diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 7 - 2008

Tesi di Laurea

Il corpo di Diotima ovvero La passione filosofica femminile e la libertà femminile

*Università di Macerata, Tesi di Dottorato in Filosofia e Teoria delle Scienze Umane 2006/7. Abstract della ricerca

 

La cornice e la titolazione

La cornice storico-filosofica della ricerca è la contemporaneità anche perché la differenza sessuale è, di fatto, come scrive Laura Boella, una “contraddizione contemporanea”[1], quasi esplodente ed esplosiva, che dal presente permette, però, uno sguardo non indifferente sul passato stesso “con occhi nuovi finalmente sgombri dal peso della tradizione”[2] e apre la possibilità futura al mondo intero di ripensare la continua propria rinascita per una convivialità eticamente e politicamente agibile non solo tra uomini e donne, ma tra le tante, contigue e simultanee differenze. Il disegno, che tale sguardo rende e delinea, è relativo, soprattutto, al senso dell’intermittenza femminile nella cultura occidentale e alla sua particolare cifra di invisibilità/visibilità, mostrando costrutti e ideazioni di inclusione/esclusione, oggettivati e chiusi, invece, per presunta naturalità.

L’immagine della sacerdotessa di Mantinea, Diotima[3], è posta così quasi a icona di tutta una condizione, anche storica, di presenza assenza e permette, in un certo senso, al pensiero femminile di dare corpo alle proprie ragioni come autonomo punto di vista sul mondo. Nel Simposio di Platone, Diotima, infatti, non ha corpo e non può partecipare al convivio, da cui le donne, come nella polis, insieme agli stranieri e agli schiavi, erano naturalmente escluse, ma, tramite il personaggio Socrate, il suo nome viene evocato e così il femminile, pur indirettamente, entra nel discorso filosofico (quello ufficiale della tradizione occidentale).

Emblematicamente Diotima può porsi, allora, a sintesi evidente di una presenza che c’è stata, alla lettera, sempre fuori luogo e, in più, con la sua parola indiretta è, in fondo, più visibile e possibile rintracciare il rintracciabile esistente, anche come tracce di un’altra genealogia culturale: la sapienza della voce di Saffo, il volto delle sophè e di tutte quelle tacite muse su cui l’ombra ambigua della Pizia si staglia o anche le armonie della stessa suonatrice di flauto che proprio “nel celebre dialogo di Platone (…), viene allontanata su proposta di Erissimaco per consentire ai convenuti di fare i loro elogi sull’Amore”[4].

Ecco, forse, sull’amore la parola femminile è sentita qui necessaria e ascoltabile per quanto parola maestra[5] e c’è bisogno, allora, di riferire il pensiero di una donna, certo di una particolare donna che è, infatti, “amica [ma] di terre lontane”[6] e così, di conseguenza, manifesta il suo essere sapiente da qualche altra parte. Si tratta, però, di una parola femminile quasi vanificata in sè nell’inesistente, tutta trasfigurata com’è dall’intento platonico nel clima stesso del Dialogo.

C’è una presenza femminile, in effetti, come quella di Diotima, che è da sempre assenza e che segna, parimenti, il valore di sé nell’altrove di una sua presenza altra[7], che si fa solo intra-udire[8]. E, seguendone il profilo storicamente, poi, la si trova trascesa nell’esperienza religiosa medievale, che ha nel ventre di Maria una misura gloriosa, di cui, tutta una certa esperienza mistica femminile[9] (se) ne fa paradigma e forza liberatrice per essere, pur nella condanna. Come, infine, risulta annunciata e reclamata nei diritti umani della modernità, che sembra nominare universalmente e offrire a tutta la cittadinanza politica, non nominando, però, le donne e anche, fuor di metafora, eliminandone le teste pensanti come è stato, proprio fisicamente, per Olympe de Gouges[10].

E’, comunque, nel Novecento[11] e, in particolare, nel secondo Novecento, grazie anche al Movimento politico delle donne[12], che le donne stesse, come soggetto autonomo, hanno reso evidente e vivente questo (proprio) corpo pensante, quello di Diotima[13] appunto, da cui oggi non si può più prescindere: certo il passaggio alla visibilità, non di per sé obbligato, segnala anche tutta la passione patita dal genere femminile[14] e di questo la filosofia ne deve trovare significazione. Le ragioni della passione poi sono anche quelle della stessa libertà femminile[15] che per essere e per agire pone il principio della nascita sessuata come luogo di significazione originaria e si avvale non tanto (o non solo) di un effetto emancipatorio o paritario, ma, soprattutto, di una sorta di riconoscimento dell’essere in sé e per sé nel valore dell’altro e dell’altra, coniugati e assunti per la loro differenza primaria e sostanza relazionale. Qui è possibile, allora, parlare di ricerca della libertà femminile per una rifondazione dell’essere nella sua portata universale non più delimitata e chiusa in una presunta neutrale unicità, volta invece a una comune unità vivente anche nell’assunto di una valenza politica, eticamente agibile.

