne piacere. Qui forse anzi se ne scopre una della radici più profonde: in una famiglia intrisa di disperata violenza, la violenza diventa uno dei nomi dell’amore. A tale proposito, è particolarmente eloquente la scena della madre che picchia selvaggiamente la figlia sospettandola della relazione con l’amante cinese: dietro la parete, a spiare la scena, c’è il fratello maggiore, che vorrebbe che la ragazzina fosse picchiata fino a ucciderla; di nuovo un triangolo, stavolta chiuso nella cerchia familiare, una famiglia intrisa a tal punto di selvaggia violenza che quest’ultima sconfina nell’amore.

Infine, vorrei fare riferimento, per accennare all’ultima fase della produzione durassiana, al racconto La malattia della morte. L’incommensurabilità assoluta fra i due sessi giunge qui al massimo grado, anche per un motivo biografico intervenuto nel frattempo nella vita di Marguerite: la sua relazione con Yann Andréa, giovane omosessuale. L’asimmetria assoluta fra i sessi, già evidente nell’Amante, qui si nutre, oltre che della differenza d’età – Duras vecchia, Yann Andréa giovane –, anche dell’impossibilità di consumare la relazione sessuale fra loro a causa dell’omosessualità di lui. Questo vale almeno in linea generale, perché nel racconto quest’impossibilità non è assoluta, dal momento che a un certo punto lei dice: “Prendetemi perché ciò sia fatto. Voi lo fate, prendete. E’ fatto”.[18]

L’inconciliabilità fra i sessi, la loro radicale asimmetria brilla in questo racconto come il centro intorno a cui ruota la scarna vicenda: un uomo paga una donna per alcune notti affinché lei sia a sua completa disposizione, per poter abituarsi a lei, al corpo femminile, lui che non è mai stato con una donna. Le notti bianche che caratterizzano questa strana relazione, questo non rapporto, enfatizzano il patetico dell’amore: il tentativo di fare uno da due quali si è, irriducibilmente, ciascuno murato nella propria solitudine. Il rapporto fra gli amanti arriva qui fino a un punto di non ritorno, fino all’impossibilità di amare. Ha visto bene Maurice Blanchot, quando, commentando questo racconto nella Comunità degli amanti, ha posto al centro l’asimmetria che segna la non reciprocità del rapporto fra me e l’altro, contro la logica dell’omogeneo e del medesimo: l’amore attrae nell’eterogeneità assoluta, nell’estraneità, escludendo sia la reciprocità sia la fusione.[19] La comunità degli amanti che non possono fondersi in uno ci mostra la nostra comune solitudine, mostra che ciò che abbiamo in comune è l’essere soli, è ciò che non è in alcun modo condivisibile. Blanchot a dire il vero ha reagito piuttosto negativamente ad altri aspetti del racconto, sia a un certo privilegio del femminile, a un’eccellenza femminile che nel testo traspare – lei è la sola a sapere che lui è affetto dalla malattia della morte, cioè dall’incapacità di amare –, sia dall’imperiosità della voce narrante, che intima, ordina, comanda.

Vorrei riprendere in relazione a questo racconto i tre fili conduttori, già evocati in precedenza, del tessuto simbolico dell’eterosessualità: il primo, come ho già detto, è l’eterogeneità assoluta degli amanti, spinta qui fino all’impossibilità di amare. Il secondo elemento è il triangolo: l’imperiosità della voce narrante, che ordina a lui cosa fare, come vedere – un’imperiosità che ha tanto irritato Blanchot – ha a che fare con la costruzione di un triangolo. Qui non c’è un terzo oltre ai due amanti uniti dall’impossibilità di amare, ma il vertice del triangolo è occupato dalla voce che comanda, descrive, intima, rivolgendosi sempre col “voi” di cortesia all’uomo. Il vertice del triangolo è occupato dalla voce narrativa, dallo sguardo che vede e che ordina la scena, la successione delle notti, il contratto delle notti bianche: è la voce, la scrittura di Marguerite Duras stessa; è lei qui al vertice del triangolo. Ricordo che per Duras l’amore si fa in tre, i due amanti e un occhio che guarda.

Infine il terzo elemento, già rintracciato negli altri testi, è la passività femminile: “Voi dite che lei dovrebbe tacere come le donne dei suoi progenitori, piegarsi completamente a voi, al vostro volere, esservi totalmente soggetta come le contadine nei fienili dopo la mietitura quando sfinite lasciano venire a sé gli uomini, dormendo – e questo perché voi possiate abituarvi a poco a poco a questa forma come le religiose sono alla mercé di Dio”.[20] Si tratta di una passività ricondotta alla posizione femminile tradizionale, patriarcale, a una condizione di oppressione e d’inferiorità, con l’uomo al posto di Dio. D’altra parte, come nel testo si sottolinea altrove, questa passività e questa debolezza femminile non sono affatto prive di forza: c’è una “potenza infernale, (un’) abominevole fragilità (della debolezza), (una) forza invincibile della debolezza senza uguale”.[21]  Il corpo femminile, bello e fragile, che “chiama il delitto”,[22] la violenza, lo stupro,[23] è protetto proprio da “questa debolezza estrema che si potrebbe schiacciare con un gesto”, da “questa regalità”.[24] Blanchot non a caso ha evocato, a proposito di questi passaggi del testo, il pensiero di Lévinas, per il quale proprio la fragilità dell’altro, la sua esposizione e la sua nudità inerme suscitano un’infinita responsabilità nei suoi confronti:[25] solo che qui, a differenza che in Lévinas, non è un altro generico a essere in gioco, ma è proprio un’altra, l’altra segnata dalla differenza sessuale, un’altra enigmatica, inafferrabile, che resta invisibile anche se è esposta allo sguardo di colui che la paga per poterla avere a disposizione, ma senza riuscire veramente a vederla.

