diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 13 - 2015

Visioni

Heloïse perfundet omnia luce. Un dono che giunge da Barcellona

 

Il libro appare come uno scrigno, per l’oro lucente dei caratteri del titolo impressi sull’astuccio bianco che lo contiene, Heloïse perfundet omnia luce, in un crescendo luminoso.

Esso si annuncia come un lavoro corale: sotto al titolo, sempre con lettere stampate in oro, appaiono come autrici Les Dones del Centre de Recerca Duoda de la Universidad de Barcelona.

Si creano dunque fin dall’inizio, prima ancora di aprire il testo, un riverbero, un passaggio immediato, tra il sapere e l’energia amorosa di Eloisa, che ci parlano da tanta lontananza, e le donne dell’Università di Barcellona, che nel presente le restituiscono esistenza e significato attraverso l’incontro con la ricerca visiva dell’artista Elena del Rivero, incentrata sulla figura di Eloisa.

Eloisa, come ricordano gli scritti contenuti nel testo, è vissuta in un secolo, il XII, di particolare libertà di pensiero, soprattutto per quello che riguarda le donne, è contemporanea della grande Ildegarda di Bingen, ed è un esempio di relazione feconda di scambio d’amore e di sapere tra un uomo e una donna rimasta fedele a se stessa.

Oggi le donne sono presenti nelle università, dove hanno portato, dopo secoli di damnatio memoriae, una cultura che non è separata dalla vita, radicata nel tessuto relazionale dell’esistenza.

Elena del Rivero è un’artista visiva che, come dice M. Milagros Rivera Garretas, nello scritto introduttivo, ha saputo cogliere il momento giusto, il kairos, per riportare questa figura di donna sapiente all’Università, attraverso un complesso e intenso lavoro visivo multimediale, dove ne incarna la presenza proprio in quello spazio, antica sede del sapere maschile.

L’elegante astuccio contiene due volumi: uno reca la traccia della performance di Elena del Rivero nei fotogrammi della ripresa video, dell’altro volume colpisce subito la grande cura con cui è stato costruito: il dorso rilegato a vista con filo di raso azzurro, le lettere dei capoversi messe in risalto da uno sfondo turchino, rosso scarlatto o color oro, che riecheggiano in chiave contemporanea, gli antichi incunaboli manoscritti e miniati. Esso racchiude un’opera collettiva, un incrocio di sguardi e di esperienze, di competenze, originate dal dialogo delle studiose e docenti di Duoda con Elena del Rivero.

Il volume è composto dagli scritti di Maria Milagros Rivera Garretas, Elisa Varela Rodriguez, Assumpta Bassas Vila, Marisé Clement López; sono presenti anche una poesia d’amore di Abelardo ad Eloisa e due incipit di due lettere di Eloisa ad Abelardo, e contiene la documentazione del lavoro visivo di Elena del Rivero: una installazione e una performance eseguita all’Università di Barcellona, i disegni preparatori per l’arazzo che è stato appeso sullo scalone dell’università, e alcuni fotogrammi del video di Marta Vergonyós e Anna Sanmartí, proiettato sull’arazzo stesso. Nel testo inoltre è documentato l’intervento musicale sul suono del tempo, che il musicista Llorenҫ Barber ha eseguito all’inaugurazione della performance e dell’installazione all’Università di Barcellona il 10 dicembre del 2009.

Io non ho assistito all’evento, ma grazie a questo testo posso coglierne lo spessore e la ricchezza di significati, e ritrovare il pensiero e la capacità di ascolto delle donne di Duoda.

Il fulcro attorno al quale ruota tutto il lavoro è il rapporto tra due culture diverse, – in un luogo, l’Università, di cui il potere maschile si era tradizionalmente impossessato,- e la convinzione della necessità che queste due culture dialoghino perché il mondo possa esserne trasformato.

L’apparizione di Eloisa, incarnata nell’artista Elena del Rivero, che scende regalmente lo scalone d’onore dell’antico ateneo, è la testimonianza di ciò che già sta accadendo grazie alla presenza, in quel luogo, delle donne e della loro cultura: e niente sarà più come prima.