 

  1. La questione e l’intento

L’oggetto della ricerca è essenzialmente la messa in gioco del femminile in filosofia e, soprattutto, per come si è posto nella modernità filosofica, anche per il fatto che ancora non è (forse, significativamente) una problematica filosofica ben definita e delimitata, anzi, scrive Rosi Braidotti, “dimora in uno stato teorico (…) amorfo e indistinto”[16], ovviamente tra i “professionisti della filosofia”[17]. L’obiettivo è, quindi, anche quello di mostrare la valenza filosofica del contributo, in tale direzione e situazione, offerto dal dibattito apertosi e vissuto nell’ambito del femminismo italiano[18], nei propri luoghi deputati e riconosciuti come tali, dove la teoreticità di analisi e di posizioni si è nutrita della pratica politica del partire-da-sé e della ricerca culturale in-prima-persona, tanto da riuscire così a segnare di sé il panorama del pensiero femminile europeo e occidentale.

Il tutto in un intento volto a cercare di produrre un’organica visuale, filosofica e politica, del pensiero femminile (e il più completa possibile, pur nella variegata e spesso frammentaria testimonianza e documentazione esistente e ancora -forse necessariamente- non sistematizzata) del dibattito e dei contributi espressi e ritenuti cardine dalle svolte e dai momenti critici vissuti, sofferti ed elaborati nel Movimento stesso. E anche per far sì che questa sia un’occasione per approfondire la portata della cultura politica di genere, grazie proprio alla stessa libertà femminile e di quella pratica del desiderio che, partendo dal vissuto della differenza originaria di genere, alimenti il valore delle differenze in un universo, non solo dicibile come pluriverso, ma vivibile in quanto reale ambiente relazionale.

Non si tratta, comunque, né di una disanima rivendicativa né di una sorta di rassegna, ma, anzi, proprio ponendo al centro della riflessione critica la peculiarità di genere dell’etica della differenza sessuale, è possibile cogliere le ragioni della presenza assenza delle donne in filosofia (e, così, di fatto, nella complessità della civiltà occidentale) e il senso culturale, oltre che politico, della stessa invisibilità/visibilità femminile, in una prospettiva ermeneutica capace di prefigurare e orientare, appunto, fattibili esiti filosofico-politici.

La possibilità stessa di enunciare questo nuovo problema è significativa in sé in quanto epifenomeno: evidenzia soprattutto la notevole coincidenza storica (…) come l’intersezione di due fenomeni paralleli: da un lato, la rinascita negli ultimi trent’anni, di lotte delle donne in ambiti sociali, politici, privati e teoretici che hanno sollevato un insieme di problemi e analisi di ruolo, il vissuto e l’esistenza delle donne. Mi riferirò a questo insieme eterogeneo e polimorfo di interrogativi aperti come riflessione femminista o pensiero femminista. Dall’altro lato, la crisi della ratio classica, una rottura interna all’ordine discorsivo occidentale. Questa crisi, che ha profondi legami con le condizioni socio-economiche della società capitalistica avanzata, ha rimesso radicalmente in questione non solo le strutture epistemologiche del soggetto razionale, ma anche il suo ruolo di guardiano della trasmissione del discorso[19]

 

Nella prospettiva della formazione di una memoria di genere[20] che conservi il legame con l’esperienza femminile ma sappia sorpassare l’empiria o meglio farla lievitare, riconoscendone la centralità dell’intellettualità femminile nel suo ruolo e nella sua funzione di rilievo e di differenza, è possibile affrontare la stessa mobilità generazionale per evitare il rischio di ritrovarsi sempre all’anno zero. Tale questione è il cuore del tema in ricerca: coinvolge il futuro, passando attraverso a un nodo teorico ancora irrisolto nel presente, non tanto (o non solo) su come rappresentare e (far) esprimere la differenza sessuale, ma su come riuscire a coniugare il bisogno (e anche il desiderio di una soggettività ormai manifesta) di riconoscimento e di trasmissione con quello di crescita potenziale e di esplorazione innovativa per una presenza, propositiva e autonoma, nella filosofia contemporanea del pensiero sessuato.

Le pratiche (educative) pensate e attuate nell’orizzonte della differenza sessuale si sono rivelate -scrive Anna Maria Piussi- produttrici di un nuovo ordine simbolico, ma anche di un nuovo ordine di realtà. Si sono prodotte modificazioni della realtà materiale e sociale senza particolari interventi politico-istituzionali e al di fuori di logiche di rivendicazione di diritti, di contrattazione di poteri, di richieste di riforme. Si sono dati spostamenti di poteri, di saperi, di desideri, che traducono oggi visibilmente una libertà femminile in movimento e che costituiscono punti di riferimento riconoscibili per un nuovo governo del mondo della formazione e della trasmissione culturale[21]

 

Sulla rappresentazione simbolica è giocata questa scommessa filosofica che implica o meglio chiama in causa anche l’attraversamento critico della cultura occidentale, ma non chiude nè risolve, tutta qui, la sua capacità propulsiva. La necessità, infatti, di dover attraversare per esserci, come evidenzia Adriana Cavarero, segnalerebbe, ancora una volta, un difetto di riconoscimento-di-sé-e-dell’altro perché implica e presuppone, di fatto, la debolezza ulteriore di un soggetto che, pur nella critica consapevole, si rimanda, quasi, per poter essere, all’idea di un “valore neutro-oggettivo del sapere”[22]. Ciò non può essere assolutamente ridotto a un punto di vista o a una presunta aggiunta o appendice, bensì deve far emergere forte il senso della necessità di un fondamento teorico proprio, di un pensiero-di-sé che abbia “sé come origine e fine del suo pensarsi”[23].