Chiudo su quest’amore che giunge fino all’impossibilità di amare e che tuttavia, secondo Duras, è ancora un nome dell’amore. Nel testo, c’è un’immagine molto bella che parla di “come il sentimento d’amore potrebbe sopravvenire. (…) Forse da una frattura improvvisa nella logica dell’universo. (…) Per esempio da un errore. (…) Mai dalla volontà. (…) Da tutto, da un volo d’uccello notturno, da un sonno, da un sognar di dormire, dall’avvicinarsi della morte, da una parola, da un delitto, da sé, da se stessi, spesso senza sapere come”.[26] E, “con quella differenza profonda che separa (l’uomo) da lei”,[27] con l’incommensurabilità dei sessi che delinea il tessuto simbolico dell’eterosessualità, lei resta sempre per l’uomo la “più misteriosa di tutte le evidenze esteriori”[28]. Come l’amore possa sopravvenire, a partire da quest’asimmetria così radicale, solo delle parole poetiche come quelle di Duras possono suggerirlo. Conviene fermarsi sulla soglia di questo mistero.

 
NOTE
[1] Cfr. Carla Lonzi, La donna clitoridea e la donna vaginale, in Sputiamo su Hegel, Rivolta femminile, Milano 1977.

[2] Una considerazione analoga è stata già fatta da Ida Dominijanni, L’impronta indecidibile, in Diotima, L’ombra della madre, Liguori, Napoli 2007, pp. 177-196.

[3] Cfr. Luce Irigaray, Etica della differenza sessuale, tr. it. di Luisa Muraro e Antonella Leoni, Feltrinelli, Milano 1985.

[4] Cfr. Ida Dominijanni, Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi, Ediesse, Roma 2014.

[5] Leopoldina Pallotta Della Torre, Marguerite Duras. La passione sospesa, intervista a Marguerite Duras, La Tartaruga, Milano 1989, p. 59.

[6] Ibidem.

[7] Ivi, p. 107.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] Marguerite Duras, La vita materiale, tr. it. di Laura Guarino, Feltrinelli, Milano 1989, p. 43.

[11] Ivi, pp. 47-48.

[12] Cfr. Nori Fornasier, Marguerite Duras. Un’arte della povertà, Ets, Pisa 2001.

[13] Cfr. Marguerite Duras, Il rapimento di Lol V. Stein, tr. it. di  Claudia Lusignoli, Feltrinelli, Milano 1989. Su questo e su altri romanzi durassiani, in particolare sulla malinconia da cui spesso sono affette le protagoniste femminili di Duras, cfr. il mio La scrittura del deserto. Malinconia e creatività femminile, Liguori, Napoli 2004, pp. 22-28.

[14] Cfr. Diotima, Mettere al mondo il mondo. Oggetto e oggettività alla luce della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1990, in particolare il saggio di Luisa Muraro, La nostra comune capacità d’infinito, pp. 61-76.

[15] Cfr. M. Duras, Il rapimento di Lol V. Stein, cit., p. 37: “(…) se Lol è silenziosa nella vita, è perché ha creduto, per la durata d’un lampo, che tale parola poteva esistere. Non esiste, e lei tace. Sarebbe stata una parola-assenza, una parola-vuoto, con un vuoto scavato nel centro, quel vuoto avrebbe inghiottito tutte le altre parole. (…) Mancando, quella parola rende vane tutte le altre, le contamina, è come il cane morto sulla spiaggia, a mezzogiorno, quel vuoto di carne”.

[16] Cfr. Marguerite Duras, Moderato cantabile, Minuit, Paris 1958, ed Ead., L’uomo seduto nel corridoio, in Testi segreti, tr. it. di Laura Guarino, Feltrinelli, Milano 1997.

[17] Cfr. Marguerite Duras, L’amante, tr. it. di Leonella Prato Caruso, Feltrinelli, Milano 1985.

[18] Marguerite Duras, La malattia della morte, in Testi segreti, cit., p. 66.

[19] Cfr. Maurice Blanchot, La comunità egli amanti, in La comunità inconfessabile, tr. it. di Mario Antomelli, Feltrinelli, Milano 1984, pp. 45-84.

[20] M. Duras, La malattia della morte, cit., p. 45.

[21] Ivi, p. 55.

[22] Ivi, p. 58.

[23] Cfr. ivi, p. 50.

[24] Ivi, p. 58.

[25] Cfr. Emmanuel Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, tr. it. di Adriano Dell’Asta, Jaca Book, Milano 1977.

[26] M. Duras, La malattia della morte, cit., p. 66.

[27] Ivi, p. 61.

[28] Ivi, p. 49.