Eloisa incede luminosa, i suoi piedi nudi toccano con gentilezza i gradini di pietra grigia, la sua gonna è d’oro lucente. Sulle spalle è appoggiato un velo con lo stemma dell’università, mentre avanza lo lascia cadere, il busto appare nudo, la tenerezza dei seni è indifesa, il gesto ampio delle braccia ci rimanda all’iconografia di Maria, rappresentata nello stemma più antico dell’università di Barcellona: Ex me mirabilis facta est scientia tua.

Questa apparizione è testimone e messaggera di nuove trasformazioni e di speranza, in un presente difficile. Eloisa scende con calma solenne lo scalone tra i cartelli pieni di grida e di domande di cambiamento degli studenti che stanno occupando l’università, mentre fuori, nel mondo, si abbatte la violenza di un patriarcato morente.

Mai come ora le donne sono chiamate a risignificare e incarnare simboli e parole per farle coincidere con la vita, per ripensare il mondo.

Per questo trovo così importante ed efficace il lavoro di risignificazione e di restituzione di Elena del Rivero.

La sua ricerca visiva si concentra sul messaggio di uno dei loghi dell’Università di Barcellona, le cui parole Libertas perfundet omnia luce, vengono trasformate in Heloïse perfundet omnia luce. La libertà, per essere tale, per impregnare il mondo della propria luce, deve mettersi in dialogo e in ascolto del sapere che viene dall’esperienza femminile, rompendo la fissità e l’autoreferenzialità del pensiero unico; deve fare posto ad Eloisa.

Libertà è una parola femminile, quando viene raffigurata nella tradizione artistica prende un corpo di donna. Un corpo che però è un simulacro, basta pensare alla Marianne nel famoso quadro di Delacroix “La libertà che guida il popolo”, diventata simbolo della repubblica di Francia, un corpo femminile a seno nudo sulle barricate, che poi nella realtà era stato cancellato, portato sul patibolo. Durante la rivoluzione francese Olympe de Gouges1, che si era battuta per la libertà delle donne, verrà decapitata, e le donne verranno confinate all’interno delle mura domestiche.

L’apparizione del nome di Eloisa tessuto con il colore del sangue2 assume allora questo significato, mettere un vero corpo al posto del simulacro, rendere la parola incarnata.

La ricerca di senso, di parola incarnata, da parte di Elena del Rivero coinvolge anche il logo più antico dell’Università di Barcellona, Ex me mirabilis facta est scientia tua, che, come in quelli delle antiche Università europee, fa riferimento alla Madre di Cristo. La gestualità dell’artista che a lei si ispira mentre scende con la sua gonna luminosa la scala dell’Università, restituisce forza e significato alla figura di Maria come matrice di conoscenza, mediatrice tra l’umano e il divino 3. La figura di Eloisa e la figura di Maria così si fondono nel qui e ora del corpo in movimento dell’artista, le parole dello stemma dell’università escono dall’astrazione, diventano corpo vivente.

Lo stemma universitario ricreato da Elena del Rivero è tessuto in un arazzo da lei progettato, che per due mesi è rimasto appeso sullo scalone d’onore del rettorato dell’Università di Barcellona. Le parole Heloïse perfundet omnia luce ne circondano l’ovale al centro dello stemma, lasciato vuoto per accogliere la proiezione in loop del video con l’azione dell’artista: l’avanzare del suo corpo, i particolari dei piedi nudi, delle mani, dei seni, della gola. Lo stemma si anima e pulsa di vita, si apre all’apparizione del corpo femminile, corpo e parola vanno a coincidere. 4

Quest’opera di risignificazione e di restituzione di Elena del Rivero mi fa pensare a un’esperienza vissuta nella mia città, sede della più antica università d’Europa, in cui mi sono laureata.

Lo stemma dell’Università di Bologna reca le parole Alma Mater Studiorum; la figura della Vergine e Madre vi è rappresentata in tre diversi riquadri. In uno è seduta in trono con il bambino, tra due gruppi di chierici in disaccordo, e rappresenta la capacità di risolvere i conflitti, l’autorità e la sapienza relazionale della madre, nutrice e magistra, capace di mediare tra l’umano e il divino. Ma questa raffigurazione così ricca di significati può diventare un’effige immobile e bloccata, se perde la sua forza di incarnazione in una pratica di dialogo e di reciproco ascolto.