Il soggetto femminile emerge non perché scovato in “anfratti silenti”[24], dove non c’è dubbio abbia, comunque, saputo mantenersi e resistere, conservandosi, nonostante (o grazie) l’invisibilità[25], ma per la propria forza di pensarsi a-partire-da-sé. L’autorappresentazione simbolica ne diventa il perno che può farsi simbolico quadro di riferimento, rivelandosi come una sorta di “trascendentale di ogni investigazione intorno alla donna”[26].

 

  1. Le rilevanze e le problematiche

L’approccio. Il metodo, come modalità di analisi assunta, non può essere di fatto disgiunto dal contenuto, perché, mai come in questo caso, ne è parte integrante e, anzi, se ne alimenta continuamente in quanto sostanza del pensiero femminile stesso che, nel costituirsi e nel delineare la propria mappa cognitiva, sa che non coincide batesonianamente col territorio[27] noto, perchè non prevista nella sedimentazione paradigmatica della tradizione patriarcale. L’appello alla pratica pensante delle donne e al loro vissuto[28] riesce, tra l’altro, a far emergere proficuamente anche quell’istanza politico-culturale che è data dalla cosiddetta posizione marginale del confine, di limes nel suo carattere fenomenologico, in quanto vero “ologramma [che] contiene e fa leggere tutto il reale”[29]. D’altronde, è proprio una questione epistemologica, perché, come scrive Edgar Morin, “conoscere l’umano non significa separarlo dall’universo, ma situarvelo[30], fuori da ogni ideologia, cogliendone il radicamento con annessi e connessi, innesti e contesti, ma quando l’umano è il femminile, l’urgenza ermeneutica di tale lettura si lega ulteriormente alla prassi, maturata e patita dal soggetto femminile stesso, nell’ambito della cultura occidentale. Trovare così il punto d’Archimede[31], di cui parla Hannah Arendt, permette un avvistamento reale, oltre che ideale, per un posizionamento che solleva, svela e mostra, allora, quell’invisibile femminile in tutta la sua visibilità.

La soggettività. Il pensiero della differenza sessuale, come politica di dotazione e donazione di senso, in quanto rivoluzione simbolica, ritaglia e riordina, nominabile e leggibile, la forma della sua stessa soggettività, quella di un soggetto femminile che dal (suo) presente apprende il passato delle donne e ne esce visibilmente nuovo. Centrale è, allora, cogliere questa presa di coscienza-di-sè e del suo differire nel porsi e nel divenire soggetto donna, tenendo saldo il presupposto che la stessa differenza sessuale ne è orizzonte e contesto di significato, non essendo una semplice o strumentale denominazione, ma soprattutto un far vivere, in prima persona, dal punto di vista del genere, l’idea stessa di una verità intersoggettiva, che mette in gioco la presunta neutralità del soggetto stesso e anche, per dirla con Luisa Muraro[32], quella dicibilità del desiderio, di cui la libertà femminile ne è segno e locuzione. Si tratta di travalicare quel confinamento soggettivistico, in cui spesso si è reclusi/e e limitati/e, per farne una sapienziale valenza etica, assumibile dall’agire soggettivo ed esperienziale nella propria dimensione privata/pubblica con la costante misura-di-sè. E, come raccomanda Luce Irigaray, ciò significa far perno su quell’apertura al mondo che radica la conoscenza nella realtà concreta del sé, mettendo così il mondo al mondo[33]. Questo permetterebbe una sorta di fenomenologia del corpo sessuato, un’elaborazione affettiva e rappresentativa del proprio corpo che, sempre secondo Luce Irigaray, “tende anche a invitare il soggetto maschile a definirsi egli stesso come corpo in vista di scambi tra soggetti sessuati”[34], perché è impensabile che gli umani diventino l’Uomo per definizione decorporeizzato. Ma quest’Uomo[35] nella filosofia (e non solo) è diventato il soggetto neutro/universale che “da un lato, vale per genere umano a prescindere dal corpo e perciò dalla sessuazione, ma d’altro lato, -evidenzia Adriana Cavarero- vale per quel sesso maschile che il genere grammaticale annuncia, perché la lingua evidentemente non sopporta troppa irrealtà e svela il corpo sessuato di chi si è fatto suo padrone”[36]. Il soggetto femminile emerso, allora, scopre e libera così la singolarità concreta degli esseri umani, uomini e donne, dalle catene del concetto di Uomo e ogni singolarità può riconoscere il suo radicamento, che ha nella nascita da corpo femminile il suo essere al mondo e in sé, grazie a tale sguardo, la propria interrelata soggettività in carne e ossa.

Il simbolico. C’è sempre un preciso legame tra produzione simbolica[37] e ordine dominante e, nello specifico, storicamente, con il regime patriarcale non c’è rappresentazione di un pensiero libero femminile. L’analisi percorre la strada del darsi ordine in proprio nel tessere e guidare i fili di senso che fa della persona umana quel testo simbolico nel con-textum[38] di appartenenza. E’ quasi una sorta di ri-appropriazione del peso specifico qualitativo dell’essere femminile originario. Questa origine ha un nome per tutti/e, ha una sua precipua figura che è quella, appunto, della madre: quella madre naturale che si fa simbolica e raccoglie in sé verità e giustizia. La madre rappresenta simbolicamente la mediazione sessuata che mette in rapporto col mondo, aprendo il circuito vitale per eccellenza. E’ necessario, per il pensiero della differenza sessuale, fare traduzione simbolica perché nell’ordine sociale maschile nascere donna “non ha destino personale”[39], ma solo ruolizzato e l’apprendimento della funzione materna resta rinchiuso nella sola necessità naturale (verginità, maternità, prostituzione, etc), non aprendo affatto alla libertà femminile. Nella relazione con l’altra donna è, invece, possibile costruire e ricostruire spazio, dandosi autonomia nel riconoscimento sia della disparità femminile (le donne non sono tutte uguali) sia nell’affidamento (le donne scelgono le donne) attraverso anche la pratica dell’autorevolezza reciproca esercitata come significanza di sé e del sesso di appartenenza. La madre simbolica[40] può così costituire quella potenza simbolica, riconsegnando alla figura materna dell’origine la sua collocazione genealogica fondamentale nell’universo femminile. Se, come è vero, poi, attraverso la ricerca filosofica è sempre possibile guadagnarsi l’indipendenza simbolica, per le donne ciò avviene al caro prezzo del distaccamento materno, quasi un dislocamento irreversibile da abbandono solitario e spezzato, spesso disperato per rinuncia di sé e per mimetismo continuo, nonostante, invece, il bisogno filosofico stesso rimandi, comunque, al principio, proprio nel senso originario dell’essere. Ecco, allora, che la mediazione femminile diventa la conditio sine qua non per nominarsi ed essere, oltre gli stereotipi della cosiddetta economia binaria tra corpo e pensiero, tra femminile e maschile, in quanto “capace -scrive Adriana Cavarero- di destrutturare l’ordine simbolico patriarcale e di strutturare un ordine simbolico femminile nel quale la significazione si genera nel suo rapporto con l’altra.”[41]

La libertà. C’è un principio che può essere nominato principio della libertà femminile[42] e sta, non nella semplice qualifica[43] della libertà umana, ma essenzialmente nella pensabilità della differenza sessuale per sé e in sé, in quanto pensabilità istituente il se stesso di un’esperienza altra da quella (maschile) dominante: la pensabilità del mondo secondo un’esperienza differente, la propria e, forse, così veramente di ognuno/a. L’affermarsi e il praticarsi di questo principio ne fa un fatto distintivo e, soprattutto, istitutivo di forza politica e di sapere scientifico, maturandone un guadagno o meglio un dono di esistenza per la stessa libertà sociale. E’ nella relazione tra donne, assunta con una precipua valenza politica, che si gioca la differenza sessuale, quella differenza irriducibile che “non cessa mai di essere un significante inesauribile” (Sottosopra, rosso)[44]. Ciò ha aperto il contesto della cosiddetta fine del patriarcato che certo è accaduto non per caso, come affermano perentoriamente i titoli di due numeri speciali di Sottosopra, negli anni 80, segnando la riflessione di senso del pensiero e della politica delle donne. E’ il tramonto della complicità femminile al dominio maschile e la nascita evidente del desiderio femminile. Uscite dal bisogno e dalla necessità rispetto al controllo maschile, partendo proprio dal corpo fecondo femminile, la libertà ne esce foriera di sé rompendo l’incanto (o incantesimo?) di una presunta condizione naturalmente oggettiva. La rottura, soprattutto, della complicità femminile al dominio della forza dirompente del maschile ha delineato il nuovo possibile paesaggio della libertà femminile. Ne emerge la forza dell’amore che insegna ancora e sempre che bisogna essere in due e relazionarsi non come possesso ma come libertà. Insomma, non è più la condizione di oppressa a dare identità alle donne e non è più quella maschile, mascherata da neutro, la loro misura: “da destini pre-scritti, le vite femminili sono diventate imprese sempre più autonome e sempre più misurate sul proprio e non sull’altro sesso”[45]. Tale sguardo apre orizzonti di fattivo lavoro politico che è quello sia del possibile incontro con la differenza maschile, che scarta l’unica coincidenza per essere sé con l’identità patriarcale, sia della presa in consegna della crisi della politica planetaria e del cambiamento di cui non si può non essere investiti come uomini e come donne. C’è, allora, un altrove dell’agire politico che può rianimare l’impegno dell’essere umano alla responsabilità e alla partecipazione progettuale, partendo dal nutrimento della propria sostanza di genere umano femminile e maschile. Niente è astratto e niente rimane fuori dalla sfera pubblica e dalla trasformazione di sé e l’esercizio continuo tra sé e l’altro/a rende agibile la possibilità relazionale della politica, presente e futura. La creatività, libera e liberata, è d’uopo così per forme e modalità, rintracciabili e praticabili.

Le problematiche che rimangono aperte (anche nell’ambito della stessa presente ricerca che qui chiude il cerchio relativo all’approccio indicato e praticato) sono, in un certo senso, riassumibili nel cosiddetto “realismo femminile” di cui parlano, per esempio, Adriana Cavarero[46] e Laura Boella[47]. Nel senso che dal luogo della nascita, che permette non solo di uscire dalla sindrome di morte, come già Hannah Arendt rovescia rispetto alla deriva della filosofia occidentale, appare, in effetti, in tutta la sua ineluttabilità, “la soglia fra il dato irriducibile e pieno del ciascuno -in quanto vivente singolare- e il mondo da cui questa singolarità viene e si staglia”[48]. Si apre così il problema di una “politica relativizzata da un radicamento che sta fuori di essa, il problema della nascita e della morte come vicenda del rapporto (…) tra singolarità e vita infinita”[49], ma la nascita, in quanto sempre nascita da una madre, pone la concretezza del qui e ora al pensiero (non solo) femminile che non vuole affatto disincarnarsi né chiudersi in un sofferto, per quanto indotto, destino.