Le parole Alma Mater, mi sono apparse per la prima volta messe a fuoco nel loro spessore e significato più profondo il giorno in cui ho visto le Madres argentine di Plaza de Mayo nell’aula magna dell’Università di Bologna, dove veniva loro conferita la laurea ad honorem, introdotta dalla laudatio di Letizia Bianchi, docente in quella Università. Ė stato un avvenimento di altissimo significato per me e per tutta la città di Bologna, quando il Rettore dell’Università nel suo discorso ha mostrato di riconoscere nella grandezza di quelle madri la potenza simbolica delle parole Alma Mater.

Ho capito in quale mondo più intelligente e armonioso si potrebbe vivere se la capacità d’ascolto e di riconoscimento reciproco, che ho visto in quell’occasione, diventasse una pratica di vita.

Pensando ai miei anni di studio universitario, so che li avrei vissuti felicemente e con meno senso di estraneità se fossi stata a conoscenza di tante figure di donne creatrici, che poi il femminismo, con il suo vasto lavoro di ricerca, mi ha restituito. Mi avrebbe dato forza sapere della presenza femminile nella cultura e nell’arte della città di Bologna, dove le donne si sono date nutrimento reciproco creando una tradizione, e permettendo così ad alcune di raggiungere l’eccellenza. Qui le donne avevano insegnato all’università fino dal XIII secolo5, e le artiste fino dal Cinquecento avevano scolpito e dipinto opere presenti da secoli nelle chiese e nei musei della città. Ma è stato anche da quel senso di estraneità che è nato il mio incontro con il femminismo.

Il lavoro di Elena del Rivero, il suo originale pensiero visivo, fa parte di questa grandissima opera di restituzione, di costruzione di genealogia femminile.

Leggo e guardo il libro che lo documenta, Heloïse perfundet omnia luce, come un’opera relazionale, un andirivieni tra il pensiero-visione dell’artista, e lo sguardo e il pensiero di chi lo accoglie, lo rivive e ricrea. Il libro è una traccia di questo movimento e di questo lavorio relazionale, ed un esempio dell’energia trasformativa che proviene dal lavoro di un’artista che mette al centro della sua ricerca la grandezza femminile, l’amore per le proprie simili e per la propria genealogia.

Carla Lonzi aveva detto che per far rivivere le donne del passato noi dobbiamo prestare loro il nostro sangue6. Sono le donne del presente a ridare loro corpo e voce. Per questo oggi Eloisa può riapparire portandovi la luce di un sapere che non è separato dalla vita.

Bologna, 14 novembre 2015

 

Note

 

1 Olympe de Gouges ha scritto la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina nel settembre del 1791. È stata decapitata il 3 novembre del 1793, durante il periodo del terrore. Il quadro di Eugène Delacroix è del 1830.

2 Vedi Assumpta Bassas Vila, p. 29.

3 Vedi Maria-Milagros Rivera Garretas, p.6.

4 A proposito della necessità di far coincidere parola ed esperienza, da parte delle donne, penso anche ad Artemisia Gentileschi con il suo “Autoritratto in veste di allegoria della pittura”. Nelle allegorie della pittura gli artisti utilizzavano il corpo femminile come un bel simulacro che assisteva all’evento della creazione da parte dell’uomo, sancendo una separazione tra corpo femminile e genio creatore. Artemisia ha messo se stessa, il proprio corpo di donna artista nell’atto di dipingere, al posto dell’allegoria, facendo coincidere l’idea di pittura con il proprio corpo.

5 La leggenda narra che Bettisia Gozzadini (1209-1261), la prima donna ad insegnare in un ateneo, e Novella D’Andrea (1333-?) tenessero lezioni di diritto all’Università di Bologna. La fantasia popolare racconta che dovessero insegnare coperte da un velo o dietro ad un sipario, per non turbare gli studenti.

6 Carla Lonzi, Armande sono io! , Scritti di rivolta femminile, Milano 1992.