Inoltre, il principio della libertà femminile, trasmettendo quel carattere simbolico al desiderio del soggetto femminile, diventa e inventa l’occasione dell’autenticità dell’agire politico, perché produce modificazioni di fatto, così imprevisto (com’è). Non è una questione, infatti, di semplice “essenzialismo biologico o metafisico -come scrive anche Teresa de Lauretis- ma di una formulazione consapevolmente politica, materialista della differenza specifica in una particolare situazione sociale e storica”[50]. Qui si apre, allora, l’opportunità e il campo alla messa in atto di pratiche paradigmatiche, relazionali e agite in prospettive politiche auspicabili, tutte da sondare nell’ipotesi della pluralità delle differenze, partendo ovviamente dalla messa in discussione di quella propria, primaria e sessuata.

 

 

 

[1]              Laura Boella, La non-contemporaneità, in “aut-aut”, n. 271-272, Firenze 1996, p. 12 e cfr., inoltre, il celebre incipit di Luce Irigaray alle sue lezioni tenute presso l’Università Erasmus di Rotterdam nell’ambito della cattedra Jan Tinberg, nel secondo semestre del 1982, quando afferma: “La differenza sessuale rappresenta uno dei problemi o il problema che la nostra epoca ha da pensare. Ogni epoca -secondo Heidegger- ha una cosa da pensare. Una soltanto. La differenza sessuale, probabilmente, è quella del nostro tempo” in Luce Irigaray, Etica della differenza sessuale, (trad. di Luisa Muraro e Antonella Leoni), Feltrinelli, Milano 1985, p. 11.

[2]              Wanda Tommasi, Di madre in figlia, in Diotima, Approfittare dell’assenza. Punti di avvistamento sulla tradizione, Liguori, Napoli 2002, p. 13.

[3]              Cfr. tra le diverse e significative analisi, svolte attorno alla figura di Diotima, Luisa Muraro, La maestra di Socrate e mia, in Diotima, Approfittare dell’assenza, cit., pp. 27-43 e il grande classico di Marìa  Zambrano, La tomba di Antigone. Diotima di Mantinea, La Tartaruga, Milano 2001, pp. 133-153.

[4]              Ida Travi, Diotima e la suonatrice di flauto, La Tartaruga, Milano 2004, p. 25.

[5]              “Socrate invitato a parlare, non parla per sé, ma espone il pensiero di una donna che chiama sua maestra (…)”, ivi, p. 26.

[6]              Ibidem.

[7]              “E Diotima? Mentre gli invitati riflettono sul suo pensiero…lei dov’è, a quell’ora? -si chiede Ida Travi sulla scia di Maria Zambrano- I fatti che accadono fuori dalla casa di Agatone costituiscono la (…) storia (…), quasi a colmare un vuoto”, ibidem e, in effetti, immaginabile, come fa l’autrice, è l’incontro fuori scena, tra queste due presenze femminili: certo la suonatrice, prevista in un certo modo con la sua fisicità anonima, perché “molto spesso i banchetti erano rallegrati dalla presenza di flautiste, giocolieri, cantanti…” ( ivi, p. 25) e Diotima, non prevista ma sapiente maestra di pensiero d’amore. “Per Diotima e per la suonatrice di flauto si tratta di un vero e proprio rientro in scena dove, senza alcun portavoce, ciascuna parla per sé”, ivi, p. 26, ma è la prova, pur letteraria, che il proprio femminile sé pensante si esplica in luoghi solo possibilmente svuotati. Sta qui forse la tragicità dell’atto, anche teatrale, del voler cercar di esistere integre, ma “per cominciare bisogna fare il vuoto (…), una specie di traforo -scrive nell’Introduzione Luisa Muraro- o straforo, extraforo (…). Le due, una presentata idealmente, l’altra espulsa fisicamente, incontrandosi nel movimento del loro dentro/fuori, realizzano lo straforo”, in Luisa Muraro, In versi e in prosa, introduzione a Ida Travi, cit., p. 22. E tutto ciò non è assolutamente segno di marginalità, ma di una certa possibile presenza. Anzi, l’ipotesi di questo incontro pone “una domanda nuova -sempre Luisa Muraro-, non rivolta verso la veneranda antichità, ma qui e ora, nell’andirivieni tra actuar e pensare: dov’è che le due s’incontrano? E che cosa significa esistenza non combattuta fra trascendenza ed esclusione?”, ivi, p. 23, (alcuni corsivi sono miei).

[8]              Marìa Zambrano, La tomba di Antigone. Diotima di Mantinea, cit., p. 135.

[9]              come, per esempio, l’esperienza delle beghine del tardo Medioevo e, tra queste, eccezionali figure sono Margherita Porete e Angela da Foligno; cfr. Luisa Muraro, Il Dio delle donne, Arnoldo Mondadori, Milano 2003.

[10]            pseudonimo di Marie Gouze (…) viene ghigliottinata il 3 novembre 1793 e, scrive Paule Marie Duhet:, “dopo che le fu interdetto ogni diritto politico (…) con la motivazione di cospiratrice…che aveva voluto essere un uomo di stato (Moniteur, 29 Brumaio Anno II)” in Cahiers de dòleances. Donne e Rivoluzione francese, La Luna/des femmes, Palermo 1989, p. 122 e “per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso e per essersi immischiata delle cose della Repubblica” in Giulio De Martino, Marina Bruzzese, Le filosofe. Le donne protagoniste nella storia del pensiero, Liguori, Napoli 2001, p. 183 e (…) durante la rivoluzione francese la sua attività intellettuale fu febbrile come testimonia la gran quantità di articoli, pamphlet, manifesti, opuscoli e discorsi per i clubs che ella scrisse in quel periodo. Secondo alcuni storici, Olympe fondò molte delle Società Fraterne di Ambo i Sessi, che sorsero in Francia tra il 1790 e il 1791”, ivi, p. 180.

[11]            Cfr., a proposito del 900 e le donne, l’incipit del testo di Alessandra Bocchetti ad apertura del programma del Centro Culturale Virginia Woolf, nel 1982, quando sottolinea che: “Le donne sono le abitatrici del ‘900 da tempo immemorabile. E’ nel ‘900 infatti che un soggetto plurale, contraddittorio, si sostituisce al soggetto pieno e coerente della Ragione classica nella storia del pensiero (…). Le donne (…) tra passione ed etica hanno sempre incarnato in loro stesse la crisi di una ragione che si voleva unica e senza corpo (…)” in Alessandra Bocchetti, L’indecente differenza, oggi, in Cosa vuole una donna, (Storia, politica, teoria. Scritti 1981/1995), La Tartaruga, Milano 1995, p. 23 e, inoltre, per quanto riguarda alcune delle figure femminili significative e determinanti nel 900 per il pensiero femminile, cfr. di Virginia Woolf (1882-1941), Una stanza tutta per sé, (1929) e Le tre ghinee, (1938) e Simone de Beauvoir (1908-1986), Il secondo sesso, (1949) fino a Luce Irigaray (1930) che, nel 1974, scrive Speculum; cfr., inoltre, per una visione completa delle pensatrici più autorevoli, lo stesso manuale di Giulio De Martino, Marina Bruzzese, Le filosofe, cit e, soprattutto, in relazione al dibattito filosofico sviluppatosi nel ‘900, cfr. il testo di Adriana Cavarero, Franco Restaino, Le filosofie femministe. Due secoli di battaglie teoriche e pratiche, Bruno Mondadori, Milano 2002 e anche l’opera storiografica e divulgativa di Georges Duby, Michelle Perrot, Storia delle donne, Laterza, Bari 1992 e, in particolare, il volume, Il Novecento e i capitoli: La disputa delal differenza: la differenza dei sessi e il problema delle donne in filosofia, a cura di Françoise Collin, pp. 307-343 e La costituzione del soggetto femminile: il femminismo negli anni ‘60/’70, a cura di Yasmine Ergas, pp. 564-593.

[12]            Vasta è ormai la pubblicistica sul Movimento delle Donne, grazie anche allo sviluppo recente dei Women’s Studies e attorno al femminismo esistenziale e politico fino all’attuale postfemminismo, da Carla Lonzi a Rosi Braidotti e così via, con particolare attenzione, in questo caso, a quello italiano, francese ed europeo, pur, nei contatti influenti e ravvicinati, con il carattere del femminismo angloamericano; per tener conto dell’arco temporale del dibattito, anche storiografico, tra le tante opere saggistiche, che tentano un’operazione di sintesi, cfr. Rosantonietta Scramaglia, Femminismo, Bibliografica, Milano 1997 e Eugenia Roccella, Dopo il femminismo, Ideazione, Roma 2001.

[13]            Non è un caso, quindi, che un gruppo di filosofe, di studiose “unite dall’amore della filosofia e dalla fedeltà a se stesse” (www.diotimafilosofe.it), a Verona, presso l’Università, danno vita, nel 1983, a una Comunità Filosofica Femminile col nome “Diotima” e su tale esperienza e feconda produzione filosofica la presente ricerca pone la maggiore attenzione; a questo proposito filosofico femminile fondativo, cfr. Adriana Cavarero, Diotima: la necessità del pensiero sessuato, in AA.VV., Le donne al Centro. Politica e cultura dei Centri delle donne negli anni ’80, Utopia, Roma 1988 e, ancora, Luisa Muraro, Chiara Zamboni, Diotima comunità, Diotima politica, Diotima maestra, in Diotima, Mettere al mondo il mondo. Oggetto e oggettività alla luce della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1990, pp. 189-214 .

[14]            Cfr., in particolare, Clarice Lispector, La passione secondo G.H., La rosa, Torino 1982; Lia Cigarini, La politica del desiderio, Pratiche, Parma 1995; Patrizia Magli, Il volto e l’anima. Fisionomica e passioni, RCS, Milano 1995; Elena Pulcini, L’individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale, Bollati Boringhieri, Torino 2001.

[15]            Cfr., tra le tante pubblicazioni, Libreria delle Donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg&Sellier, Torino 1987, anche, gli atti di un famoso convegno delle donne italiane, Centro Culturale Virginia Wolf-Gruppo B, (a cura di Franca Chiaromonte), Che cosa vuol dire libertà femminile?, CCVW Gruppo B, Roma 1989 e Ida Dominijanni (a cura di), Motivi della libertà, FrancoAngeli, Milano 2001.

[16]            Rosi Braidotti, Immagini del vuoto, in “DWF”, n. 16, Prova d’ascolto, Roma 1992, p. 29.

[17]            Ibidem.

[18]            In particolare, da Rivolta Femminile (di Carla Lonzi) di Milano (1970) alla Comunità Filosofica Femminile Diotima di Verona (1983), a cui si fa, nel presente studio, riferimento in modo privilegiato, per come riesce a porsi, tuttora, a fertile avamposto ideale del pensiero femminile, ma anche dalla Libreria delle Donne di Milano al Centro Culturale Virginia Woolf, Università delle Donne di Roma (1979) e così all’Associazione Orlando e alla Scuola di Politica Hannah Arendt del Centro di Documentazione delle Donne (1984) di Bologna (per citare i più significativi, anche se si è cercato di tener conto della variegata geografia politico-culturale dei Centri nati dal Movimento delle donne e sorti in Italia, nel secondo Novecento; cfr., a tale proposito, l’ormai storico e anche introvabile volume, Le donne al Centro. Politica e cultura dei Centri delle donne negli anni ’80, cit., prodotto dal Coordinamento dei Centri italiani, che dal 1985 aveva avviato una ricerca di ricognizione sul territorio italiano dei luoghi delle donne al fine di elaborare un progetto di massima per un Convegno, svoltosi, poi, a Siena dal 19 al 21 settembre 1986, alla presenza di circa 350 donne autorevoli per il Movimento delle donne o, comunque, riconosciute tali, di cui il volume ne è atto e felice testimonianza, oltre che ovviamente storica, anche dello stesso dibattito politico e del suo spessore filosofico). E, ancora, in riferimento altresì a tutta quella pubblicistica italiana, espressa da peculiari riviste delle donne, come le testate, anch’esse ormai storiche, “DWF” (DonnaWomanFemme) di Roma  (1978) e “Via dogana” di Milano, tuttora vivi e vivaci punti di riferimento nello scenario culturale femminile (e non solo italiano) e, inoltre, anche in riferimento alla produzione di quelle singole donne, avvertite come teste pensanti e operanti con la bussola della differenza sessuale nel panorama del pensiero femminile contemporaneo, offrendo contributi rilevanti e irrinunciabili, dentro e fuori le accademie istituzionalizzate.

[19]            Rosi Braidotti, Immagini del vuoto, cit., p. 29 (il corsivo è mio).

[20]            Cfr, in riferimento all’uso e al significato dello stesso termine genere, il volume, AA.VV., Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, (a cura di Simonetta Piccone Stella, Chiara Saraceno), Il Mulino, Bologna 1996.

[21]            Anna Maria Piussi, Stelle, pianeti, galassie, infinito, in Diotima, Mettere al mondo il mondo. Oggetto e oggettività alla luce della differenza sessuale, cit., p. 123 (il corsivo è mio) e ancora: “ (…) si è trattato di un agire femminile efficace, che (…) lega al presente il desiderio del di più da cui è mosso, sapendo valutare del presente i limiti e gli impedimenti che esso comporta, ma anche le potenzialità che tiene in serbo e, soprattutto, il positivo che la nostra esistenza sociale libera vi sta portando. E’ un modo di muoversi nel mondo creando mondo (…)”, ivi, pp. 123-124

[22]            Adriana Cavarero, Diotima: la necessità del pensiero sessuato, in Le donne al Centro. Politica e cultura dei Centri delle donne negli anni 80, cit., p. 66.

[23]            Ibidem.

[24]            Idem, p. 65.

[25]            Cfr. Chiara Zamboni, Tra visibile e invisibile, in “Per amore del mondo”, n.1 -è ormai primavera, rivista in rete nel sito www.diotimafilosofe.it, 2004 e anche Wanda Tommasi, Di madre in figlia, in Diotima, Approfittare dell’assenza. Punti di avvistamento sulla tradizione, Liguori, Napoli 2002, quando, per esempio, scrive: “Certo, nella storia, presenza di donne in realtà c’è stata sempre e, a tratti, essa si è inscritta nella tradizione, ma si è trattato di una presenza intermittente, come quella delle mistiche medievali, delle beghine, delle preziose (…)”, p. 15 (il corsivo è mio).

[26]              Adriana Cavarero, Diotima: la necessità del pensiero sessuato, in Le donne al Centro. Politica e cultura dei Centri delle donne negli anni 80, cit., p. 67, perché per essere (e questo vale per chiunque) c’è necessariamente bisogno di “autorappresentazione simbolica, affinché colei che si ricerca, conoscendo la sua immagine, possa trovarla e riconoscerla (…). Così il simbolico femminile, che è il contenuto e la forma di questo sapere, si rivela (…)”, p. 65 (il corsivo è mio); cfr. anche il numero monografico, Rappresentazione e autorappresentazione del femminile, Luna e l’altro, “DWF”, Roma 1981.

[27]            Cfr. Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1989: “La mappa non è il territorio (…). Ora, se il territorio fosse uniforme, nulla verrebbe riportato sulla mappa se non i suoi confini, che sono i punti ove la sua uniformità cessa di contro a una più vasta matrice. Ciò che si trasferisce sulla mappa, di fatto, è la differenza (…)”, pp. 465 e 468.

[28]            “Come avviene la propagazione di esperienze e di coscienza -si chiede, all’inizio degli anni Ottanta, Maria Luisa Boccia- tra le donne? Cosa abbiamo modificato noi, con la nostra esperienza anche nella vita delle altre? Come ci assumiamo gli effetti di ritorno indotti su di noi da un processo di cui spesso non controlliamo lo svolgersi? Domande che non possono non essere decisive per chi si affida alla parola scritta. Scrivere di diversità [tra donne] è, in questo senso, scegliere anche di provocarla, di praticarla”, Maria Luisa Boccia, Da un dialogo sulle diversità, in “Memoria”, n. 2, Piccole e grandi diversità, Roma 1981, p. 48, proprio per una preoccupazione metodologica legata al bisogno di comunicare e di trasferire attraverso modalità, pur mediate, ma aderenti ai “percorsi concreti in cui prende forma la peculiare pratica culturale [capace] di ridare non solo i prodotti (…), ma un procedimento e una riflessione su di esso, in modo che traspaiano tutte le sfumature di luce e non ne vengano taciute le zone d’ombra”, ivi, p. 47, tenendo anche così vigile l’attenzione sulla stessa diversità tra donne.

[29]            Lidia Menapace, Pacifismo o barbarie, in Fausto bertinotti, Lidia Menapace, Marco Revelli, Nonviolenza. Le ragioni del pacifismo, Fazi, Roma 2004, p. 78.

[30]            Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Cortina, Milano 2000, p. 34.

[31]            Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1991, p. 190.

[32]            Cfr., Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre, Ed. Riuniti, Roma 1991.

[33]            come il titolo, appunto, dell’ormai famoso testo di Diotima, Mettere al mondo il mondo, cit. e, ancora: “Non lasciare mai l’esperienza soggettiva in quanto elemento del sapere. Anche la teoria più trascendentale è radicata in qualcosa di soggettivo. La verità è sempre prodotta da qualcuno, qualcuna. Il che non significa che non contenga un’oggettività. (…) Ogni verità è parzialmente relativa. Una verità teorica che ci costringe ad abbandonare ogni riferimento soggettivo, è pericolosa” in Luce Irigaray, Una possibilità di vivere. Limiti al concetto di neutro e di universale nelle scienze e nei saperi, in Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1989, pp. 227-228.

[34]            Luce Irigaray, Io Tu Noi. Per una cultura della differenza, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 53.

[35]            Cfr. Luisa Muraro che nella presentazione della collana editoriale, Il pensiero della differenza, degli Editori Riuniti, inaugurata nel 1990, puntualizza: “(…) Questa quasi-collana privilegia la filosofia ma presa nel senso più antico ed enciclopedico della parola, di sapere che riporta ogni altro sapere all’Uomo, con la differenza che per noi l’Uomo non esiste. Esistono uomini e donne. Essa si rivolge alla gente più colta per darle aiuto, perché questa gente, più dell’altra, è portata a credere che la differenza di essere donne/uomini non conti in quello che fa la mente. Le bambine e i bambini, invece, sanno che i pensieri non li porta la cicogna”.

[36]            Adriana Cavarero, Dire la nascita, in Diotima, Mettere al mondo il mondo, cit., p. 115.

[37]            Per quanto riguarda il significante nella produzione dell’ordine simbolico, Il pensiero della differenza femminile (italiano) si è avvalso della lettura critica delle posizioni Jacques Lacan come negli scritti di Luisa Muraro, quali: Maglia o uncinetto, Feltrinelli, Milano 1981 e L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991.

[38]            Adriano Cavarero, Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma 1990, p.10.

[39]            Libreria delle Donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg&Sellier, Torino 1987, p. 155.

[40]            per un contributo critico e costruttivo al dibattito, specifico proprio del femminismo italiano, sulla madre simbolica, cfr. anche Angela Putino, Amiche mie isteriche, Cronopio, Napoli 1998

[41]            Adriana Cavarero, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in Adriana Cavarero, Franco restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 100.

[42]            Cfr. Centro Culturale Virginia Woolf-Gruppo B, Che cosa vuol dire la libertà femminile?, cit. e anche, Motivi della libertà, (a cura di Ida Dominijanni), cit.

[43]            L’aggettivo femminile assume essenzialmente il carattere di un denotativo di metodo e di posizionamento.

[44]            “Sottosopra” è, dal 1973, il foglio storico della Libreria delle Donne di Milano con una periodicità e una diffusione indefinite perché “esce solo quando c’è di che dire e discutere e arriva là dove la discussione si apre e i luoghi delle donne si formano anche spontaneamente e anche là dove una singola si dona al dire con le altre”, così Ida Dominijanni, L’epoca del desiderio a fine patriarcato, in “Il Manifesto”, giovedì 18 gennaio 1996, p. 22 e cfr. anche “Via dogana”, Oltre l’uguaglianza, n. 26-27, maggio 1996.

[45]            Ibidem.

[46]            Adriana Cavarero, Nonostante Platone, cit.

[47]            Laura Boella, Figure rubate alla filosofia, in “Reti”, Pratiche e saperi delle donne, n. 6, nov-dic 1990, pp. 27-29.

[48]            Adriana Cavarero, Nonostante Platone, cit., p. 120.

[49]            Laura Boella, Figure rubate alla filosofia, cit., p. 29.

[50]            Teresa de Lauretis, La pratica della differenza sessuale e il pensiero femminista in Italia, in “DWF”, Se tutte le donne, n. 15, Roma 1991, p. 37.